Parlare dei Collegium Musicum significa necessariamente parlare di Marián Varga: il celebre artista slovacco rappresenta infatti l'anima e l'essenza stessa del gruppo, che cambierŕ spesso i propri componenti i quali ruoteranno di volta in volta nell'orbita dell'eccentrico tastierista. Varga č un uomo dotato di una grande sensibilitŕ artistica e di una personalitŕ molto forte, dal carattere difficile, spesso alla base dei rapporti conflittuali con i suoi partner musicali, esasperati anche dalle proprie abitudini tese all'abuso di alcolici. Nonostante questo Marián Varga rimane un personaggio amato dagli appassionati di prog e rappresenta ormai un venerato e celebrato maestro, a lui il merito di aver illuminato con la sua musica grandiosa un periodo difficile per la musica cecoslovacca.
Marián Varga č nato il 29 Gennaio 1947 a Skalica in Slovacchia. Aveva appena sei anni quando iniziň a frequentare una normale scuola d'arte e allo stesso momento prendeva lezioni private di composizione da Ján Cikker. Piů tardi entrň nella scuola di musica di Bratislava ma, trascorsi appena tre anni, Marián la lasciň e si uně ai Prudy di Pavol Hammel nel 1969, band fondata nel '63, abbastanza acclamata all'epoca, autrice di diversi album e che divise persino lo stage con i Nice nel 1968. Con questi realizzň l'album "Zvoňte zvonky", arricchendo il sound energico del gruppo con Hammond, piano e clavicembalo. L'album, il cui ascolto č consigliato, č considerato tutt'ora uno dei piů grandi della musica rock slovacca ed č stato persino denominato da qualcuno il "Sgt. Pepper slovacco". Nonostante ciň il gruppo iniziava ad andare stretto all'intraprendente Marian che abbandonň entro breve i Prudy per dare vita a quella che si delineava come la prima band di art rock in Cecoslovacchia, ispirata fortemente proprio al prog barocco dei Nice.
Il periodo in cui i Collegium Musicum si affacciano alla ribalta č anche quello in cui la primavera di Praga, che vide il fiorire di una grandissima varietŕ di gruppi musicali di varia ispirazione, sbocciata grazie alla politica aperta e liberale di Alexander Dubček, venne spazzata via dall'intervento delle forze militari del Patto di Varsavia. Nella politica di normalizzazione di Husák venivano poste forti restrizioni ai gruppi rock e jazz che dovettero abbandonare, oltre ai capelli lunghi, ai nomi e alle liriche in inglese, anche la loro libertŕ di espressione. Venne instaurato un pesante meccanismo di controllo e censura e per poter esercitare la loro carriera in maniera ufficiale i musicisti erano tenuti, dal 1972 (legge che rimarrŕ fino al 1989) a sostenere un esame scritto sul Marxismo-Leninismo e sulle istituzioni comuniste. Come risultato molti artisti migrarono all'estero, mentre altri che non si vollero piegare si ridussero ad una esistenza underground. Molte band per sopravvivere dovettero adattarsi e per dare espressione alla propria creativitŕ si orientavano spesso verso le lunghe composizioni strumentali in chiave jazz o sinfonica. In quest'ottica e in questo scenario vanno inquadrati anche i Collegium Musicum.
Il primo nucleo della band era un trio costituito da Varga alle tastiere e da Dušan Hajek alla batteria con Fedor Letnan al basso ma presto, nel 1970, il trio si trasformň in quartetto con l'ingresso di Rastislav Vacho alla chitarra e, a sostituire Letnan, l'ex Prudy Fedor Frešo (che assieme a František Griglak, che si unirŕ piů tardi ai Collegium, andrŕ poi a formare un altro gruppo divenuto poi storico, i Fermata ed entrerŕ nella line up dei Modry Efekt) ed adottň il nome Collegium Musicum. Pavel Vane divenne il nuovo chitarrista della band poco prima di una tournée in Polonia al fianco degli Skaldowie e nello stesso anno arrivň il debutto discografico: il singolo "Hommage ŕ J. S. Bach / Ulica plná plášťov do dažďa" registrato negli studi della radio cecoslovacca a Brno. Il singolo evidenzia subito alcune caratteristiche chiave della musica del gruppo: l'amore per i Nice e per la musica classica, che spesso la band rielaborava e riproponeva in chiave rock, e la passione per i lunghi pezzi strumentali. "Hommage ŕ J. S. Bach", come si puň dedurre dal titolo, č un'esplosione festosa di musica barocca che sfoggia vistosi riferimenti ai temi musicali e alle cadenze del celebre compositore. La musica č composta dal trio Varga, Frešo e Hajek anche se i richiami a Bach, soprattutto ai celebri Branderburghesi, sono tangibili. Inutile dire che il modello tastieristico di riferimento č quello di Emerson, con i suoi virtuosismi e la sua esuberanza barocca, ed il suo tocco inconfondibile nell'accarezzare i tasti dell'organo Hammond. Certo, in questa veste classicistica questa composizione somiglia piů che altro ad un esercizio di stile, ma bisogna dire che si tratta di un ottimo biglietto da visita per il gruppo che porta in Cecoslovacchia un modo di fare musica del tutto nuovo per un paese che rischiava di abituarsi alle inconsistenti canzoni pop. Il lato B č occupato da una canzone di quasi sette minuti che dimostra marcate influenze hard blues con un organo Hammond dalla timbrica graffiante che mugghia in maniera rabbiosa ma che concede anche gentili richiami classicheggianti. Questo singolo č stato ristampato su un doppio CD dalla Opus, assieme ai primi due LP.
Il primo lavoro su lunga distanza viene registrato nell'Ottobre del 1970 nell'arco di tre giorni e pubblicato l'anno successivo, nel 1971, dalla Supraphon. L'omonimo album sviluppa in maniera piů ampia le idee anticipate sul singolo, dividendosi in maniera disinvolta fra jazz, hard blues e musica classica. La musica, grandiosa, imponente e brillante, viene riversata in tre suite della durata media di tredici minuti ciascuna, la seconda delle quali, "Strange Theme", viene divisa in due andando a finire per metŕ nella prima facciata e per metŕ nella seconda del vinile. I primi due brani presentano liriche in inglese piuttosto banali, interpretate dalla voce acida di Frešo, che presenta una pronuncia anglosassone un po' forzata ma comunque dotata di un bell'impatto. La lingua inglese verrŕ perň abbandonata giŕ dall'album successivo, proprio in quel periodo infatti entrano in vigore le rigide restrizioni cui abbiamo in precedenza accennato e che porteranno fra l'altro alcuni artisti a cambiare moniker al proprio gruppo, come ad esempio accadde ai Blue Effect che diventarono "Modry Efekt". "If You Want to Fall", la suite di apertura, si apre con un ritmo jazzy, scandito da ottoni e dai guizzi organistici di Varga che contrappuntano un cantato piuttosto scarno. La parte centrale presenta una struttura piů libera ed č dominata da scorribande solistiche dei musicisti, con un lungo assolo di basso, mentre quella conclusiva riprende il tema cantato iniziale. "Strange Theme" č un blues accattivante, che si muove su ritmi lenti, con suadenti note di organo e chitarra elettrica, ed un cantato magnetico che questa volta, a modo suo, si avvicina a quello di Lake. Le sonoritŕ imponenti e ruvide dell'organo, fanno pensare ai Colosseum, lo strumento comunque viene accarezzato quasi in maniera pigra e la parte solistica si presenta elegante e delicata. La seconda parte della suite č dominata da un assolo jazzy vivace e spettacolare con un ruolo predominate dell'organo ma anche degli ottoni che preludono a un ritorno sui temi soft e vellutati di apertura che vengono reinterpretati dalle bellissime variazioni solistiche della chitarra di Vacho. L'ultima suite, "Concerto in D" č ancora un grande omaggio ad un compositore classico, trattandosi dell'interpretazione del celebre "Rondň all'Ungherese" di Franz Joseph Haydn. La musica grandiosa dell'orchestra diretta da Vladimír Popelka viene irrobustita dall'apporto discreto (nei momenti prevalentemente affidati all'orchestra) ma incisivo degli strumenti rock, ed il ruolo solistico č affidato ovviamente a Varga che al pianoforte preferisce l'organo ed il clavicembalo e che impreziosisce l'opera classica con le sue libere reinterprertazioni, variazioni bizzarre e momenti solistici. Non si tratta di un brutale stravolgimento dell'opera classica, anche se la parte centrale prevede i suoi momenti di improvvisazione, ed i suoi slanci virtuosistici di ispirazione rock-jazz che finiscono col prevalere sul ruolo dell'orchestra, ma piuttosto di una celebrazione in chiave barocca, libera e festosa, dai suoni prepotenti e rigogliosi, frutto di una sincera passione e di una grande personalitŕ che comunque non sfocia mai nel cattivo gusto o nel pacchiano.
Nello stesso anno viene stampato dalla Opus il doppio LP "Konvergencie", un album monumentale che inaugura anche una lunga collaborazione con la celebre etichetta. Il gruppo si avvale della preziosa collaborazione (che si ripeterŕ nel corso degli anni) di Kamil Peteraj per la realizzazione dei testi, uno dei parolieri piů celebri ed apprezzati in Slovacchia e proprio a lui si devono le parole dello splendido coro di fanciulli inserito nel brano che copre per intero il primo lato dell'opera: "P. F. 1972". La suite č un'esplosione di suoni barocchi con ampi riferimenti alla musica classica e viene sviluppata in maniera simmetrica nel susseguirsi dei temi musicali. Si alternano momenti solari e gioiosi, come quello del coro di voci bianche, che viene ripreso nella parte conclusiva, a parti piů oscure, come nel movimento che si sviluppa progressivamente nella fase centrale, un cupo bolero con un organo tenebroso e riferimenti chitarristici a Hendrix e Santana. Dal punto di vista musicale l'opera si pone in diretta continuitŕ col primo lavoro, anche se in questo caso abbiamo arrangiamenti piů ricchi e maggior spazio per l'istrionismo di Varga e per gli slanci strumentali degli altri tre musicisti. La grandiositŕ dell'opera č evidente a partire dalla struttura, con quattro suite che vanno a ricoprire, una ciascuna, le quattro facciate dei due vinili. Non potevano mancare i momenti celebrativi delle grandi opere classiche e nel caso della splendida "Suita po tisíc a jednej noci", l'ispirazione viene dai motivi celebri e favolosi della suite sinfonica "Scheherazade" di Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov, in cui i temi musicali sono presi come spunto per i momenti di improvvisazione e per lo sviluppo di nuovi temi strumentali. Il motivo di apertura č quello immortale che fa da cornice e ricorre nell'opera di Korsakov (e che viene piů volte ripreso anche dai Collegium Musicum), con una successiva rievocazione del tema musicale che dipinge la storia del principe Kalandar. Il potere narrativo ed immaginifico di queste composizioni sono un punto di partenza potente per dare spazio alla propria fantasia e la versatilitŕ e la bravura della band viene esaltata dalla registrazione effettuata dal vivo, come si intuisce qua e lŕ dagli applausi del pubblico. In questo caso manca il supporto dell'orchestra ed il grosso del lavoro č a carico di Varga, la stessa esecuzione dell'opera č tutt'altro che fedele (anche se i grandi temi musicali sono ben riconoscibili) e rappresenta, come accennato, un trampolino di lancio verso l'improvvisazione, all'insegna del virtuosismo e del feeling, con impasti blues e jazz rock. Di grande effetto la rivisitazione del tema che caratterizza l'ultimo movimento dell'opera di Korsakov, proposto con grande robustezza e con una performance di Varga magistrale, sottolineata da una sezione ritmica martellante e trascinante che incede quasi su ritmi marziali. La suite successiva, "Piesne z kolovratu", nonostante la lunga durata, presenta una stesura lineare e piů improntata alla forma canzone, con un ruolo centrale esercitato dalle melodie delle parti cantate, con bei momenti pianistici e melodie raffinate, di ispirazione classica. Graziosissimo il motivetto folkish scandito da un'allegra chitarra acustica e dai campanellini, nella parte centrale, che dona un sapore spensierato ad un album che nel complesso fa leva su tonalitŕ maestose ed auliche e molto bella la sequenza incalzante e di stampo hard rock blues nella seconda parte della suite, che sembra quasi un tributo ai Prudy, e, per concludere, un finale a sorpresa che ricorda un'opera liturgica. L'ultima suite, Eufónia, composta interamente da Varga ed ispirata alla corrente artistica del Postmodernismo, č quella dai tratti piů sperimentali ed č letteralmente dominata dalle urla dell'imponete organo. Manca una vera e propria struttura musicale ed il capriccioso tastierista si diverte a giocare con le tonalitŕ piů agghiaccianti del suo strumento (organo soprattutto e pianoforte nella seconda parte), sfidando i suoi ascoltatori con soluzioni sonore estreme.
La band passň il 1971 in tour toccando diversi paesi delle repubbliche socialiste, oltre alla Francia: Polonia, Ungheria (con gli Omega), Bulgaria e Germania Est, questa volta con un nuovo chitarrista: František Griglak.
Risale al 1972 un'importante collaborazione (a cui ne seguiranno presto delle altre) col fondatore dei Prudy: Pavol Hammel, uno degli artisti rock piů attivi ed acclamati del paese, col quale Varga realizzň l'album "Zelená pošta" (lettera verde, in riferimento alla cartolina che veniva inviata per il servizio militare), considerato un grande classico del rock cecoslovacco e che si avvaleva tra l'altro della preziosa partecipazione di Vacho e Radim Hladik dei Modry Efekt, con liriche scritte ancora una volta, anche se solo in parte, da Peteraj. Lontano dai fasti e dalla grandiositŕ della musica dei Collegium Musicum, l'album si presenta come una collezione di dieci composizioni, tutte abbastanza brevi e dal songwriting fluido e brillante con arrangiamenti preziosi e ben intelligibili. La voce č quella di Pavol Hammel, incisiva e di carattere, la musica č in larga parte di Varga che si prodiga con i suoi interventi organistici spigliati e di gran classe, nel contesto di una forma musicale per certi versi piů vicina al repertorio dei Prudy, con belle spinte hard blues, che a quello dei Collegium. Le canzoni sono tutte godibili ma al tempo stesso eleganti ed interpretate in maniera brillante e l'impeto furioso di Varga si viene come a stemperare e sublimare nell'ambito di una scelta cromatica piů delicata, in cui gli elementi orchestrali e sinfonici, comunque ben rappresentati, vengono messi al servizio della canzone. Pezzi come "Tenis" sfoggiano uno swing allegro, scandito dal contrabbasso, e con un organo Hammond a dir poco brioso; piů delicata e sinfonica si presenta la breve intro, "Domáca úloha", che prelude a un pezzo romantico e di atmosfera, dal sapore quasi cantautoriale, con piano ed archi delicati: "Z ďatelín. Il contenuto di questo album si presenta in effetti abbastanza variegato, passando dai ritmi latini di "Krajina bielych dievčat", con vibranti assoli jazzy di Hammond, a piccoli trionfi barocchi, come in "Pávi ples"; dai ritmi spezzettati ed incalzanti della particolare "Cesty bláznov" passiamo alle sinfonie da operetta di "Nechtiac", per finire agli ottoni squillanti di "Pošta", collocata in conclusione dell'album, dalle accattivanti cadenze big beat ed un finale che sembra letteralmente rubato a "Zvoňte zvonky".
Nel frattempo Griglak lascia la band ed il gruppo si imbarca, nel 1973, in un altro tour in Unione Sovietica, questa volta come trio. A questo periodo risale la pubblicazione dell'album dal vivo, intitolato semplicemente "Live", registrato a Bratislava nel Luglio dello stesso anno, nella Concert Hall della radio cecoslovacca. L'album contiene composizioni originali interpretate con un assetto ridotto a basso, percussioni ed organo che ci permettono di apprezzare e conoscere il gruppo, ora al culmine della propria carriera, in una dimensione concertistica, mettendone in piena luce le qualitŕ di strumentisti brillanti ed affiatati e di grandi improvvisatori, liberi questa volta dai vincoli dello spartito e di sfidare le proprie capacitŕ. Le composizioni presentano un'architettura movimentata ed asimmetrica, ed i ritmi sono sempre concitati, con una sezione ritmica instancabile, un basso in piena evidenza e l'organo Hammond di Varga libero di correre in qualsiasi direzione. Il sound č potente e graffiante, pieno e travolgente, nonostante la mancanza della chitarra, la stessa timbrica dell'organo č rude ed imponente. I brani proposti sono tre, di cui uno, quello centrale, "Si nemožná", diviso in due parti collocate una in chiusura del lato A e l'altra in apertura del lato B. L'apertura č affidata al pezzo forse piů diretto, "Burleska", condito di tante citazioni classiche e dall'impatto energico. In "Si nemožná" l'atmosfera si infuoca ed i musicisti sembrano colti da un fervore quasi mistico, muovendosi su ritmiche sempre piů complesse e prestandosi a continui equilibrismi. I suoni si fanno piů distorti, ed i momenti di improvvisazione sono furiosi ed in particolare nella seconda parte della suite i motivi si fanno particolarmente disarticolati. L'ultima traccia, "Monumento", gioca sulle variazioni di un grande motivo classico: la parte conclusiva della suite de "L'uccello di fuoco" di Igor Stravinsky, la ripetizione di questo grandioso motivo fa da filo conduttore per le folli sequenze improvvisate che seguono, sempre su ritmi da battaglia, con un Varga letteralmente impazzito. Dopo un lungo assolo di batteria (non mancano i momenti solistici in questo album) il tema de "L'uccello di fuoco" viene ripreso anche dal basso, prima del gran finale. Nel suo complesso si tratta di un album monumentale, suonato con maestria, capriccio, virtuosismo e che riesce a coinvolgere per il suo grandissimo impatto sonoro ed il suo vigore esecutivo. Un'esperienza di ascolto senza dubbio meritevole.
Nuovi cambi di formazione interessano il gruppo e questa volta č Frešo ad andarsene. Giungono altri due ex musicisti dei Prudy pronti per il rimpiazzo: Ivan Belák al basso e Jozef Farkaš alla chitarra. Possiamo immaginare che Varga non dovesse avere un carattere facile, forse dovuto anche alla storia di abuso di alcol, che lascia le sue tracce piů tangibili nell'album successivo che esce a nome "Marián Varga & Collegium Musicum", come se il tastierista volesse dichiarare la propria supremazia rispetto al gruppo che di fatto rappresenta una sua appendice. Il disco viene stampato nel 1975 con la nuova formazione composta dal quartetto Varga, Belák, Farkaš, Hajek e nonostante il periodo critico, dimostrato dai continui cambi di line-up (ben presto se ne andranno anche Hajek, sostituito da Peter Szapu, e Farkaš, rimpiazzato da Andrej Horvath), si dimostra un ottimo album, equilibrato e maturo, dagli spartiti movimentati ed intriganti. Varga sceglie di misurarsi con due compositori del Novecento di non facile interpretazione, riproponendo le sue rielaborazioni di Béla Viktor János Bartók e di Sergei Sergeyevich Prokofiev. Del primo Varga riprende alcuni motivi del celebre "Mikrokozmos", una collezione di 153 pezzi per pianoforte organizzati in ordine crescente di difficoltŕ tecnica, e li usa come base per lo sviluppo del brano che apre il lato A del vinile, della durata di circa sette minuti. Come al solito Varga preferisce l'organo al pianoforte che comunque alterna ai suoni piů graffianti dello Hammond. Bellissima l'interpretazione spigliata delle melodie classiche che nelle mani dei Collegium Musicum si trasformano in incandescente prog sinfonico, con un ruolo prezioso interpretato dalla chitarra di Farkaš che concede assoli fra il blues e la psichedelia. Di Prokofiev la band riprende brani dallo splendido "Preludio in Do Maggiore" e dalla suite per balletto "Romeo e Giulietta" (Op. 64) e li rielabora a formare il pezzo di apertura del lato B, anche questo della durata abbastanza contenuta di otto minuti e mezzo circa. I temi musicali sono ben riconoscibili, anche se Varga altera il linguaggio musicale di Prokofiev, deformandolo in base al proprio gusto barocco e giocando in maniera stravagante con i motivi immortali del celebre compositore. Le melodie intriganti e drammatiche di Prokofiev si trasformano in un'esplosione festosa di suoni, elaborati in maniera trionfante, su ritmiche martellanti e vivaci, scandite da un basso in primo piano e dalla batteria veloce. Si tratta di una bellissima rielaborazione, resa piů interessante dalla registrazione dal vivo, come si deduce dagli applausi del pubblico al termine del pezzo. "Nech žije človek", secondo ed ultimo brano del lato A, č il pezzo piů lungo dell'album con i suoi sedici minuti e mezzo ed č l'unico composto dal quartetto al completo. L'apertura insolita č affidata ad un lungo assolo di batteria e la forma sembra essere quella della jam session dal vivo. Il confronto col pubblico č cruciale nel modo di fare musica di Varga, visto come un processo dinamico in cui entra a far parte anche l'uditorio con la sua carica di energia. Non a caso č stato catturato nel corso della registrazione il fioccare degli applausi durante l'esibizione del gruppo che gioca con l'improvvisazione, con i momenti di assolo, passando da citazioni esplicite di opere classiche a sequenze di graffiante hard blues. Il pezzo, suonato con grande tecnica ed energia, appare vicino allo spirito del precedente album dal vivo e rappresenta forse il momento piů significativo del disco. In chiusura del lato B troviamo due pezzi firmati da Varga, il primo, "Hudba k vodometu č.", si apre in maniera festosa ed esplosiva, per poi concedere seducenti aperture blues dominate dalla chitarra elettrica, e sfoggia uno stupendo assolo centrale di organo; il secondo, "Nesmierny smútok hotelovej izby", molto breve, č per solo pianoforte.
Nel 1976 viene firmata un'altra grande collaborazione con Hammel, l'album "Na II. programe sna" (Sul secondo canale di un sogno), con testi di Kamil Peteraj, uscito a nome Hammel-Varga-Hladík. Sulla scia di "Zelená pošta" troviamo una collezione di brani brevi, tredici in tutto, ma a differenza del primo, che puň essere quasi considerato un progetto solistico di Varga, il nuovo album del supergruppo ha uno stile decisamente piů influenzato da Pavol Hammel, che prende parte in maniera consistente al processo compositivo. Abbiamo anche una maggiore potenza e ricchezza nei suoni, grazie all'apporto della chitarra di Hladík, molto piů presente. L'approccio č comunque sempre fresco, scoppiettante e le canzoni, seppur abbastanza ricche, appaiono scorrevoli e ben assimilabili. Le influenze sono abbastanza variegate, anche se tutti gli stili attraversati sono sempre sotto il comune denominatore del prog sinfonico. Le spinte barocche sono immancabili, graziosa č in questo senso "Papageno" con le sue allegre parti corali, anche se non sono l'elemento preponderante; possiamo altresě riconoscere elementi funky, hard rock e jazz, miscelati in maniera dinamica e con grande gusto. Molto interessante č proprio la traccia di apertura, la title track, che si muove su ritmi ossessivi, scanditi dalle tastiere, con la voce graffiante di Hammel, aperture jazz con richiami ai Modry Efekt, ed un bellissimo assolo di chitarra conclusivo da parte di Hladík, davvero in forma smagliante. A completamento della line up troviamo altri grandi musicisti come Ivan Belák al basso, mentre alla batteria si alternano Dušan Hajek, Pavol Kozma (che di qui a poco entrerŕ a far parte dei Collegium) e Peter Szapu (dei Fermata). Da segnalare che questo album, vivamente consigliato, č stato ristampato in coppia con "Zelená pošta" su doppio CD dalla Opus.
Nel 1977, in collaborazione con Hammel, Marián realizza una commedia musicale, la prima realizzata in Cecoslovacchia, "Cyrano z predmestia" (un Cyrano suburbano), che divenne l'evento teatrale dell'anno. L'album fu pubblicato a nome Hammel-Varga-Peteraj-Štrasser con liriche a cura di Peteraj e del giornalista, paroliere e scrittore Ján Štrasser. Ovviamente nell'opera sono prevalenti le parti cantate, affidate in questo caso a una coppia di interpreti femminili, Kamila Magálová Slováková (una delle attrici di teatro piů famose della Slovacchia e membro del Teatro Nazionale Slovacco) e Jana Jakubcová, che si alternano nel ruolo della protagonista Roxana, e a Jozef Benedik nei panni di Cyrano. La struttura č quella del musical, con sequenze musicali studiate per entrare nella coreografia di un corpo di ballo e per amplificare le emozioni legate alle diverse situazioni narrative, con cori, momenti di atmosfera e sequenze di grande effetto scenico. La musica presa in sé č comunque di buona fattura e si presenta come uno hard rock dai forti connotati sinfonici e di impatto abbastanza immediato. Varga irrobustisce il sound con un ARP synth, che affianca all'organo e al piano, e con lui collaborano altri membri dei Collegium: Peter Szapu alla batteria, František Griglák alla chitarra e Ivan Belák al basso. E' ovvio che l'opera č nata per essere interpretata sul palco e quindi col solo ascolto su disco perde sicuramente molto del suo potenziale, ma comunque si tratta di un lavoro decisamente interessante che puň valere la pena di ascoltare.
Alla fine del 1977 Varga, Hajek e Frešo riformano i Collegium Musicum e, con l'aggiunta di Ludovit Nosko (voce e chitarra) e Karel Witz (chitarra solista), per la prima volta nella sua storia il gruppo si conforma in una formazione a cinque. Risale a questo periodo l'album "Continuo", registrato nel Dicembre del 1977 e stampato l'anno seguente, che segna una svolta stilistica decisa rispetto al repertorio precedente. Entrano nella strumentazione di Varga i sintetizzatori, qui usati a profusione, e la voce di Ludovit, oscura e abbastanza monotona, che interpreta testi scritti da Peteraj, caratterizza i brani di questo LP. Le atmosfere si fanno piů cupe, i suoni sofisticati e dal sapore artificiale, con frequenze basse che spesso prevalgono su tutta la gamma sonora ed un ruolo delle tastiere ridimensionato. Le canzoni sono solo tre, con la title track di 16 minuti che domina il lato B, ed il lato A occupato da un pezzo altrettanto lungo, "Pavučiny", di quasi 17 minuti, e da un altro piů breve, "Autoportrét slobodného umelca", di circa 6 minuti. Rimangono certe influenze sinfoniche, come l'apertura della prima traccia dimostra, ma queste non sono piů al centro delle creazioni musicali della band. L'architettura delle canzoni si presenta abbastanza lineare, soprattutto nelle parti cantate, anche se non mancano sequenze piů complesse e contaminazioni fusion. Spiccano certe influenze di stampo teutonico, con riferimenti alla produzione tedesca di quel periodo. Certe sonoritŕ sono francamente proiettate verso gli anni Ottanta, con suoni di basso e batteria non bellissimi. La traccia migliore č sicuramente la title track, con le sue atmosfere crepuscolari, a tratti Crimsoniane, e l'album in sé, nella sua globalitŕ, non č assolutamente da disprezzare e presenta spunti tutto sommato gradevoli ed interessanti.
Il gruppo non sembra trovare mai pace e va incontro ad un altro cambio di formazione nel 1978 con la dipartita di Hajek, Nosko e Witz, sostituiti questa volta da Pavol Kozma (batteria) e Peter Peteraj (chitarra). Il 1979 č ancora un anno di grosse crisi, segnato da continui stravolgimenti di line-up e travagli personali di Varga succube dell'etilismo. La band riformata riesce a realizzare un nuovo album, "On a ona", poco prima dello scioglimento definitivo. Il disco si rivela perň un flop disastroso. Nonostante la partecipazione di validi musicisti, come Pavol Hammel, che divide il ruolo di cantante con Ludovit Nosko e Marika Gombitová, dalla voce acidula, l'album si compone di canzoni (9 in tutto) di valore complessivamente scadente. I sempre piů rari riferimenti classici ed i riff hard rock si perdono fra le maglie compositive di canzoni di immediata assimilazione, con qualche rara eccezione, come il grazioso strumentale dal sapore classicheggiante, un po' schematico ma gradevole, "Amata nobis, quantum amabitur nulla", che riprende nel titolo un celebre verso di Catullo. Nel complesso si tratta di un album dispensabile.
Varga utilizzň il nome Collegium Musicum nel 1981 per il suo album solista, Divergencie, sulla cui copertina viene perň chiaramente specificato che gli autori del progetto sono lo stesso Marián assieme al fedele paroliere Kamil Peteraj. E' evidente un certo tentativo di recuperare il passato, a partire dal titolo stesso dell'album, che richiama il vecchio "Konvergencie", ed evidente anche dalla struttura stessa dell'opera, sviluppata su un doppio vinile, o ancora dalla presenza di una canzone come "P.F. 1982, 1983" che ricorda nella forma e nel titolo il brano "P. F. 1972" che si trova proprio nello stesso "Konvergencie". L'album appare a prima vista come un progetto ambizioso ed imponente, come l'ampissima lista di ospiti lascia intuire: ritroviamo l'amico Pavol Hammel che canta in buona parte dei pezzi, il bassista Fedor Frešo, il chitarrista Peter Peteraj, il batterista Pavol Kozma, il tastierista Roland Jupiter che divide il suo ruolo con Varga per tutta la durata dell'album, e molti altri, inclusi il quartetto di fiati Bratislavské, il coro di bambini della radio cecoslovacca e un'intera orchestra sinfonica, quella della radio cecoslovacca a Bratislava diretta da T. Koutník. Nonostante le grandiose intenzioni, e il vasto dispiegamento di mezzi, incluso un ampio parco tastiere comprensivo di Minimoog, Hohner Clavinet D-6, ARP e Fender Piano, l'album risulta altalenante e disomogeneo, con episodi da classifica, come il lato B del secondo vinile, ricoperto letteralmente di canzonette, e con composizioni ambiziose e tronfie, come la suite sinfonica per orchestra contenuta sul primo lato dello stesso disco. Procedendo con l'analisi dell'album, direi di dimenticare l'ultimo lato dell'opera: come appena spiegato vi sono per lo piů canzonette, interpretate da Hammel che canta in maniera lineare e poco ispirata su basi musicali abbastanza monotone. Episodi come "Sazda do obálky" sfiorano addirittura la disco-dance da classifica. Migliore si prospetta il primo vinile, con un lato A che richiama in parte lo stile musicale di "Continuo" ed un lato B occupato interamente dalla giŕ citata "P.F. 1982, 1983". Quest'ultima, nonostante le buone intenzioni, appare solo in parte di discreto valore: sono presenti motivi classicheggianti disegnati da archi e tastiere, comunque piuttosto leggeri e ripetitivi, ed il brano č occupato in buona parte da una sequenza cantata da Hammel, piacevole ma molto diluita. Lo stesso coro di voci bianche, specie quando entra in scena la sgraziata voce della Rybková, perde la sacralitŕ che invece evocava il coro inserito in "P. F. 1972", e si trasforma in qualcosa di piů simile alle performance del nostrano Zecchino d'Oro. Il lato A del primo vinile contiene tre tracce di cui le prime due strumentali: il primo pezzo, "Refrén", di stampo prog-fusion, č dominato da tastieroni che inseguono motivi abbastanza ripetitivi ed un effetto complessivo che ricorda una specie di brutta copia degli SBB degli anni Ottanta; la seconda traccia č un interludio elegante per piano e chitarra acustica, mentre quella conclusiva č in parte cantata da Hammel e in parte occupata da un oscuro strumentale. L'episodio piů interessante č proprio la suite sinfonica contenuta sul lato A del secondo disco, intitolata "Musica concertante", che si sviluppa in 5 movimenti ed č interpretata con l'ausilio dell'orchestra della radio cecoslovacca di Bratislava. La suite č stata composta assieme al pianista Voitech Mayar e si contraddistingue per le sue ambientazioni cupe, con atmosfere a volte da incubo: in certe occasioni sembra quasi che i timpani scandiscano una dolorosa marcia verso gli inferi. Nell'ambito della musica orchestrale vengono inseriti alcuni strumenti rock, come le testiere, con tanto di Moog; l'opera manca comunque di dinamismo e di tutta quell'esuberanza propria delle composizioni di inizio carriera. Si viene a perdere la festositŕ barocca in favore di soluzioni piů tenebrose che forse meglio ricordano Ravel o Shostakovich. Un album pieno di materiale insomma, non tutto buono, ma con alcuni spunti tutto sommato interessanti.
A breve Varga tenta nuovamente di riformare i Collegium Musicum con Peter Smolinsky (chitarra) e Anatolij Kohout (batteria) ma anche questa reunion ha vita brevissima ed il nostro eccentrico musicista sceglie infine di intraprendere una carriera solistica, dedicandosi prevalentemente a forme di pura improvvisazione, intesa come la creazione estemporanea di musica. Si contano numerose collaborazioni ed in particolare ricordiamo quelle con i compositori cechi Vladimír Merta e Karel Kryl, con la celebre violinista e cantante Iva Bittová e col violoncellista slovacco Jozef Lupták. Nel 1984 Varga, accompagnato da Pavol Kozma alle percussioni, Ladislav Lučenič alla chitarra e Peter Smolinský alla chitarra acustica, pubblica un album solista intitolato "Stále tie dni". Si tratta piů che altro di una collezione di divagazioni sonore, piuttosto ostiche, con contaminazioni elettroniche e che mancano spesso di una vera propria struttura musicale. Si tratta di 11 brani in totale dall'approccio sperimentale che rappresentano comunque un episodio a sé stante per l'artista.
Risale al 1989 una nuova collaborazione con Pavol Hammel che porta alla pubblicazione dell'album "Všetko je inak", uscito a nome Hammel-Varga-Peteraj. Al trio consolidato si affiancano diversi ospiti che comprendono Fedor Frešo al basso, Dušan Hájek e Pavol Kozma alla batteria, Laco Lučenič alla chitarra elettrica, Marián Karvaš e Ján Lauko alle tastiere. Le dieci tracce che compongono questo lavoro hanno un sapore per lo piů cantautoriale, con un ruolo ridotto e di accompagnamento delle tastiere, nonostante ci siano ben tre persone a suonarle. La voce di Hammel ha sempre un ruolo centrale ed č sempre piacevolmente graffiante ma questa volta si muove in un ambiente non proprio interessante. Album semplice e ben fatto ma lontano anni luce dalle vecchie bellissime collaborazioni.
Nel 1992 Varga, Freso e Griglak (con Cyril Zelenak alla batteria) presero parte al "Comeback II" tour assieme a tutta una serie di band storiche del rock cecoslovacco. Nello stesso anno Varga pubblica un doppio CD dal vivo, "Cestou k ... Stabil - Instabil", assieme all'artista ceco Vladimir Merta che rappresenta un commento artistico alla separazione della Cecoslovacchia che avviene in quel periodo. Nel 1993 esce su LP e CD per la Monitor Records un nuovo album a nome "Hammel-Hladík-Varga" dal titolo "Labutie piesne" contenente 16 nuove brevi canzoni. Il trio č completato da un set di validi musicisti, fra cui spicca il bassista Fedor Frešo. I pezzi hanno per la maggior parte un sapore cantautoriale, gli arrangiamenti sono leggeri, anche se tutto sommato gradevoli ed i suoni sono molto essenziali. Hammel e Varga sono i principali compositori ed i testi sono in gran parte sempre di Peteraj. Non manca qualche guizzo dal sapore piů marcatamente sinfonico, come nell'allegra "Zlatá brána", anche se nel suo complesso l'opera č da considerasi sicuramente non indispensabile.
Dopo un buco di cinque anni Varga, Frešo e Hájek riesumarono di nuovo la band e a loro si uně anche Griglak, lasciandoli comunque poco tempo dopo, per la realizzazione del Live CD "Collegium Musicum 97", registrato a Bratislava, che a questo punto sembra essere davvero l'ultima produzione uscita a nome del gruppo fino ad oggi. Vengono riproposti alcuni vecchi successi, a partire dal singolo di inizio carriera "Hommage ŕ J. S. Bach"/"Ulica plná plášťov do dažďa", riproposto integralmente ed eseguito da una mano, quella di Varga, non piů precisissima ma comunque sempre in grado di regalare belle emozioni. Bella l'esecuzione di "Mikrokozmos", la rielaborazione di Bartók pubblicata in origine nell'album "Marián Varga & Collegium Musicum", alla quale fa seguito "Strange Theme", per poi tornare al "Preludio in Do Maggiore" di Prokofiev, risalente all'album appena citato. I 53 minuti di questo CD catturano un grande evento musicale, comunque destinato ai nostalgici del gruppo. L'esecuzione in sé non puň competere con quelle del periodo d'oro anche se i fan del gruppo la apprezzeranno comunque per quella che č.
Nel 2003 viene pubblicato "Solo in concert", album solista di Varga in cui l'artista si cimenta, tutto da solo e dal vivo, al piano, organo e sintetizzatori. L'album ha un sapore intimistico e le composizioni, 20 in tutto e brevissime (alcune non raggiungono il minuto di durata), dimostrano gusto e sensibilitŕ. Si passa da pezzi per solo piano, classicheggianti, a divagazioni curiose ai sintetizzatori. In generale, allo sfoggio di tecnica degli anni giovanili, Varga preferisce in quest'occasione pezzi meditativi e di atmosfera. Il CD, pur nella sua gradevolezza, č da considerarsi una trascurabilissima appendice alla discografia dei Collegium Musicum. Nel 2006 viene pubblicata un'antologia su due CD, intitolata "Hommage A Marián Varga", corredata da un voluminoso libretto, e contenente brani estratti sia dal repertorio dei Collegium Musicum che dai suoi progetti paralleli e solistici.
L'ultima opera ad ora pubblicata, sempre nel 2006, da Varga č rappresentata da "Marián Varga & Moyzesovo Kvarteto" che rappresenta una raccolta di 19 brani, tratti dal repertorio del tastierista e reinterpretate con l'ausilio di un quartetto d'archi che figurava anche fra gli ospiti dell'album "Divergencie". Sono ben rappresentate le canzoni tratte da "Zelená pošta" e da "Na II. programe sna", bellissime anche con questi nuovi arrangiamenti, e fra gli altri pezzi ne figura uno preso addirittura da "Zvonte zvonky". L'album č godibilissimo e compilato con gusto e rappresenta un gradevole modo per rivivere i vecchi successi. Un ascolto potrebbe essere interessante e consigliato.
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