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MEDDI, MASSIMILIANO Francesco Fabbri
 

In quindici anni di attività giornalistica, questa è in assoluto la prima volta che un musicista mi invia, insieme al materiale promozionale, anche la fotocopia fronte-retro della sua carta d’identità... Dunque mi adeguo, e passo a presentarvi Massimiliano Meddi, nato a Roma il 7-3-1976 e ivi residente, celibe, altezza 1,78, capelli neri, occhi verdi, baffi, di professione compositore, cantautore e polistrumentista con particolare predilezione per lo sperimentalismo e i testi colto-claustrofobici. Non è la prima volta che me ne occupo, giacché sul n° 2 di Arlequins Newsletter recensii il demotape “Nekton” (1996). Da allora, però, non ne ebbi più alcuna notizia, così archiviai il caso come una delle tante ‘estemporaneità volonterose’ in cui noi recensori spesso ci imbattiamo, destinate a non avere un seguito. E invece no: a molti anni di distanza, vengo a sapere che il Meddi è artisticamente vivo e vegeto, e che nel frattempo ha inciso una gran messe di materiale autoprodotto.

Ben quattro i CD che mi sono arrivati. L’antologia "Massimiliano Meddi" racchiude 15 pezzi composti fra il 1995 e il 2004. Benché abbastanza eterogenei, vi si possono ravvisare alcune matrici principali. La prima (“Notis”, “Questionario”, “L’Oliversità Unigarchica”) è quella di un cantautorato obliquo, talora dissonante, che sfrutta testi a metà strada fra l’erudito e l’ironico così come avviene in Battiato, ed è a lui che Meddi pare spesso riferirsi anche nell’atteggiamento vocale. La seconda tendenza - che caratterizza, poi, gli altri tre CD - coinvolge invece un ambito classicheggiante e sinfonico: grazie al sapiente uso del Cubase si ha proprio l’impressione di trovarsi di fronte a un’orchestra. A cavallo fra Romanticismo e Stravinski il marziale incedere di “Scena di guerra per Orchestra Sinfonica”, con un bel finale sospeso quasi morriconiano; a tale traccia è legittimo accostare la “Composizione per Coro Maschile e Orchestra Sinfonica”, con liriche taglienti e ricercate. Meddi sembra inoltre avere una naturale propensione per le atmosfere oscure: l’“Intermezzo n° 2 per Orchestra moderna” è pienamente progressivo, elettrico e con forti richiami agli anni ‘70, vedi Ange e Tangerine Dream; e la “Scena di danza, per sintetizzatori e batteria”, suona come un outtake di “Phaedra” (della premiata ditta Franke, Froese & Baumann, of course). Schizoide e stralunato il “Finale del 4° Poema, per Coro Maschile e Orchestra”, e assolutamente folli le minimali “Modulazioni per voce maschile, organo, timpani e quattro apparecchi per aerosolterapia” (sic!).

"Megàloidian" (sottotitolo poema drammatico per voce recitante, coro e orchestra moderna), del 2002, è opera anomala ed eccentrica fin dallo stravagante concept autobiografico che non si può descrivere ma che, caso mai, è bene leggersi; musicalmente vi sono affastellate diverse intuizioni anche interessanti, vedi certe aperture tipicamente prog dell’“Introduzione” e della “Scena 1” (bello il Farfisa planante), alternate a sperimentali rumorismi che prevedono partiture rovesciate ed enigmatiche manipolazioni che risultano ben poco fruibili. Ancora Battiato emerge nei beffardi lirismi modulati dal Meddi, che col cambio di scena - la 2 - imbraccia la chitarra elettrica col distorsore e si dà all’elettropsych. L’assetto si fa orchestrale e sinfonico con la “Scena 3”, dall’accentuata propensione teatrale e dall’avvincente carica drammatica, che si placa nel sontuoso, rasserenante finale, e in qualche modo lo schema si ripete nella scena successiva, anche se qui a dominare sono spesso e volentieri gli stravolgimenti vocali. Fra porzioni orchestrali ed elaborazioni elettroniche l’opera si avvia al termine, e si lascia apprezzare il bel monofonico in stile prog ‘70 della “Scena 5”. Forse balordo e bislacco, talora sicuramente frammentario, il lavoro è a suo modo affascinante.

"Tellurian" (sottotitolo poema drammatico per baritono, coro maschile, voci bianche, materiali sonori e orchestra moderna), del 2003, prosegue sulla stessa falsariga sia dal punto vista concettuale che musicale, allungando però il minutaggio complessivo di almeno un quarto d’ora e, con esso, anche il brodo. Dunque i momenti migliori sono quelli in cui l’afflato inventivo trova una ragionevole sintesi espressiva: buone le orchestrazioni otto-novecentesche della “Scena 1”, e ancor più convincono la chitarra distorta, contrappuntata da un caustico moog emersoniano, della “Scena 2”, come pure l’aereo, sospeso tappeto di synth che caratterizza e i due “Intermezzi”, nel secondo dei quali va segnalata una pregevole accelerazione ritmica che mi ha ricordato il Biglietto per l’Inferno. Meddi rende meglio laddove destina la sua inquietudine verso un prog più tradizionale, mentre smarrisce talora il senso delle proporzioni quando sperimenta con la parola: i 22 minuti totali delle Scene 4 e 5 spesso si perdono in teatrali recitati che non sempre lasciano il segno, ma per fortuna l’opera è chiusa positivamente con la misurata estrosità della “Scena 6”, e col burlesco, polifonico “Finale”, dove trovano posto anche un bambolotto che piange e quel coretto tipo fiabe per bambini già ascoltato nella “Scena 3”.

"Sbat!" (sottotitolo poema sinergico per voce solista, sezione ritmica e sinfonica), del 2005, si può dire che chiuda il cerchio, descrivendo l’evoluzione e, al tempo stesso, il ritorno alle origini del personaggio Notis-Meddi. Come per "Tellurian", anche l’ascolto di "Sbat!“ impegna per più di un’ora, ma qui i contenuti sono più a fuoco e meglio estrinsecati. Non annoiano i dieci minuti della “Ouverture epica”, in cui gli ondeggiamenti ambient alla Brian Eno si risolvono in una bella partitura sinfonica. La prima suite, dopo un non indispensabile assolo di batteria (“Multimetrie”), gioca gradevolmente con l’effettistica elettronica (“Magmatismo”), prima di un buon connubio tastiere-basso-batteria secondo i moduli di un prog più canonico, dove emerge uno schizzato Hammond (“In Antròpoli”), per concludersi col consueto recitato su una base piuttosto scarna (“I Dinamàntropi”). Ammaliante l’arpa e il tenue cantato dell’intermezzo “Il canto di Hypnos”, che prelude alla seconda suite, la quale si apre con i fonemi stratosiani di “Lallazione”. Non male “Trolley!”, snodantesi fra acusticità chitarristiche che ricordano Hackett e uno space-prog di stampo teutonico (Eloy). Rumoristica è “Ultima Baldoria”, mentre estremamente positiva risulta “Fiamme Ossidriche”, con forti richiami ai Goblin, vedi l’organo e soprattutto il basso alla Pignatelli; il commiato è affidato alle catartiche epicità tastieristiche di “Platinum”.

Dovendo dare un giudizio complessivo sull’operato del Nostro, ritengo indispensabile lo scinderne i vari aspetti. E allora assegno un bel dieci al Meddi forgiatore timbrico e tecnico del suono, otto al progster anni ‘70, sette al compositore classico/sinfonico, mentre c’è qualcosa che non soddisfa circa il Meddi ‘estremista’ (il cantautore da un lato, lo sperimentatore dall’altro). In generale, forse sarebbe utile al musicista romano la presenza di un produttore, un collaboratore, o comunque un supervisore esterno che sappia temperarne gli eccessi e incanalarne l’energia creativa.

Contatti: www.notis.it.

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