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TRI YANN Jessica Attene
 

Quando si parla di Progressive Folk non si può non pensare ai Tri Yann, un gruppo molto longevo che può vantare ben quarant’anni ininterrotti di carriera, costellata dalla pubblicazione di molti album in studio e dal vivo e da numerosissime tournée, l’ultima delle quali è attualmente ancora in corso. Il nucleo storico dei Tri Yann si è conservato praticamente intatto dagli esordi fino ad ora, così come il loro spirito, sempre legato alla tradizione della loro terra di origine, la Bretagna, alla cui causa il gruppo ha interamente consacrato sé stesso. Il Folk Bretone è quindi il cuore della musica dei Tri Yann, il cui repertorio prende spesso come punto di partenza proprio la musica tradizionale del loro paese che viene riadattata secondo una visione moderna in forme che via via subiranno le influenze dettate dalle tendenze musicali del momento. Il nostro percorso non può che iniziare quindi dalla Bretagna.

La Bretagna e la scena folk bretone

La Bretagna è stata popolata fin dall’antichità da genti di stirpe celtica, con una lingua propria che ha un ceppo distinto da quello francese e questo legame ancora oggi è sentito in maniera molto forte, tantoché ogni anno a Lorient si tiene il festival interceltico, dove gente proveniente da Scozia, Irlanda, Cornovaglia, Galles, Galizia e Asturia si ritrova per celebrare le comuni origini presentando i propri gruppi musicali in un grande concerto. Già prima dell’anno 1000 la Bretagna era uno stato indipendente e tale rimase fino al 1532 quando venne annessa al regno di Francia. Nel 1790 il territorio bretone viene diviso in cinque dipartimenti e nel 1941 il Maresciallo Pétain, allora a capo del governo di Vichy, emanò un decreto che separava dal resto della regione Nantes, la antica capitale del Ducato di Bretagna, ove riposa il cuore della duchessa Anna. Ancora oggi Nantes è separata dalla Bretagna, facendo parte della regione dei Paesi della Loira, e nessuno ha avuto finora il coraggio di riparare a questo torto. Ma il governo centrale accentratore, fedele alla sua eredità giacobina, ha sempre osteggiato i regionalismi arrivando persino a vietare che si parlasse bretone nei luoghi pubblici. Già nell’Ottocento il numero di persone che si esprimevano in bretone arrivò ad essere inferiore a quello dei parlanti francese. Nei primi anni del Novecento veniva esposto nelle scuole un manifesto in cui si vietava di parlare bretone e di sputare in terra, in un certo senso assimilando implicitamente un comportamento incivile all’esprimersi nella propria lingua di origine. Il risveglio della lingua bretone e del sentimento di identità nazionale di questo popolo rifiorisce rigogliosamente negli anni Settanta, epoca in cui vengono fondate, per iniziativa locale, anche delle scuole bilingui.
Gli anni Settanta sono anche quelli in cui il folk viene riscoperto e trova ampia diffusione in tutta la Francia, dapprima sulla scia di quello americano, ma acquistando in breve tempo delle forti connotazioni regionali. In zone come la Bretagna o l’Occitania, caratterizzate da forti sentimenti autonomisti, esso diviene anche un vero e proprio strumento di rivendicazione delle proprie radici e di lotta politica per l’affermazione della propria identità. La musica permette di far riemergere dal passato il proprio patrimonio tradizionale (molti sono i gruppi che, spinti dal crescente entusiasmo, si gettano alle ricerca di antichi pezzi popolari) e attraverso i testi veicola idee e messaggi che permettono di far conoscere al mondo la delicata questione bretone. In questo senso Alan Stivell, personaggio chiave della rinascita della musica bretone, autore di testi di denuncia molto forti contro l’azione repressiva dei francesi (che vengono percepiti quasi come una popolazione estranea) verso i bretoni, è fermamente convinto che la sopravvivenza del patrimonio culturale della sua terra sarà possibile solo se anche gli altri paesi si affezioneranno alla causa. Per questo Stivell cerca di raggiungere un pubblico più ampio in un settore che però pullula di artisti intransigenti che vedono quasi come un traditore chiunque si rivolga a circuiti più aperti, che vadano oltre le pur folte ed attive case discografiche indipendenti locali ed i piccoli club del posto. Anche i Tri Yann, fin dagli inizi della loro carriera, si sono sempre impegnati per far conoscere le proprie radici facendo al tempo stesso da collante e da spirito guida per i bretoni che amano la loro musica e che li seguono tutt’oggi dal vivo con tanto di bandiere al seguito. L’approccio dei Tri Yann, così come quello di Stivell, è sempre stato aperto e divulgativo e questa attitudine li ha sempre ripagati nel tempo, considerando l’affetto costante dei fan e la loro longevità anche se le critiche degli estremisti intransigenti non sono mai mancate, giungendo al gruppo anche attraverso lettere e telefonate anonime con insulti e accuse di essersi venduti allo show-business. Molti dei loro brani hanno inoltre un’impronta fortemente pedagogica, rievocando miti, leggende e anche eventi storici della Bretagna che persino la gente del posto col tempo sembra aver dimenticato. Il gruppo si è dimostrato concreto anche sul piano politico, sostenendo ad esempio le forze politiche di Nantes a favore della riannessione del dipartimento della Loira Atlantica alla Bretagna. Ma la sopravvivenza della Bretagna è per i Tri Yann soprattutto una questione di identità culturale e non di vera e propria indipendenza politica dalla Francia (anche se i movimenti indipendentisti, con posizioni più estreme, non mancavano di certo), come dimostrato dal bellissimo testo/manifesto di “La Découverte ou l'Ignorance”, tratto dall’omonimo album del 1976.

Il bretone è la mia lingua madre? No! Sono nato a Nantes dove non si parla. Io sono bretone? A dire il vero, lo credo. Ma di razza pura? Che ne so e cosa importa? Separatista? Autonomista? Regionalista? Si e no. Diverso. Ma così non ci capite più niente. Cosa significa per noi essere bretoni? E prima ancora perché esserlo? Stato civile francese, mi chiamano francese e assumo in ogni momento la mia condizione di francese, la mia appartenenza alla Bretagna invece non è che una qualità facoltativa che posso benissimo negare o misconoscere. E l’ho anche fatto. Ho ignorato per molto tempo di essere bretone. Francese senza problemi, devo vivere la Bretagna come un surplus o per meglio dire nella mia coscienza. Se perdo questa coscienza, la Bretagna cessa di esistere in me, se tutti i bretoni la perdono, ella cessa assolutamente di esistere. La Bretagna non ha documenti. Ella esiste solo se ogni generazione di uomini si riconosce bretone. In questo momento nascono dei bambini in Bretagna. Saranno bretoni? Nessuno lo sa. A ognuno di loro, quando avrà l’età, la scoperta o l’ignoranza

Dagli esordi al Progressive Folk Bretone (anni Settanta)

Alla fine degli anni Sessanta le serate folk di Nantes prendono vita in piccoli e pionieristici avamposti, come il club privato Loquidy dove Jean-Louis Jossic, uno dei fondatori dei Tri Yann, programma degli eventi culturali ai quali sono invitati i gruppi folk della regione. E’ il 27 Dicembre del 1970, giorno di Saint Jean, quando Jean Chocun (voce, chitarra, banjo, basso), Jean-Paul Corbineau (voce, chitarra, armonica e cucchiai) e Jean-Louis Jossic (voce, dulcimer, flauto irlandese, bodhran, arpa giudaica) suonano per la prima volta insieme del folk bretone per un gruppo di amici a Plouharnel nei pressi di Carnac. Il primissimo repertorio del gruppo, che non aveva ancora un nome, era infatti incentrato sul folk americano.
La settimana successiva ripetono l’esperienza a Nantes in occasione di una festa da ballo e, secondo la leggenda, uno dei ballerini si rivolge scherzosamente ai tre musicisti chiamandoli, in bretone, Tri Yann An Naoned, i tre Giovanni di Nantes. Il nome calza loro a pennello e viene immediatamente adottato dal gruppo che viveva allora una vita ordinaria divisa fra impegni di lavoro e quella che era solo una passione, la musica folk. Jean Chocun era assistente amministratore presso una compagnia marittima e, come Jean-Paul, che era impiegato in un supermercato, non aveva mai avuto una formazione musicale. Jean-Louis, che aveva ricevuto una solida preparazione musicale presso il circolo celtico di Nantes, insegnava invece storia e geografia a Savenay nella stessa scuola in cui incontrerà un professore di inglese, Bernard Baudriller (voce, contrabbasso e violoncello) che si unirà al gruppo nel 1971.
All’inizio la strumentazione ha poco di celtico ed il sound, prettamente acustico, è costruito dal banjo, dalla chitarra classica e dal dulcimer. I Tri Yann vogliono far uscire la musica bretone dagli ambienti ristretti dei circoli folk per portarla ad un pubblico più ampio, avvezzo magari al folk americano, e suonano spesso nei centri culturali o anche nelle Maisons des Jeunes et de la Culture, strutture associative culturali di sinistra. Allo stesso tempo la musica bretone diventa un mezzo per affermare le proprie radici culturali e la propria identità. Pian piano il gruppo si costruisce così un repertorio fatto di pezzi popolari che spesso provengono da antiche tradizioni orali.

Nel Febbraio del 1972 avviene l’incontro con Gilles Servat, noto cantore bretone, che propone al gruppo di incidere un disco per la neonata etichetta discografica Kelenn, di stanza a Brest. Nasce così l’omonimo debutto “Tri Yann An Naoned”, stampato con una tiratura iniziale di appena 100 copie distribuite presso i principali negozi di dischi della Bretagna e che nel 1977 finirà col diventare addirittura disco d’oro. Poco più tardi ritroviamo i Tri Yann, al fianco di Glenmor e Gilles Servat, ad una serata di gala organizzata per finanziare il restauro della cattedrale di Nantes, danneggiata il 28 Gennaio del 1972 da un gigantesco incendio. Lo stock di 500 dischi che si erano portati dietro viene rapidamente esaurito da un pubblico a dir poco entusiasta.
La ricetta è semplice ma incredibilmente accattivante: tredici brevi brani per una trentina di minuti in totale che pescano soprattutto dalla tradizione della Bretagna, ma anche della Scozia e del Québec, rivisitati in chiave acustica. Gli arrangiamenti sono semplici o addirittura quasi rudimentali e le voci dei tre Jean si intrecciano e si alternano in allegri controcanti. Il banjo, che verrà adottato anche da molti altri gruppi folk bretoni, offre delle connotazioni sonore rustiche quasi country, un po’ insolite per questo tipo di canzoni. Il contrabbasso offre un supporto ritmico coinvolgente e l’inserimento del violoncello, del dulcimer e del flauto irlandese dona a queste tracce, dirette e allegre, abbellimenti graziosi, come avviene ad esempio nel breve intermezzo strumentale “Pastourelle de Saint-Julien-Maraichine”.
Alcune tracce i Tri Yann se le porteranno in concerto per altri quarant’anni fino ai nostri giorni. E’ il caso di “Les prisons di Nantes”, destinata a divenire un vero e proprio classico, qui eseguita al ritmo schioccante dei cucchiai e rielaborata successivamente variando anche alcuni versi del testo. Alcune canzoni si distinguono per la loro aria scherzosa, come quella di apertura, “Les filles de forges”, una chanson à danser della regione di Paimpont che parla di audaci ed ingenue operaie che confessano di amare i balli rifiutando però di abbracciare il prete in segno di riconciliazione, dichiarando di preferire al vecchio curato i bei ragazzi. Molto comica allo stesso tempo è la figura di “Johnny Monfarleau”, un personaggio decisamente pittoresco che proviene dalla fantasia di una cantante popolare del Québec. Fra i brani in lingua bretone troviamo una bella versione di “Tri martelod”, canzone marinaresca resa celebre anche da Alan Stivell, e “An’ Alarch”, pezzo presente anch’esso nel repertorio di molti altri gruppi folk. Nel canzoniere dell’album trovano posto anche un paio di tracce in inglese e cioè “Before Ireland Can Go Free”, che è più che altro un brano recitato con un testo che parla della rivoluzione irlandese del 1916-22 con un sottofondo di ispirazione celtica, e “Ye jacobites”, una canzone della tradizione scozzese. Sempre appartenente alla tradizione scozzese è “Le Dauphin”, riadattamento di un motivo delle isole Orkney, con un testo però in francese, mentre sono bretoni la deliziosa “La vierge à la fontaine”, la delicata “Les filles d’Escoublac”, che proviene più precisamente dalla regione Guérandais, il breve strumentale “La calibourdaine de Breca”, della zona di Nantes, e la traccia di chiusura, “Au pied d’un rosier”, della regione di Vannes.

Ben presto la Phonogram si interessa a questo piccolo caso e fa un contratto con la Kelenn assicurandone la distribuzione in tutta la Francia e portando la tiratura dell’album a 5.000 copie. La musica dei Tri Yann viene anche passata sulle grosse radio e “Les prisons de Nantes” diventa un successo nazionale. La fama dei Tri Yann si amplia a tal punto che Juliette Gréco li sceglie per aprire, assieme ad altri quattro gruppi, il suo spettacolo al celebre Olympia di Parigi nel Dicembre del 1972. Ma i Tri Yann non dimenticheranno mai la causa bretone e infatti li ritroviamo nel Novembre dello stesso anno a prestare giuramento assieme ad altri musicisti, fra cui l’amico Gilles Servat, a Plessala, un paesino della Côtes-d'Armor. Ne esce fuori il “Manifeste des chanteurs bretons”, in cui tutti gli artisti si impegnano a servire, attraverso le proprie produzioni, la causa bretone, dimostrandosi al tempo stesso solidali a tutte le lotte di liberazione politica, sociale ed economica della regione.

Il primo Gennaio del 1973 il gruppo diventa professionista a tutti gli effetti, accorciando il proprio nome in Tri Yann. Esce così il secondo album “Dix ans dix filles” che raccoglie in pratica i pezzi lasciati fuori dal primo LP. Giocoforza il nuovo lavoro rimane strettamente legato al precedente, offrendo una raccolta di dodici canzoni popolari riarrangiate alla maniera Tri-Yannesca in uno stile acustico scarno ma entusiasmante, anche se senz’altro non ne duplica la bellezza e forse prova ne è il fatto che da qui non esce nessuna canzone che durerà a lungo nel repertorio live della band. L’esecuzione dei pezzi è forse più approssimativa e trasmette più che altro lo spirito di una bella serata fra amici, come sembrano indicare le chiacchiere sullo sfondo della traccia di apertura, “Le filles de Redon”, un allegro motivo popolare bretone.
Troviamo oltre ai pezzi bretoni, come “L’âge de nos vingt ans”, che vede la partecipazione anche di un coro di bambini di una scuola di Savenay, “Rond de Saint Vincent revival”, “Ear bont Naoned” o “Marv Pontkallek”, quest’ultimo noto anche in una versione di Gweltaz con testi del Brazaz-Breiz, anche canzoni della tradizione scozzese come “Liberty” o “Hidle Cross”. C’è poi una allegra “Jig” irlandese con un banjo ritmato in primo piano. Fra le varie tracce dell’album segnaliamo un primo tentativo di realizzare musica originale con un pezzo composto da Jean-Paul Corbineau e arrangiato dalla band al completo intitolato ironicamente “Chansonnette pour palper des droits d’ateur”.
Nel Marzo del 1973 il disco viene presentato all’Olympia nell’ambito di uno spettacolo che vede riuniti i diversi artisti della Kelenn. Alla fine dell’esibizione dei Tri Yann la gente festosamente sale sul palco entusiasta a ballare ed il successo è tale che il gruppo viene invitato per una settimana intera ad aprire, nello stesso teatro, lo spettacolo “Keltia 73” che prevede la partecipazione di altri musicisti bretoni. L’estate di quell’anno il gruppo affronta un’intensa tournée assieme agli altri artisti della Kelenn per tutta la Bretagna e, l’anno seguente, sull’onda del grande successo, per tutta la Francia.

Il terzo album “Suite gallaise”, siamo nel 1974, è la prima uscita dell’etichetta discografica del gruppo, la Marzelle, che comunque continua ad avvalersi della distribuzione della Phonogram. La musica rimane acustica ma gli arrangiamenti diventano più sofisticati e si fa più forte la carica culturale e pedagogica in quest’opera che vuole difendere in particolare la musica dell’alta Bretagna all’epoca poco conosciuta. Gli stessi Tri Yann ci spiegano nelle note di copertina che questo album vuole dimostrare che la chanson bretonne non si limita alle forme in lingua bretone che, anche nel periodo della sua massima espansione, nel IX secolo, non ha mai raggiunto la parte più orientale della Bretagna, non arrivando mai a città importanti come Rennes o Nantes che hanno sempre avuto una tradizione linguistica francese. In realtà la musica non ha mai conosciuto questo tipo di barriere culturali dal momento che troviamo gli stessi motivi tradizionali indifferentemente sia in lingua francese che in bretone.
La splendida canzone “Complainte de la blanche biche”, di origini antiche, cantata e incisa da molti gruppi in diverse versioni, dimostra, secondo i Tri Yann, che la lingua francese non è di ostacolo nel tramandare la tradizione celtica. Frammenti di questa leggenda risalgono al XII secolo e si trovano nelle poesie d’amore e cavalleria della poetessa Maria di Francia. Accade qui che il bel cavaliere Guigemar, andando a caccia, vede una cerva bianca e la colpisce a morte con le sue frecce. Un dardo rimbalza però sulla coscia del cavaliere ferendolo e la cerva agonizzante gli dice che la ferita sarebbe guarita solo quando questi avrebbe trovato una fanciulla che avrebbe sofferto pene d’amore per lui. E’ noto inoltre che le korrigan, spiriti fatati della Bretagna, furono perseguitate come streghe quando il cristianesimo andava imponendosi sul druidismo. Fu così che questi spiriti, per meglio nascondersi si trasformavano in cervi. Il testo inoltre allude, secondo altri, nella sua simbologia, al tema dell’incesto. Una fanciulla confessa alla madre di trasformarsi di notte in una bianca cerbiatta e di essere preda del malvagio fratello che la caccia e infine la ferisce a morte. La musica è dolcemente evocativa con i suoi delicati intrecci arpeggiati, un cupo violino sullo sfondo ed il tocco un po’ insolito del banjo. La voce solista è quella di Jean-Paul, particolarmente ispirata quando interpreta ballate sentimentali come questa.
Fra gli altri brani degni di essere ricordati troviamo sicuramente “Pelot d’Hennebont” che rimarrà per molto tempo nel repertorio dal vivo del gruppo, variamente rielaborata. Si tratta della storia di un soldato bretone che scrive in un francese sgrammaticato alla madre lontana, dimostrando, con i suoi ingenui e goffi racconti, di non aver capito molto della guerra. Il testo è al tempo stesso ironico, amaro e a suo modo poetico e commovente e la musica è piacevolmente ritmata con un bellissimo assolo centrale di bombarda.
Non tutte le tracce sono però in francese, ne troviamo infatti una della tradizione irlandese, cantata in gaelico, “Cad e sin don te sin” e una in bretone, “Ton double”, posta al termine di una bella suite di gavottes des montagnes. In chiusura dell’album c’è invece una canzone che proviene dal Québec e risale al periodo che separa le due grandi guerre (“Chanson des commères”). Il testo, chiaramente xenofobo, è stato riadattato in chiave ironica per prendere in contropiede il suo spirito iniziale.

Nel 1976 con “La Découverte ou l’ignorance” il gruppo elettrifica il suo sound, si dota di un batterista, Jérôme Gasmi (che verrà rimpiazzato nel 1977 da Gérard Goron), e inizia a dedicarsi alla composizione. Vengono ora mescolati strumenti antichi e moderni ed il sound diventa molto affine al Progressive Rock. Il titolo dell’album si riferisce a un testo (presentato per intero all’inizio dell’articolo) scritto dal giornalista francese Morvan Lebesque, recitato nella traccia di chiusura in una atmosfera quasi sacrale e che può considerarsi come il manifesto ideologico del gruppo. Essere bretoni diventa una questione di consapevolezza e coscienza personale, una profonda impronta culturale che viene tramandata di generazione in generazione, per questo diviene cruciale la diffusione e la sensibilizzazione verso un patrimonio di tradizioni così ricco ma allo stesso tempo così fragile in un mondo che via via si va sempre più globalizzando.
A prevalere sono i temi tradizionali, splendidamente riarrangiati in chiave moderna, e alcuni di questi diventano presto dei grandi classici, primo fra tutti “La jument de Michao”: in origine una filastrocca per bambini, tutt’oggi è un numero imprescindibile di ogni concerto dove viene puntualmente cantata in coro da un pubblico entusiasta. Fra i brani più romantici segnaliamo “Le mariage insolite de Marie la Bretonne”, impreziosito da una base musicale raffinata intrecciata da auto-harp, salterio, flauto e violoncello, pezzo che in origine apparteneva al repertorio del cantautore francese Luc Romann, risalente al 1969. Decisamente divertente è invece “Princes qu’en mains tenez”, il pezzo di apertura, con testo appartenente al poeta quattrocentesco Jehan Meschinot, nativo di Nantes, che denuncia le condizioni miserabili del popolo, vittima della corruzione e delle ingiustizie dei potenti. La musica ritmata e allegra stride con le parole del testo con un effetto finale di amara e cinica allegrezza e spensieratezza.
Sono solo due i pezzi interamente composti da gruppo e cioè lo strumentale “La botte d’asperges”, con fragranze prevalentemente acustiche, e “Le grand vallet”, questa volta cantato in maniera ritmata e ripetitiva secondo modalità tipiche delle danze bretoni. Fra i brani che meglio esprimono la compenetrazione di suoni tradizionali ed elettrici c’è sicuramente “La dérobée de Guingamp” con una solida base di basso, le venature elettriche della chitarra (entrambi gli strumenti sono suonati da Jean), il flauto irlandese e l’immancabile bombarda. Interamente a cappella è invece il grazioso “Complainte Galleise”, un brano nuziale semplice ma efficace nell’intreccio dei canti, da sempre un vero punto di forza dei Tri Yann. L’album viene ricordato come uno dei migliori della discografia del gruppo e ha un buon successo divenendo disco d’oro nel 1979.

Nel 1977 il gruppo entra in conflitto con l’Union Démocratique Bretonne, un importante partito autonomista (ma non indipendentista) bretone che arrivò a far annullare ai Tri Yann una tournée e ad espellere Jossic dalle proprie fila. Nel 1978 la band tiene i suoi primi concerti all’estero: in Germania, in Belgio e in Svizzera al festival internazionale di Nyon e nello stesso anno pubblica “Urba”, un disco che consacra i Tri Yann fra i grandi della musica bretone, nonostante le persistenti critiche di alcuni estremisti. Il quinto album dei Tri Yann è un appassionato appello contro l’eccessiva urbanizzazione che è anche segno di un eccessivo appiattimento culturale e per la difesa delle tradizioni regionali che sono invece espressione degli ambienti rurali. Il folk, visto dalla gente urbanizzata, è qualcosa di esotico che sembra vivere solo nei musei etnografici, qualcosa magari da riscoprire e difendere ma vissuto sempre in maniera distaccata mentre esso esiste nella realtà, a patto che si lasci vivere quel mondo rurale che scompare di pari passo con l’urbanizzazione.
Dal punto di vista musicale bisogna segnalare che la stessa band parla apertamente di folk progressivo bretone per definire una musica che è anch’essa frutto, se vogliamo, della nostalgia urbana della campagna ma che conserva delle particolarità locali. Gli elementi elettrici si intensificano, soprattutto grazie a Gérard Goron, che oltre alla batteria suona anche il basso e la chitarra elettrica, perfezionando per certi versi la formula proposta nel precedente album. Il Trihori è una danza, la più antica della Bretagna di cui si abbia traccia scritta, che risale al XV secolo, in voga anche nell’alta società francese grazie alla duchessa Anna. La melodia è qui disegnata dal crumhorne e dalla chalémie, strumento orientale importato dai crociati. “Trihori medieval”, la prima traccia, introdotta dai suoni della campagna col canto degli uccelli, è controbilanciata dal “trihori décadent” posto in chiusura dell’album, suonato questa volta con l’ausilio degli strumenti elettrici in una formula progressive che paradossalmente potrebbe all’eccesso portare alla rottura della tradizione.
L’intreccio fra tradizione e innovazione è ben rappresentato anche in “Le vieux laudia” con i suoi ritmi tradizionali scanditi da un basso dai suoni netti e da un vivace violino. La lingua utilizzata è quella gallo, lingua di origine romana che è a tutti gli effetti una variante del francese e la cui esistenza è ancora più precaria rispetto al bretone. Anche la morte, l’Ankou in bretone, è vittima dell’urbanizzazione. Ella, protagonista di molte leggende bretoni, si aggirava per le strade di campagna caricando nella sua carretta i moribondi. I Tri Yann descrivono al ritmo di una Hanter-Dro (“Hanter-Dro Macabre”) quello che potrebbe essere uno dei suoi viaggi al giorno d’oggi in cui la metà dei bretoni vive raggruppata in cinque città. A dispetto della tematica macabra la musica è insolitamente gaia e festosa condita dai soliti intrecci vocali e da intriganti trame elettro-acustiche.
“Kerfank 1870” si riferisce invece a un episodio della guerra franco prussiana e dipinge la sorte sfortunata dell’armata di Bretagna, inviata dal comando parigino in un luogo malsano e fangoso (una “fangaia” come dice il titolo) perché sospettata di separatismo. L’armata valorosa e ben organizzata venne decimata dalla fame e dalle malattie in nome della Nazione francese senza neanche prendere parte ai combattimenti. I primi versi si riferiscono alla presa di comando del generale de Marivault che, non sapendo il bretone, scambiò le lamentele dei soldati che volevano tornare a casa, “d’ar ger!”, per un forte desiderio di andare a combattere.
Il disco contiene poi la canzone "Le soleil est noir ", che si ispira alla marea nera provocata dalla petroliera Amoco Cadiz al largo delle splendide coste bretoni nel 1978, considerata una delle peggiori catastrofi ecologiche della storia. Qui per la prima volta il gruppo affronta temi ecologici che verranno sviluppati più approfonditamente nel loro prossimo “disco ecologico”. Anche “Urba” ottiene il disco d’oro, il terzo della carriera dei Tri Yann.

Nel 1979 Jean-Paul viene temporaneamente rimpiazzato, per problemi di salute, per qualche mese da Mylène Coué. Nel 1980 il gruppo subisce un’altra trasformazione con l’aggiunta di Christian Vignoles (basso, chitarra e tastiere), vecchio compagno dei corsi di chitarra di Jean-Luc Chevalier ed originario di Clisson, e poi parte in tournée per l’Unione Sovietica in occasione del gemellaggio fra Nantes e Tbilisi.
Nel 1981 esce “An heol a zo glaz/Le soleil est vert”, album ecologista scritto in favore della lotta contro la costruzione di una centrale nucleare a Plogoff. "Kan ar kann", contenuta nella suite di 21 minuti che dà il titolo all’album e occupa il lato B del vinile, in bretone significa canto di combattimento e parla proprio della lotta degli abitanti di Plogoff contro la costruzione della centrale su un sito naturale caratterizzato da un ecosistema fragile. La popolazione fu contrastata nella sua resistenza pacifica dall’esercito francese che arrivò con gli elicotteri armato di fucili ma alla fine la sua tenacia fu premiata dal nuovo presidente Mitterrand che rinunciò al progetto. La suite è forse una delle composizioni più belle, complesse e toccanti scritte dai Tri Yann ed è uno splendido patchwork fra elaborazioni originali e cori tradizionali espresso con uno stile dinamico e ricco, dominato da canti a cappella e deliziose stratificazioni musicali con momenti evocativi e poetici, aperture strumentali solenni e accelerazioni efficaci. Per come è stata strutturata, questa suite è qualcosa di unico in cui si riconosce uno stile musicale personale e autenticamente progressivo.
Il lato A è composto invece da cinque tracce più brevi in cui spicca la splendida “Suite Ecossaise”, una allegra miniatura in cui si alternano, in soli cinque minuti, ben quattro brani tradizionali scozzesi. Alla stessa maniera “Grand bal de Kermaria-An-Isquit”, in un minutaggio analogo, accoglie tre brani, il primo dei quali è composto interamente dai Tri Yann. Troviamo poi per la prima volta un omaggio sentito a una delle figure più importanti della storia bretone e cioè la duchessa Anna di Bretagna, due volte regina di Francia e nota come colei che difese l’integrità del Ducato, il cui cuore, come recitano i versi della canzone “Si mort a mors” (se la morte ha morso), riposa in un’urna d’oro conservata a Nantes, sua città natale. La canzone, una deliziosa ballad accompagnata da una chitarra arpeggiata a dal salterio ad arco, fu utilizzata anche per la realizzazione di un videoclip ed è stata spesso riproposta dal vivo.
La traccia di apertura, “Guerre, guerre, vente, vent”, spicca per il suo testo pacifista, scritto da Jean-Paul Jéhanno, con una base musicale, dominata dalla chitarra acustica e da bei cori, che via via prende corpo attraverso l’inserimento di elementi elettrici e suggestive aperture sinfoniche classicheggianti. Manca per concludere la trattazione di un album bello sotto ogni punto di vista solo “Au jardin de mon père, les lilas sont fanés”, pezzo tradizionale rivisitato in chiave moderna con arrangiamenti vivaci ed interessanti in cui spiccano gli assoli della chitarra elettrica.

Gli anni Ottanta

Bisogna aspettare l’Agosto del 1983 per un nuovo album: “Café du bon coin”, che mostra per la prima volta sulla copertina il nuovo logo della band, alterna vivaci brani folk rock, con frequenti richiami alla musica irlandese, a ballate sognanti. I connotati folk sono ben evidenti e si innestato in un sound elettrificato con sonorità che spesso rimangono inevitabilmente ancorate alle tendenze dell’epoca. E’ il caso di “Les Programmeurs” scandito da una batteria elettronica con basso in evidenza sul quale si snodano ripetitive e divertenti filastrocche tradizionali. Alla stessa maniera “La ville de la Rochelle”, collocata in chiusura del lato A, presenta motivi folk ben delineati ma trasformati in chiave moderna. Fra i pezzi elettroacustici più belli sicuramente c’è “Irish Coffee – Abigail Judge” con i suoi canti à répondre, il flauto dalle fragranze irlandesi e una base ritmica, sì molto scandita e in evidenza, ma assolutamente non invadente che non denatura assolutamente lo spirito del brano.
Non si tratta però di un album interamente votato a certe sonorità alla moda quanto piuttosto di un’opera in bilico che vede l’alternanza di stili diversi in un insieme abbastanza variopinto e pur sempre gradevole. La deliziosa “An tourter”, che apre il lato B, riscopre la bellezza delle sonorità acustiche con eleganti arpeggi e flauti che sembrano portarci indietro nel tempo. Con chitarre elettriche e tastiere quasi Cameliane, la conclusiva “Le chevaux du mene-bre” ha invece un sapore quasi new-age, con cori affascinanti sullo sfondo a dipingere un paesaggio sonoro davvero suggestivo.
Tra le tante ballad che compaiono in questo album, tutte rigorosamente interpretate dalla bella voce di Jean-Paul, occupa un posto particolare "La ville que j'ai tant aimée", un adattamento in francese della più celebre "The Town I loved so well" di Bill Martin e Phil Coulter. Nel pezzo originale la città del titolo è Derry, in Irlanda del nord, ribattezzata dagli inglesi London-Derry, nel testo scritto da Jean-Louis Jossic invece si parla di Orvault (che è per la precisione il suo luogo di nascita), alla periferia di Nantes, una piccola città operaia dove il governo di destra, che rimpiazzò quello di sinistra dopo le elezioni, cambiò radicalmente la politica locale.

Nel 1984 il gruppo partecipa al celebre festival di Roskilde in Danimarca e al Festival interceltico di Lorient. Dopo il concerto di St. Dizier il 20 Dicembre 1984 Christian Vignoles lascia i Tri Yann per entrare a far parte di diversi ensemble jazz rock e di musica latina e dedicarsi poi all’insegnamento della chitarra nelle scuole.
Nel 1985 il gruppo viene insignito col Triskell d’oro, omaggio offerto agli artisti che si impegnano per lo sviluppo e la promozione della musica bretone. Si unisce quindi alla band Bruno Sabathé (voce e tastiere) mentre nel Dicembre dello stesso anno, dopo tanti anni di onorata carriera, se ne va anche Bernard Baudriller per dedicarsi all’insegnamento della chitarra presso la scuola di musica Migné-Auxances nella regione di Poitiers.
Sempre nel 1985 i Tri Yann festeggiano i loro primi 15 anni di attività con l’album dal vivo, registrato a Nantes, “Anniverscène”. Il disco contiene anche alcuni inediti e più precisamente: "Marche en sol","déjà mal marié", la versione originale irlandese della melodia di "Si mort a mors" (“An cailin rua”) e "Le capitaine de St. Malo".
Nel 1986 partecipano al festival di Cornouailles (Quimper) e Cardiff nel Galles ed entra nella band Louis-Marie Seveno, soprannominato Loumi, (basso, violino e flauto irlandese).

Nel 1988 esce il doppio album contenente l’opera rock “Le vaisseau de pierre”, gwerz fantastica ispirata all’omonimo fumetto di Pierre Christin e Enki Bilal pubblicato nel 1976. Trehoët, un piccolo villaggio bretone, è minacciato da affaristi parigini che vogliono distruggerne le bellezze naturali per costruirvi un immenso centro turistico e commerciale. L’antico castello che domina il borgo dovrà essere smantellato e ricostruito altrove ma il suo castellano, un anziano misterioso, svolgerà un ruolo chiave nell’aiutare il popolo a difendere le proprie radici culturali. Il castello si trasforma in un vascello di pietra che prenderà il largo fino a raggiungere i confini dell’America latina. Ecco quindi che la storia fantastica è ancora una volta emblematica del tentativo di rivendicare l’indipendenza culturale del popolo bretone dalle brame nazionalistiche ed accentratrici di Parigi.
Per la rappresentazione dal vivo, organizzata in maniera grandiosa, salgono sulla scena ben 150 marionette giganti, una bagad e balletti africani per un totale di 80 persone sul palco ma la tournée sfortunatamente si interruppe prima della fine perché non sostenibile sul piano finanziario, trattandosi in sostanza di un’opera poco commerciale. Dal punto di vista musicale i motivi della tradizione si mescolano a sonorità moderne che rimangono per molti aspetti legate agli anni Ottanta con elementi pop e suoni spesso sintetici scanditi dalla batteria elettronica. Gli intarsi folk, gli intrecci vocali, il tamburo scozzese e le cornamuse, sono tutti elementi che rendono più interessante una miscela decisamente variegata ma non sempre purtroppo all’altezza della situazione. L’opera si snoda lungo 20 brevissime tracce spesso poco consequenziali fra loro con un effetto complessivo un po’ frammentario che subisce tanti alti e bassi.
Sicuramente i Tri Yann hanno cercato di far sopravvivere la loro visione musicale in un contesto attuale ma evidentemente le sonorità che spopolavano a quei tempi non esaltavano al massimo il loro stile. Questo album di conseguenza, nonostante la bellezza della storia narrata, rimane qualcosa di limitato e legato al periodo in cui è uscito non possedendo quel fascino senza tempo di cui invece erano dotate le loro vecchie riletture dei pezzi tradizionali.

Nello stesso periodo arriva nella formazione l’ex chitarrista dei Magma Jean-Luc Chevalier che porta alla musica del gruppo un tocco jazz-rock e fusion. L’ultimo scorcio degli anni Ottanta è un periodo di crisi che giunge al culmine di una lenta discesa segnata da album gradevoli ma non all’altezza dei vecchi capolavori che trovano il loro apice in “Le soleil est verte”, ma i Tri Yann continuano comunque a fare tournée in giro per la Francia beneficiando di un seguito meno numeroso ma molto fedele.
Proprio dal vivo i Tri Yann riescono ad essere formidabili studiando spettacoli entusiasmanti che riescono a coinvolgere attivamente il pubblico.

Il periodo che va dal 1991 al 1994 in particolare si distingue per la messa in scena di vere e proprie pantomime che hanno come protagonista il non-super eroe SuperBreizh nell’ormai leggendario sketch “Vol 007 pour Ploupensec en Kersauce” attorno al quale è costruito l’intero concerto.
Loumi Séveno, il violinista, è travestito da hostess, Jean-Louis e Jean hanno un’uniforme da pilota e guidano il Tupolec della compagnia Bigoud Airways, Jean-Paul è una specie di Indiana Jones, Jean-Luc porta un caffettano arabo. All’inizio del concerto l’equipaggio dà degli ordini strani e fantasiosi ai passeggeri/spettatori, due dei quali sono invitati sul palco per girare le eliche dell’aereo ma nel bel mezzo dello spettacolo l’apparecchio si schianta sul deserto della Ruhr. A questo punto SuperBreizh, alias Jean Louis Jossic, vestito con tuta nera, cappello e un mantello rosso, può intervenire per salvare l’equipaggio. Il concerto si trasforma così in un gioco di ruolo al quale partecipano alcune persone prese a caso dal pubblico alle quali vengono fatti interpretare i ruoli di strani personaggi. SuperBreizh è incaricato dal druido Ariel, vestito di una veste di un candido abbagliante, impersonato da Loumi, di ritrovare sua figlia, la fata Soupline (che è una marca francese di detersivo). I personaggi comprendono una specie di Rambo che vuole portare la pace col mitra, un mago Merlino ubriaco ed altri ancora. Alla fine colui che riuscirà a estrarre il coltello da formaggio della tavola rotonda da una tartina sarà il prescelto che salverà la fata Soupline. Il vincitore è ovviamente SuperBreizh. Fra le missioni che Merlino assegna a SuperBreizh c’è quella di gettare una tanica di liquido che rende folli nel paese dell’eterno autunno ed è così che Jean-Louis prende un contenitore con su scritto “Petrolio”, in riferimento evidente alla Guerra del Golfo. I riferimenti alla guerra fredda sono evidenziati invece da personaggi come Mikhaïl Perestroïko e dal muro di Merlino.

Gli anni Novanta

I Tri Yann consacrano nel frattempo, siamo nel 1990, il loro nono album in studio, “Belle et rebelle”, a Nantes ed il titolo si riferisce proprio alla città, celebrata così nei versi del poeta Jacques Demy. La copertina stessa, ideata da Jean-Louis con l’aiuto di Bruno Sabathé, è un collage di immagini che richiamano vari aspetti della storia della città affrontati anche nelle undici canzoni che compongono il disco. L’opera ha delle sonorità più elettriche e inizia a scrollarsi di dosso, in tanti alti e bassi, alcuni degli stilemi sonori del decennio appena trascorso, pur rimanendone ancora, per diversi aspetti, decisamente dipendente. Si scorgono elementi fusion e folk con arrangiamenti più movimentati, anche se la costruzione dei brani a volte appare decisamente schematica.
Se “Le Renard”, brano dedicato a Alain II il Barbastorta, duca di Bretagna che vinse i Normanni e ricostruì Nantes rendendola capitale, si basa su ritmi sincopati e ritornelli ammiccanti, rivelandosi ben poco interessante, non mancano comunque brani più complessi che vale la pena ricordare. In questo senso mi piace citare “Le tourdion des manants”, costruito sulla musica di Jehan Tabouret, canonico di Langres e compositore cinquecentesco, e alcuni versi presi in prestito da Jean Meschinot, poeta di corte Nantese profondo osservatore della società del suo tempo. Gli arcaicismi linguistici, musicali e sonori vengono fusi in una forma dai ritmi moderni, rinforzati dalla chitarra elettrica e dalla batteria energica, in cui risaltano le belle polifonie, con il dulcimer, la bombarda e il violino ad arricchire un tessuto musicale fatto di contrasti e particolari preziosi.
“Produced and Bottled in Nantes”, uno strumentale che trae ispirazione dalle torbiere di Connemara in Irlanda, è un vivace brano rock fusion con melodie celtiche che potrebbe stranamente ricordare qualcosa dei Dixie Dregs. L’album contiene anche qualche citazione del passato dei Tri Yann con il canto a cappella di “Gwerz jorj courtois” che richiama in qualche modo il vecchio “Les prisons de Nantes” e la melodia di “Koorydwen et le rouge de Kenholl” ripresa dal tradizionale irlandese “Cad e sin don te sin” già proposto nel terzo album dei Tri Yann “Suite galleise”.
“La petite Perrine, la marchande de coccinelles” risveglia i fantasmi degli anni Ottanta in una soluzione radiofonica con tanto di cori di bambini e tastieroni plastificati. La stessa “Sur la fosse au boulot”, con i suoi cori marinareschi ed i ritmi fin troppo semplificati, appare un tantino sguaiata. Per fortuna ci sono brani come la graziosa ballad dal fascino antico “Sonate de Paul Ladmirault” a fare da contraltare, un piccolo poema sinfonico dai richiami gaelici, oppure la delicata e quasi Cameliana “Favet Neptunius Eunti”, un riadattamento di una melodia del nord Finistère in cui si mescolano con grande maestria sonorità moderne a elementi antichi. La title track viene collocata in chiusura ed è una ballad abbastanza semplice che si giova della voce di Jean Paul e di morbide aperture strumentali ma che comunque non arriva a convincere appieno, sintetizzando lo stile altalenante dell’opera vista nella sua interezza.

Sempre nel 1990 la SACEM, equivalente francese della nostra SIAE, ricompensa con una medaglia i venti anni di carriera dei Tri Yann. Nel 1993 esce la compilation “Inventaire” che riprende tutta la storia del gruppo. Due concerti nella zona di Nantes finiscono nell’omonimo VHS che, oltre alla presentazione del gruppo, offre i momenti salienti dello spettacolo. Quella delle compilation è una moda molto apprezzata dai Tri Yann che posseggono certamente un repertorio molto ampio dal quale si possono benissimo selezionare dei brani. Con gli anni ne escono diverse e questo fenomeno non si è ancora arrestato. Fra le tante vale la pena menzionare quella uscita nel 2004 ed intitolata “Les racines du futur” perché abbinata ad un bel DVD con il concerto al festival interceltico di Lorient del 2003, un documentario sui costumi di scena e altre piccole sorprese.
Arriva nel frattempo Christophe Le Helley a rimpiazzare Bruno Sabathé, portando un nuovo spirito medievale e tradizionale alle composizioni del gruppo la cui crisi è ora in fase di risoluzione, grazie anche al un ritorno di fiamma della musica celtica con una nuova ondata di interesse che giunge nel 1995 e si rafforza negli anni successivi.
I concerti dei Tri Yann, già molto fantasiosi, come abbiamo visto, si trasformano in veri e propri spettacoli teatrali con coloratissimi costumi di scena, con Jean-Louis Jossic, leader assoluto, che coinvolge il pubblico con le sue storie, le sue trovate istrioniche e la sua inesauribile carica che lo porta a saltare letteralmente da una parte all’altra del palco sotto gli occhi sorpresi e divertiti dei fans.

”Portraits” e la questione Seznec

Sempre nel 1995 il gruppo registra “Portraits” nella magnifica abbazia di Fontevrault, costruita nel 1099 da un eremita bretone nella regione della Loira e riesce in qualche modo ad imprimere al nuovo album tutta la magia del luogo che presenta oltretutto un’acustica straordinaria. Le canzoni sono state incise grazie al supporto di uno studio mobile in presa diretta e anche questo valorizza la freschezza del sound che porta in sé fragranze rinascimentali e medievali ben lontane da quanto proposto nei dischi appena precedenti. Gli elementi elettrici non mancano ma si inseriscono in modo naturale nell’impianto prevalentemente acustico dell’opera. Sembra proprio che i Tri Yann abbiano finalmente recuperato il loro antico splendore con questo album particolarmente ispirato. Ma le sorprese di “Portraits” non finiscono qui, non ci sono solo antiche leggende e melodie celtiche al suo interno ma sei delle 15 tracce, quelle conclusive, sono dedicate alla questione Seznec, fatto questo che fa acquistare all’opera una forte valenza politica.
Ma prima ancora di affrontare le perle musicali racchiuse in questo scrigno vale la pena spendere due parole su questa complicata vicenda. Guillaume Seznec, nativo di Plomodiern, un piccolo comune del Finistère, è stato protagonista di uno dei più controversi casi giudiziari della giurisprudenza francese che continua ad avere il suo peso anche ai nostri giorni. Il 25 Maggio del 1925 Seznec parte per Parigi con una vecchia Cadillac che aveva ottenuto grazie all’amico e consigliere regionale del Finistère Pierre Quémeneur con l’obiettivo di rivenderla e concludere un buon affare. I due avevano appuntamento a Rennes ma la macchina, che era un’eccedenza dell’esercito americano lasciata lì dopo la I guerra mondiale, si rivelò una autentica carriola che beveva tantissima benzina e regalava in cambio guasti su guasti e forature. Ecco quindi che Quémeneur, che aveva urgenza di essere a Parigi per il giorno successivo, lascia dopo qualche chilometro l’amico alla prese con la bagnarola e prende il treno. Seznec prosegue da solo come accordato ma la vettura lo abbandona definitivamente costringendolo a tornare al punto di partenza, Morlaix, mentre di Quémener, mai giunto a Parigi, non si avranno più notizie. I suoi familiari, pur in assenza di prove e del cadavere del congiunto, accusano immediatamente Seznec di omicidio. Il povero Seznec, senza neanche un valido movente, fu condannato, dopo un processo a dir poco approssimativo, ai lavori forzati a vita nei bagni penali della Cajenna.
Nel 1946, dopo tanti anni dalla condanna, appare sempre più evidente che Seznec è stato vittima di un errore giudiziario, ma la legge francese non prevede la revisione della pena dal momento che la condanna in primo grado è quella definitiva. De Gaulle, sebbene Seznec si sia sempre rifiutato di chiederla, concede finalmente la grazia al detenuto che il primo Luglio del 1947 sbarca a Le Havre con tutta la famiglia ad attenderlo. Risale a questa occasione la celeberrima foto che è stata utilizzata anche come copertina dell’album dei Tri Yann. Per anni il nipote Denis Seznec-Le Her si è dato da fare per trovare quella giustizia che è sempre stata negata al nonno raccogliendo prove, testimonianze e tenendo conferenze sperando che gli fosse riconosciuta la sua innocenza. Proprio mentre si recava ad una di quelle conferenze, a Parigi, Seznec fu investito da un furgone e morì più tardi in seguito alle ferite riportate nell’incidente (per qualcuno si trattava però di un vero e proprio omicidio). Nel 1989 il parlamento francese vara una legge, popolarmente denominata “legge Seznec” per il valore simbolico della vicenda, che permette la revisione di un processo, anche post mortem.
La suite dedicata al povero Guillame inizia con la quasi comica ”Le voyage” in cui viene dipinto l’avventuroso viaggio in macchina, minato dai continui guasti della vecchia vettura. Il ritmo è di marcia, i cori divertenti (segnaliamo tra l’altro che è ospite in questo album alla voce Bernard Baudriller) con elementi celtici sullo sfondo a rendere più frizzante l’atmosfera di questa avventura drammatica e grottesca. Tutta la storia viene descritta con dovizia di particolari ed il processo, rappresentato nella successiva “Le procès”, è narrato con testi esaurienti e con crescente tensione. “L’adieu” è il testo della lettera scritta da Guillame alla moglie prima della sua partenza per i bagni penali recitato dal nipote Denis in persona che ha partecipato anche ad alcuni concerti dei Tri Yann per dare voce alla causa del nonno. La dimessa ballad “Le bagne” è interpretata dalla voce solista di Jean-Paul con tenui ricami d’arpa e parti corali solenni che compiangono il triste destino del prigioniero. “La déliverance” racconta del ritorno a casa di Seznec ma non si tratta affatto di una canzone festosa quanto di un dolce canto di speranza aperto da un flauto irlandese che ispira solitudine e nostalgia di casa. I cori sono costruiti in crescendo dando la sensazione di un progressivo rinfocolarsi delle emozioni. L’ultimo capitolo della suite è rappresentato da “Seznec est innocent!”, una versione in francese del lamento bretone “Justiz avec Seznec” scritto dal bardo François Stéphan e interpretato qui da sua figlia M.me Castel.

Facciamo ora un piccolo passo indietro per parlare delle prime nove tracce che contengono altrettanti ritratti di personaggi appartenenti a epoche diverse e legati alla Bretagna o alla tradizione celtica. Si tratta di nove gioielli, ognuno con le sue particolarità e caratterizzati dal recupero di melodie antiche e tradizionali rielaborate in chiave moderna ed elegante. Il brano di apertura, “Marie-Camille Lehuédé”, ha un ritmo che ricorda un classico en dro e parla di un operaio delle industrie conserviere di Douarnenez, villaggio celebre per la lavorazione delle sardine, che vuole sposare una bella ragazza. Strumenti elettrici e tradizionali con deliziosi crumhorn, tenui intrecci d’arpa e veuze (una varietà bretone della cornamusa) che si mescolano a decisi riff di chitarra con contrasti interessanti. “La métamorphose de Madeleine Bernard” è un delicato quadretto interpretato dalla voce appassionata di Jean-Paul, contrappuntata da flauti di legno e mandoloncello. Siamo a Pont-Aven dove il giovane pittore Emile Bernard, assieme agli amici Charles Laval e Paul Gauguin sviluppa nuove visioni pittoriche che faranno scuola. Il quarantenne Gauguin si innamora perdutamente della giovane sorella di Emile, Madeleine, che purtroppo non lo corrisponde. Madeleine finirà invece col seguire Laval in Egitto dove troverà la morte per tubercolosi, condividendo lo stesso destino del suo amante. Gauguin non dimenticherà mai la sua amata per tutta la vita.
La allegra ballad strumentale elettrificata che segue è dedicata a Gerry Adams, politico nordirlandese in primo piano nella lotta per l’unificazione dell’Irlanda.
“Arthur Plantagenest” rievoca la dinastia dei Plantageneti recuperando un lai anonimo del 1203, che viene riccamente rielaborato con particolareggiati intarsi strumentali. In particolare viene narrata la storia di Arturo Plantageneto, duca di Bretagna e nipote della regina Eleonora d’Aquitania e del re Enrico II d’Inghilterra, entrambi sepolti proprio presso l’abbazia di Fontevrault. Il giovane ricevette il ducato di Bretagna dal nonno con la speranza di poterlo riunire in un vasto regno come all’epoca di re Artù ma i suoi progetti divennero vani a causa dello zio Giovanni Senza Terra che lo sgozzò e fece gettare il suo corpo nella Senna presso Rouen.
“Goulven Salaün”, qui protagonista di una energica gwerz in lingua bretone, con tamburi e canti vigorosi che sembrano incitare alla lotta, suona il 3 Maggio del 1675 la campana dell’orologio della città di Nantes per chiamare i cittadini a ribellarsi contro gli aumenti delle imposte voluti dal re ma viene condannato a morte e impiccato nella pubblica piazza. L’episodio rientra in quella che viene ricordata come la rivolta dei “berretti rossi” che fu duramente repressa dal regno di Francia e fece precipitare la Bretagna in un lungo e cupo periodo di crisi e miseria.
“Olivier Henry” era il sindaco di Brennilis, un piccolo comune di Monts d’Arrée dove fu impiantata, nel 1962, l’unica centrale nucleare della Bretagna. La centrale sembrò accrescere lo sviluppo economico della regione ma nel 1985 il suo reattore inefficiente fu arrestato e ci si imbarcò in una difficile, lunghissima e onerosa opera di smantellamento infrangendo il mito del nucleare che porta benessere e progresso. Olivier, ex dirigente del commissariato per l’energia atomica, che una volta “adorava un effimero vitello d’oro” che “si è trasformato in ferro rugginoso”, volta alla fine bandiera e si dichiara difensore del turismo in una zona però ormai degradata e cementificata ed il “piccolo sindaco”, conclude la canzone, dovrebbe farsene una ragione.
Un altro allegro strumentale di ispirazione irlandese è dedicato a “Brian Boru”, condottiero che liberò l’Irlanda dai Normanni e ne divenne il re.
“Aloïda” è una giovane mora che rischia di divenire la vittima dei tre fratelli che la hanno vista passeggiare mano nella mano con uno studente. Gli assassini in ambito familiare sono uno dei temi dei gwerziou (plurale di gwerz) bretoni, canti tipici spesso a soggetto drammatico o epico, ma la fine della storia si rivela tragica per i tre fratelli malvagi che moriranno tutti in modo cruento. Il brano, che prende spunto da melodie antiche, è uno dei più belli dell’album per i suoi ritmi coinvolgenti e gli intrecci canori e strumentali.
La carrellata di ritratti non poteva che culminare con l’amata duchessa “Anne de Bretagne” alla quale è dedicato un delicato e prezioso strumentale dalle fragranze antiche con forti connotazioni tradizionali.

I Tri Yann verso il nuovo millennio

Questo è un periodo molto felice per i Tri Yann che continuano la loro ricca stagione live. Con i concerti a sostegno dei gruppi studenteschi poi il gruppo guadagna tanti giovani spettatori rinfoltendo il proprio seguito, sempre più affezionato. A Ottobre del 1995 la storica fabbrica dei biscotti LU di Nantes organizza due concerti eccezionali che vedono la partecipazione di tutti i musicisti che hanno fatto la storia del gruppo. Per l’occasione viene realizzata un’altra compilation “Inventaire volume 2” che raccoglie brani fino al 1990.
Il 1996 è soprattutto l’anno di uscita del secondo live del gruppo: “Tri Yann en concert” che riprende i momenti dal vivo più belli, compresi gli sketch di Jean-Louis Jossic. Il pubblico che viene a vedere i Tri Yann è sempre più numeroso e acquista fans europei, americani e canadesi e il gruppo ottiene anche l’attenzione, a livello nazionale, degli ascoltatori più mainstream tanto che viene invitato per la prima volta al celebre programma “Les Victoires de la musique”, serata annuale di celebrazione a premi delle canzoni nazionali.
Nel Giugno e nel Luglio 1998 i Tri Yann accompagnano l’orchestra nazionale dei paesi della Loira proponendo assieme al proprio repertorio alcuni classici bretoni e unendo le sonorità classiche a quelle tradizionali. La serie di concerti dà poi vita all’album “La tradition symphonique”. Ad Agosto, alla fine di questa serie di concerti, Christophe Le Hallay lascia il gruppo per unirsi all’ensemble medievale La Musardaille.
Nel 1999 arrivano nuovi musicisti ad integrare la formazione: Konan Mevel (voce, flauto, cornamusa, biniou, veuze), leader del gruppo Kad, e Fred Bourgeois, con una cultura musicale jazz alle spalle (voce e tastiere) e in Ottobre sono invitati da Alan Simon a partecipare all’opera rock “Excalibur” a Rennes in uno spettacolo che ha coinvolto 130 ospiti fra i quali Roger Hogdson (Supertramp), Dan ar Braz, Fairport Convention, Gabriel Yacoub, Nikki Matheson, la Bagad di Quimperlé, l'orchestra sinfonica di Praga, il violinista Didier Lockwood e l’attore Jean Reno. Il 6 dicembre 2005 esce il DVD di questo evento.
A Dicembre, dopo 14 anni di collaborazione, lascia il gruppo Louis-Marie Seveno che sperimenterà altre esperienze musicali fra cui la creazione di una nuova band, i Cernunos. Il suo posto è preso da Christophe Peloil che, oltre al violino, suona il basso e canta. L’estrazione del musicista è classica ed il suo interesse per la musica popolare arriva in un secondo momento.
Uno dei tre Giovanni, Jean-Paul, è costretto ad assentarsi dalle scene dal Maggio del 2000 al Gennaio del 2001 e lo sostituisce in questo periodo la sorella di Konan, Bleunwenn Mevel. La cantante lascia la band il 19 Gennaio del 2001 in occasione della festa per il trentennale dei Tri Yann anche se parteciperà ancora in qualche concerto come ospite.

Il 16 Gennaio 2001 esce l’album "Le Pélégrin" che si rivela un’occasione di perfetta fusione fra tutte le potenzialità e le caratteristiche dei musicisti. L’album, con musiche prevalentemente composte dal gruppo con l’innesto di intarsi tradizionali, racconta la storia di un pellegrino, Ian Angus, che lascia la sua isola natia, Lewis Island, in Scozia, per recarsi a Santiago De Compostela. Le canzoni sono i vari frammenti del suo viaggio che lo portano attraverso vari paesi di tradizione celtica: l’Irlanda, il Galles, la Bretagna e finalmente la Galizia. Le trasformazioni del paesaggio ed i nuovi personaggi incontrati nel viaggio si mescolano al variare delle musiche che gradualmente assumono connotati etnici diversi, pur conservando una visione di fondo unitaria e coerente che si traduce in un album qualitativamente eccellente e privo di cali di entusiasmo.
Così il canto di apertura, “I rim bo ro”, è in gaelico e ricorda i paesaggi verdi delle Ebridi, mentre i reel e le gighe accompagnano il nostro pellegrino nel suo allegro soggiorno al “Keenan’s Pub” nella verde Irlanda. In Bretagna facciamo la conoscenza di tre affascinanti personaggi femminili dalle storie diverse descritte le prime due da testi in bretone e la terza in francese: “Korentinig”, una giovinetta rimasta orfana del padre, l’ancella “Franzosig”, la cui figura è illuminata dal ritmo saltellante della gavotte, e infine la bella “Maïawela”. Ian è un pellegrino moderno che ha a che fare con gli avvenimenti del suo tempo, pur serbando nel cuore le proprie tradizioni, e infatti in “La Geste de Sarajevo”, una monumentale gwerz dai suoni e dai contenuti attuali, apprende la triste storia di un casco blu francese, caduto a Saraievo mentre cercava di salvare delle vite.
Ma il viaggio di Ian è anche allegro e ricco di vivaci aneddoti come quelli narrati in “Le chasseur de temps” da uno strano marinaio durante il viaggio che lo porta in nave dalla Scozia all’Irlanda. Non poteva mancare poi una classica chanson à boire, “Buvons vin de Glisson”, che Ian impara dai bretoni. Le gioie della vita si possono apprezzare anche attraverso una avventurosa traversata su un ultraleggero (“L’ULM merveilleux”): il viaggio per Santiago è impegnativo e sarebbe troppo lungo farlo a piedi e troppo noioso in treno mentre in questo modo si può anche approfittare della presenza di una giovane insegnante. Nella ballad “De nivôse en frimaire”, delicatamente contrappuntata da melodie scozzesi, Ian incontra altri pellegrini con la conchiglia sul cappello che hanno affrontato le intemperie e le difficoltà di un lungo viaggio mentre nella divertente “A matine à la télé” conosce una bella giovinetta letteralmente ipnotizzata dalle reclame televisive: il brano è un bazar di colori in cui i Tri Yann prendono in giro le televendite sfruttando un vecchio pezzo tradizionale. Dall’incontro con i mori nasce la splendida “Kas-abahr en Okitania” in cui i motivi arabeggianti si mescolano come in uno splendido arazzo agli elementi celtici con orchestrazioni variopinte. “L’arrivée à Compostelle” non è meno suggestivo con uno splendido strumentale in cui figura persino uno spettacolare assolo di chitarra classica in stile flamenco assieme a tantissime altre suggestioni che ricordano terre diverse.
L’album rimane uno dei più interessanti dell’intera discografia dei Tri Yann sia per la bellezza della storia, sia per il suo sound fresco e sinfonico ricco di intarsi tradizionali dai colori cangianti e di diversa ispirazione che convivono allegramente in felice simbiosi. Inoltre le parti corali sono davvero uniche, grazie anche al contributo di Bleunwenn che aggiunge un colore diverso alle belle polifonie che già conoscevamo. Si può tornare a parlare a piena ragione di Progressive Rock Folk Sinfonico per quest’opera sicuramente da ricordare. Come ultimo particolare mi piace segnalare il pezzo “Je m’en vas”, interpretato da Jean-Paul, che anche ora viene utilizzato in chiusura dei concerti per salutare il pubblico, dimostrazione ulteriore che queste canzoni hanno una meravigliosa tenuta nel tempo.

Come accennato, il 2001 è anche l’anno del trentennale che viene festeggiato con una lunga tournée che tocca anche lo Zenith di Parigi e dal quale verrà tratto un bellissimo doppio live con DVD/VHS (intitolato appunto “30 ans au Zénith”) che contiene diversi brani tratti dall’ultimo album in studio che dal vivo appaiono particolarmente affascinanti grazie anche al contributo scenico e vocale di Bleunwenn. L’effetto della musica è potenziato dai coloratissimi costumi e dalla grande capacità del gruppo di dominare la scena e accaparrarsi immediatamente le simpatie del pubblico.

Per il loro diciassettesimo album in studio, “Marines”, uscito il 22 Settembre 2003, i Tri Yann decidono di celebrare il mare e le grandi epopee di marinai e navigatori. L’album offre nuovi tentativi di attualizzare la tradizione attraverso la fusione di elementi antichi e moderni, appare nel complesso molto elegante e vi sono brani di ottima fattura che meritano di essere ricordati, accanto ad altri non entusiasmanti. Globalmente l’opera appare più semplice rispetto a quella precedente, con una prevalenza di ballad e chanson, ma vi sono pur sempre passaggi carichi di poesia.
Se la divertente chanson à boire collocata in apertura, “Whisky whisky” lascia un po’ il tempo che trova, la successiva “Sein 1940”, grazie anche agli eventi storici da cui trae ispirazione, colpisce dritto al cuore. Il 19 Giugno 1940 i marinai della piccola isola di Sein, al largo della Bretagna, furono i primi a rispondere all’appello di De Gaulle per imbarcarsi in guerra alla volta dell’Inghilterra. Quando il generale passò in rassegna i 600 primi volontari si stupì, chiedendo a uno a uno la loro origine, di ascoltare a ripetizione che venivano dall’isola di Sein così da esclamare “Sein è quindi un quarto della Francia”? I cori intonati dai Tri Yann, che suonano come un inno accorato, invitano il popolo francese e i grandi di Francia a ricordare cosa hanno fatto questi marinai per la nazione. Alla luce di ciò, appare una violenza e un’offesa condannare la loro lingua, il bretone, al macello. Ricordiamo infatti che il governo centrale scoraggiava fortemente l’uso delle lingue locali ed era persino vietato parlare bretone nei luoghi pubblici. Ecco quindi che questo richiamo storico ci riporta con forza alla questione bretone e alla difesa di questa cultura. Piccoli inserti celtici si innestano nella ballad dai toni pacati a ricordare la forza delle radici di questa gente.
Da questo punto di vista viene proposto un altro brano molto significativo, “Divent an dour”, una celebre canzone tradizionale americana di origine probabilmente scozzese, qui proposta in un adattamento bretone scritto da Gilles Servat. Il pezzo è considerato come una specie di inno per i popoli di origine celtica e trova quasi sempre spazio nei concerti dei Tri Yann con il pubblico che la accoglie alzandosi solennemente in piedi e cantandola in coro. La parte finale è occupata da un suggestivo coro di cornamuse accompagnate dalla batteria scozzese. Un’altra ballad delicata ma decisamente graziosa è dedicata a “Marie-Jeanne-Gabrielle”, nata a Parigi nel 1947 ma discendente da una vecchia famiglia di Sein fatta di pescatori (ma senza barca!). Orchestrazioni deliziose si intrecciano a richiami folk appena tratteggiati con la voce di Jean-Paul che è grande protagonista, sempre efficace nel raccontare le storie di affascinanti personaggi femminili. A impreziosire il tutto ritroviamo ancora le belle polifonie dei Tri Yann che si inseriscono in un brano che potrebbe ricordare i Camel più moderni.
Più fresco nei ritmi e più concitato è “La campagne du Belem de 1902” con cori marinareschi che si fanno strada in una intrigante struttura che vede l’alternarsi della chitarra elettrica, che regala anche interessanti assoli, alle squillanti cornamuse. La Belem era fino alla prima guerra mondiale una nave mercantile poi riadattata a yacht dal duca di Westminster per poi essere rivenduta al ricchissimo birraio irlandese Sir A.E. Guinness. La nave scampò miracolosamente all’eruzione del monte Pelée in Martinica, non trovando posto per l’ancoraggio.
“Belle Virginie” è un’altra ballad che offre il ritratto di un personaggio femminile attraverso le parole dell’amato che si imbarca per la guerra del Messico (1862) decisa da Napoleone III. Il brano prende origine da una canzone del Québec composta nel XVIII secolo e trasformata dai Tri Yann in una drammatica gwerz. Troviamo poi altre fragranze e altri sapori nelle canzoni di questo album, come quelle di ispirazione americana che colorano “Lest du Diable”, delicato soprannome dato alle rare donne tollerate a bordo dei grandi velieri, o quelle caraibiche per raccontare “L’épopée de Mr Cassard”, avventuroso marinaio di Nantes del ‘700, o ancora come quelle dei cori che si ritrovano tipicamente nelle canzoni dei balenieri e che possiamo riascoltare in “Le navire étonnant”.
Per chiudere l’album viene inserito un altro pezzo romantico e questa volta particolarmente cantautoriale, anche se vi sono tenui tratteggi folk che danno continuità all’intera opera: “La complainte de Louis-Marie Jossic” parla di un uomo che si imbarca nella nave scuola “Bretagne” alla fine del 1800 ma al termine dell’ingaggio preferisce tornare alla vita civile come tagliatore di pietra. Gesto questo che sembra simboleggiare il rifiuto della guerra e della vita militare legato ad una vicenda che avviene a bordo di una nave dove fu composta tra l’altro la celebre “La triste vie du matelot” che fu proibita dalla marina francese. Alla pubblicazione dell’album seguirono ovviamente molti concerti (la prima ebbe luogo in Ottobre al Casinò di Parigi) e per gli spettacoli dal vivo vengono confezionati dei nuovi e sgargianti costumi.

Il 6 e 7 Luglio 2004 i Tri Yann danno due concerti grandiosi alla Cité des Congrès di Nantes nuovamente in compagnia della Orchestre National des Pays de Loire, diretta da Hubert Soudant e inoltre della bagad di Nantes diretta da Hervé Huguen, dall’Ensemble Vocal de Nantes diretto da Paul Colléaux e di Bleunwenn Mevel. Ne è stato ricavato un CD dal vivo intitolato "La Tradition symphonique 2" che, sulla scia del primo volume, offre delle versioni arricchite sul profilo sinfonico di alcuni pezzi del canzoniere dei Tri Yann. Per la particolarità degli arrangiamenti e per gli elementi orchestrali che si integrano perfettamente nel contesto originale delle canzoni, questo album occupa un posto particolare nella discografia dal vivo del gruppo e merita sicuramente di essere ascoltato, come del resto il primo volume, realizzato con uno spirito simile.

Il 15 Ottobre 2007 esce un nuovo album in studio dedicato ancora una volta al mare, "Abysses", e si tratta del primo composto esclusivamente da musica e da versi realizzati dai Tri Yann. Questa volta il tema marino viene affrontato in modo più disimpegnato e fantastico, sia per quel che riguarda i testi, in cui compaiono personaggi di fantasia, che dal punto di vista musicale, con pezzi leggeri e melodici ma pur sempre curati negli arrangiamenti, a volte snelli, a volte più ricercati. Il sound è pulito e impreziosito da elementi orchestrali e celtici utilizzati sempre in modo misurato, senza sovraccaricare troppo le canzoni che hanno al loro centro essenzialmente il canto.
Fra i pezzi più belli dell’album c’è sicuramente “La solette e le limandin” in cui vengono recuperati elementi di musica antica per raccontare la storia di una soglioletta costretta a sposare il re delle murene ma salvata infine dal suo fedele innamorato, un limandino dai poteri magici. Anche il testo è ricco di elementi linguistici ricercati ed arcaicismi, scelti in maniera da creare una piacevole musicalità. Il brano si va a incastonare fra un’introduzione, forse un po’ troppo moderna nel sound, con loop elettronici, campionamenti e ritmiche semplificate, che inneggia a Nettuno (“Gloire à toi Neptune!”) e una graziosissima e breve “Bransle des murènes” con un testo in latino in un misto fra folk e musica antica attraversato da intersezioni elettriche.
“Dessous la ville de Nantes” sfrutta i ritmi della Rond de Loudéac, una danza della tradizione bretone, ma anche qui il sound è estremamente modernizzato e, accanto ai cori ripetitivi di ispirazione folk, troviamo un basso sincopato, qualche campionamento ma anche violini evocativi. Tutti questi elementi tecnologici non sono comunque mai forzati e fastidiosi e compaiono solo in episodi isolati. Come già spiegato la canzone e gli intrecci canori sono gli elementi portanti del disco, come emerge dalla bella ballad “Lorc’hentez Kêr Is”, dedicata alla leggendaria città di Ys, sommersa dall’oceano, con un testo in bretone interpretato da Jean-Paul e Jean-Louis e ampie orchestrazioni.
Ugualmente melodiche e cantautoriali sono “Petite sirène”, che narra la storia di una piccola sirena che vorrebbe vivere sulla terra, “J’ai croisé les néréides”, interpretata questa volta da Jean Chocun e dedicata alle celebri ninfe marine della mitologia classica, e “Lancastria” che, a differenza degli altri brani, tutti fantastici, narra un tragico evento storico. Il Lancastria era una nave da crociera varata nel 1920 e requisita nel 1940 per il trasporto delle truppe. Appena a largo di Saint Nazaire l’imbarcazione, carica di soldati inglesi, rifugiati belgi e polacchi e di altri paesi europei in ritirata dal fronte francese, fu bombardata dai tedeschi e scomparve in mare in appena venti minuti causando la morte di più di 4.000 (qualcuno dice addirittura 7.000) passeggeri (le vittime del più famoso Titanic furono 1.500). In Francia il dramma fu quasi del tutto ignorato e in Inghilterra passò sotto silenzio per ordine di Churchill. Questa canzone fu presentata dai Tri Yann il 17 Giugno 2008 proprio a Saint Nazaire, in occasione della commemorazione del naufragio, in presenza delle autorità locali.
Fra i brani più movimentati troviamo sicuramente la brillante “Gavotten ar seizh” che, a ritmo di gavotta delle montagne, narra la storia di una giovinetta che per scappare al promesso sposo non voluto subisce diverse metamorfosi. “Sonenn ar mor dor”, con i suoi solenni cori a cappella, rappresenta l’introduzione alla gavotta. Ugualmente allegra e movimentata è la reel “Tir-fo-tonn” a dimostrare che il disco è abbastanza variegato, seppure decisamente uniforme nello stile. Numerosi ospiti intervengono nella conclusiva “L’Edens des mers” con le cornamuse di Christophe Morvan dei Sonerien Du e di Anthony Masselin dei Soldat Louis. Troviamo inoltre coristi aggiunti e altri musicisti alla tromba e al trombone. La canzone ha il sapore di un inno con bei cori che lasciano spazio, nella parte conclusiva, alle cornamuse, il cui suono caratteristico si intreccia con la chitarra esperta di Gérard Goron. Voglio citare in conclusione la divertente “Le sous-marin”, brano che racconta alcuni ricordi di giovinezza di Jean-Louis che passava l’estate scorrazzando sulla vecchia auto furgonata del nonno che aveva degli oblò intagliati sul retro in modo artigianale che la facevano somigliare a un sottomarino.
Come al solito l’uscita dell’album si accompagna ad una ricca tournée che comprende anche una memorabile serata all’Olympia il 29 Gennaio 2008. Ovviamente troviamo dei magnifici e nuovi costumi di scena, sempre più elaborati ed eccentrici.

Nello stesso anno, nel mese di Settembre, i tre Giovanni ricevono la medaglia di cavalieri delle arti e delle lettere da parte del consiglio generale della Loira Atlantica. Nel Marzo del 2009 diventano persino protagonisti di un romanzo poliziesco, "Tri Yann – Tro Breizh" (edizioni Alain Bargain), dello scrittore bretone Stéphane Jaffrézic. La trama del romanzo è ambientata nel corso di una tournée del gruppo che è minata da una serie di strani incidenti. La storia è anche l’occasione per raccontare tanti aneddoti sulla band. Purtroppo il romanzo non è stato tradotto ma si trova in giro a un prezzo economico.
Nel Maggio del 2009, il giorno di St. Yves (festività bretone) esce l’opera rock "Anne de Bretagne" di Alan Simon. I Tri Yann interpretano due dei 23 titoli dell’opera dando voce ai personaggi di Charles VIII e Philippe de Montauban. Fra gli altri ospiti segnaliamo gli Ange con Christian Décamps nelle vesti del malvagio duca di Bretagna Francesco II, e gruppi come Barclay James Harvest e Fairport Convention. Vi partecipano inoltre l’orchestra sinfonica di Praga, una bagad, e vi si può ascoltare l’organo della cattedrale di Nantes. Lo spettacolo è stato inoltre portato in tour con scenografie grandiose. Nel 2010 è uscita anche una versione dal vivo su DVD, “Live au Château des Ducs”, che immortala una splendida serata al castello dei duchi di Bretagna a Nantes.

Quaranta anni di carriera

All’inizio del 2011 esce un nuovo album in studio intitolato "Rummadoù", parola bretone che sta per “generazioni”. E in effetti i Tri Yann, in tutti questi anni di carriera ininterrotta, hanno trasportato la loro musica e quella della tradizione bretone attraverso le generazioni, proiettandola verso il futuro. Nonostante l’età i Tri Yann si confermano musicisti preparati in grado di mettersi in gioco e di rinnovare continuamente il proprio repertorio. La loro musica ha attraversato diverse stagioni e mode mantenendo una propria identità, pur nelle continue variazioni subite nel corso degli anni. I Tri Yann hanno saputo sicuramente plasmare a modo loro le nuove tendenze musicali. Il nuovo album in studio si presenta forse più avventuroso sotto il profilo musicale rispetto a quelli che lo precedono da vicino ed è ricco di materiale musicale e letterario con numerosi personaggi, ognuno con la sua storia da raccontare. Le 15 canzoni di “Rummadoù” narrano le vicende di tante generazioni della stessa famiglia, iniziando nel 463 (“Na I Rio”), con alcuni giovani scozzesi che lasciano la loro isola per stanziarsi in Bretagna, per concludersi ai nostri giorni (“Glen glas”) quando il discendente Ronan riscopre le sue antiche radici mentre soggiorna in un campo estivo nel Galles. La musica ricopre una matrice progressiva brillante contaminata via via da elementi musicali appartenenti ai diversi periodi storici affrontati e mantiene ovviamente delle forti connotazioni folk celtiche. Elementi rock più marcati vengono sfruttati per descrivere l’invasione dei Normanni (“Ar vikinged”) nell’843. Per le crociate (“Le retour de la croisade”) la musica si colora di elementi mediorientali, mentre il flagello della peste, siamo nel 1348 (“Bosenn Lagolen”), è dipinto con toni liturgici e dimessi. La divertente “Naïk ar Bihan, fille follette”, che parla di una ragazza del XV secolo un po’ folle, acquista toni da taverna medievale. Superbi sono i barocchismi di “Hañvezh ar Bomedoù ruz”, ambientata durante la rivolta dei Bonnets Rouges, nel 1675, mentre il sommo della commozione viene raggiunto nella meravigliosa ballad “Complainte de Marion du Faouët”, splendido ritratto di una brigantessa condannata a morte, interpretato magistralmente da Jean-Paul. Con lo scorrere degli anni il linguaggio si trasforma da bretone in francese, anche se non manca un pezzo in inglese, “The eyes of My Bonnie Mary”, interpretato per l’occasione da Simon Nicol dei Fairport Convention. Una trattazione dettagliata dell’album la trovate nello spazio delle recensioni, quello che va sottolineato, al di là dei suoi tanti particolari, è sicuramente il valore dell’opera che magari non è all’altezza dei capolavori della giovinezza ma che si attesta comunque su livelli alti e degni della lunga carriera della band.

Ma il 2011 è anche l’anno del quarantennale del gruppo che viene festeggiato come al solito dal vivo e con un doppio CD + DVD, “Le concert des 40 ans”, che offre un concerto tipo del gruppo che sfoggia un repertorio che pesca diffusamente dalla sua discografia, con pezzi persino degli esordi. In particolare l’opera immortala l’esibizione integrale al porto di Lorient in occasione del festival interceltico dell’Agosto del 2011. La dimensione live è sicuramente fondamentale per poter apprezzare al meglio la musica dei Tri Yann che ha, come più volte accennato, una forte connotazione teatrale. E’ divertente inoltre poter ammirare i nuovi costumi, non meno eccentrici dei vecchi, con Jean-Paul che indossa un vistoso cappello a forma di faro, la cui luce accesa si vede brillare da lontano prima ancora che metta piede sul palco, e Jean-Louis che porta un vassoio con tazzine fumanti e una grossa teiera al centro. Potrete trovare fra le recensioni anche la trattazione dettagliata di questa ultima opera… ultima per ora perché i Tri Yann sembrano inarrestabili e decisamente motivati ad andare avanti ancora per molto!


Merci beaucoup à Tri Yann pour les photos!


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