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LABORATORIUM Jessica Attene
 

Se dovessi dire qual è il gruppo polacco più importante ed innovativo in ambito jazz rock sceglierei senza esitare un solo istante i Laboratorium. Non solo sono stati i primi ad abbracciare questo stile in Polonia ma sono andati oltre rinnovandolo costantemente attraverso contaminazioni che includono il nostro genere di riferimento, la ricerca di nuovi suoni e studiando soluzioni originali in cui l’improvvisazione rimane sempre l’elemento centrale. In ambito Prog il disco che viene costantemente ricordato è forse “Quasimodo”. Si tratta però di un singolo tassello nell’ambito di una produzione dalle tantissime sfaccettature che vi invito a scoprire partendo magari da questa retrospettiva.

I Laboratorium nascono ufficialmente nel 1970 ma la loro storia inizia molto tempo prima dal momento che i due pilastri del gruppo, Janusz Grzywacz e a Marek Stryszowski, amici di infanzia e compagni di scuola, sono cresciuti artisticamente insieme. Janusz Grzywacz (tastiere), nato a Zakopane nel 1947, formò diverse band amatoriali all’epoca delle superiori (Śmiacze, Lamparty e Tytani) con l’amico Marek Stryszowski (nato a Wieliczka nel 1948) che suonava il basso (in realtà una semplice chitarra ma con 4 corde) ed occasionalmente anche la chitarra. Fra queste i Tytani, attivi nella metà degli anni Sessanta e votati al rhythm and blues, erano in grado di garantirgli un reddito grazie ai loro concerti.
Durante i suoi studi di ingegneria all’università di Cracovia, Marek non aveva perso la sua passione e frequentava la scuola secondaria di musica nella classe dei fagotti. Durante gli studi presso l’università pedagogica di Cracovia, Janusz lavorava in una manifattura di tabacco a Nowa Uta, il quartiere industriale di Cracovia, dove fu assunto come manager di una sala club aziendale e coltivava il suo grande sogno: quello di formare una band. E’ in seguito alla riunione col vecchio amico Marek che nascono i Laboratorium. In una primo momento il gruppo era soltanto un trio, grazie all’arrivo di Mietek Górka che aveva poca esperienza in ambito musicale ma che mostrava una gran voglia di suonare la batteria. Marek reclutò presto altri elementi: il bassista Edmund Maciwoda (padre di Pawel, bassista degli Scorpions) e Wacek Lozinski che in realtà non sapeva suonare nulla ma che si iscrisse a una scuola di flauto.
Il debutto di quella che sarebbe diventata la più celebre delle band jazz rock in Polonia ebbe luogo a Cracovia il 14 luglio 1970 con la suite “Anioły” (angeli). All’inizio il gruppo si accontentava di suonare qualsiasi strumento gli passasse per le mani, andando a razzolare fra quelli lasciati dagli altri musicisti nei negozi di musica. Appena possibile il fagotto di Marek, che male si adattava al loro sound, fu sostituito con un vecchio sax che mancava di alcune parti e che furono sapientemente sostituite con dei pezzi di ricambio fatti a mano, fra cui spiccava il becco realizzato a partire da una patata.
E’ di Marek l’idea che cambierà profondamente il destino dei Laboratorium: pensò infatti di organizzare col suo club aziendale un festival musicale, Gitariada ’71, mettendo insieme una giuria ad hoc per far vincere il suo gruppo. Fu così che i Laboratorium si aggiudicarono il primo premio che consisteva in un viaggio a Chodzież per frequentare i celebri seminari di musica che rappresentavano un evento molto ambito nella Polonia dell’epoca e che in un certo senso erano qualcosa di pionieristico anche in ambito internazionale. Il corpo docenti comprendeva artisti di grande calibro fra cui spiccavano l’intero quintetto di Tomasz Stańko ed il bassista Bronisław Suchanek.
I Laboratorium si sono sempre contraddistinti per la loro grande originalità. Il fatto di non aver avuto alcun contatto con la musica occidentale, che era oggetto di censura nei paesi del Patto di Varsavia, li ha sicuramente aiutati a trovare una formula decisamente personale. All’epoca praticamente nessuno suonava jazz rock in Polonia e neanche i Laboratorium avevano ben presente, agli inizi della loro carriera, in che corrente musicale potessero rientrare le loro creazioni. I seminari di Chodzież furono determinanti perché il gruppo riuscisse a capire che la sua musica, seppure molto vicina alle radici del rock, potesse rientrare nel grosso contenitore del jazz ed è proprio qui che affinò il suo stile acquisendo un approccio diverso e più maturo nel fraseggio e nella costruzione delle armonie.
Quando salivano sul palco, i Laboratorium non avevano alcuna idea di quel che avrebbero suonato. Il loro approccio era totalmente libero e basato sull’improvvisazione e soprattutto in questa prima fase della loro carriera si basavano molto su ricerca e sperimentazione. Durante questi corsi il gruppo si esibì in un concerto fenomenale con Bronislaw Suchanek e con Tomasz Stańko, suonando un brano completamente improvvisato. Per l’occasione fu invitato un attore del teatro Laboratorium di Grotowski che improvvisò una specie di balletto pantomima.

La ricerca di un sound unico e personale è evidente fin dal primissimo album del 1973 che non conteneva ancora dei synth. All’epoca l’associazione Jazz Polacca creò un Record Club in cui gli ascoltatori, dopo sottoscrizione, ricevevano dischi preparati appositamente per gli iscritti. I primi dischi di quella serie erano degli split album in cui ognuno dei due lati era dedicato ad un artista diverso. In questo modo uscivano fuori delle accoppiate talvolta stravaganti. Nel caso dei Laboratorium, ai quali era stato riservato il lato A, il lato B conteneva pezzi dello Jan “Cannonball” Aderley Quintet tratti dal festival Jazz Jamboree ‘72. L’album consisteva di due tracce registrate nell’Aprile del 1972 in uno studio che apparteneva alla radio polacca con l’aiuto di Zbigniew Seifert, con cui la band aveva stretto amicizia durante le classi di Chodzież. La sessione di registrazione avvenne per aver vinto il secondo premio del festival Jazz Nad Odrą 1972 (il primo premio andò ai Jazz Carriers). La prima traccia, “Chorał”, composta da Grzywacz, ci mostra subito un elemento insolito per chi conosce i Laboratorium attraverso i loro album più celebri e si tratta della voce di Marek Stryszowski che interpreta un testo vero e proprio, non limitandosi quindi ai vocalizzi che diverranno un aspetto caratteristico nelle produzioni successive. Notiamo poi le colorazioni insolite del fagotto che scomparirà, come accennato, già a partire dall’album successivo.
Dal momento che questo disco era distribuito solo nella cerchia ristretta di un club, va da sé che si tratti di una vera e propria rarità, ristampata per fortuna nel 2006 dalla Metal Mind nel contesto di un box antologico di cui parleremo in seguito. L’ascolto di questi brani ci restituisce una versione ancestrale dei Laboratorium in cui si intravede già tutto il loro talento, con atmosfere oscure e liquide decisamente originali e molto spazio per gli elementi acustici. Il flauto ed il fagotto offrono spunti cameristici mentre il violino di Seifert si agita irrequieto in una cornice sonora lirica. Il tema musicale onirico che aleggia sullo sfondo, con elementi corali, ricorda qualcosa della musica tradizionale polacca, mentre l’interpretazione di Marek ha una graffiante impronta blues. Il risultato è qualcosa di unico nella discografia dei Laboratorium che si lascia apprezzare per la sua freschezza e per la sua originalità.
Altrettanto interessante è il brano “Plazma” scritto da Seifert assieme al gruppo. Le atmosfere sono ugualmente spente ma riluce il pianoforte con il suo fraseggio spezzato. I ritmi sono gravi e scanditi dal basso cupo e dalla batteria sorda. Troviamo ancora elementi vocali ma si tratta questa volta di vocalizzi dal fascino etereo e non più di un canto con dei versi strutturati. Le atmosfere sono incredibilmente dilatate finché, nella seconda parte del brano, l’interazione strumentale aumenta con il violino che conquista la scena con i suoi vorticosi assoli. Non mancano momenti free in questo pezzo dalla struttura aperta in cui elementi elegiaci si innestano in una matrice jazz molto fluida e piacevolmente contaminata.

Nel 1973 i Laboratorium conquistarono il primo posto in occasione del festival Jazz Nad Odrą ottenendo anche il premio per la migliore composizione col pezzo di Janusz Grzywacz “Prognoza na nutro” (Previsioni per domani). Questo premio gli valse il passaggio allo status di professionisti e fu anche l’inizio di una serie di fortunati concerti in Polonia e all’estero che fecero crescere la popolarità del gruppo. Fra questi ricordiamo senz’altro la partecipazione, nel 1974, al festival Jazzwerkstatt Peitz nella DDR al fianco di Klaus Schulze. Nel 1975 Marek Stryszowski vinse individualmente il Grand Prix della giuria ed il premio del pubblico al quinto Jazz Vocalists Meeting di Lublino guadagnandosi l’invito a suonare al festival Jazz Yatra di Mumbai e ai festival di Calcutta e Puna.
Nello stesso anno il gruppo collaborò per un breve periodo con due grandi artisti: Czesław Niemen e Tomasz Stańko. Niemen aveva appena congedato i suoi Aerolit e contattò i Laboratorium con i quali suonò in diverse occasioni, fra festival e concerti, presentando la musica del suo nuovo album, “Katharsis”, assieme a nuove composizioni che verranno convogliate nel doppio “Idee Fixe” che verrà pubblicato due anni più tardi. Assieme a Niemen il gruppo suonò in Romania all’indomani di un terribile terremoto che distrusse buona parte della capitale. Con Stańko il gruppo suonò al festival Zaduszki Jazzowe. In questo periodo fece la sua comparsa nel parco strumenti della band, oltre al Fender Rhodes, anche un synth Roland 2000 fondamentale in questa nuova fase di innovazione ed evoluzione sonora. Stryszowski abbandonò il fagotto in favore di sax alto e clarinetto basso ed usava effetti di modulazione della voce. Il flautista Wacław Łoziński ed il chitarrista Maciej Górski se ne andarono e furono sostituiti dal bassista Krzysztof Ścierański, che aveva suonato con Marek Grechuta, e da suo fratello Paweł che divenne il primo chitarrista nella storia dei Laboratorium.

Con questa line-up il gruppo registrò, nell’estate del 1976, il suo primo album ufficiale di debutto “Modern Penthatlon” che fu pubblicato dall’etichetta di stato Polskie Nagrania Muza per la Polish Jazz series col numero 49 e lanciato in occasione del festival Jazz Jamboree. La prima fu organizzata nella hall della casa discografica a Varsavia con la firma degli autografi. Con gli anni l’album raggiungerà il traguardo delle 115.000 copie vendute. Il pezzo più rappresentativo dello stile innovativo del gruppo era senza dubbio “Pięciobój Nowoczesny” (Pentathlon moderno), una lunga suite di circa 20 minuti che occupava l’intero lato A del vinile. La presenza di suoni elettronici, come quello di uno strano marchingegno che scandisce ciclicamente il tempo, conferisce a questo brano una veste futuristica, così come le armonie destrutturate e rarefatte che ci accolgono subito dall’inizio. Molto curiosamente pare che questo pezzo sia passato alla storia come il primo realizzato con un sequencer in Polonia anche se in realtà il gruppo non disponeva assolutamente di questa attrezzatura. La musica si regge su contrasti interessanti, come quelli che percepiamo fra la voce calda del sax ed i synth sofisticati che evocano sempre qualcosa di tecnologico. Apprezziamo ambientazioni cosmiche di grande effetto, gli arpeggi brillanti della chitarra dal sapore quasi mistico, la batteria sfiorata con eleganza e dai guizzi precisi e delicati, miscele sonore fluide ed iridescenti, preziosi riferimenti a SBB ma anche a Mahavishnu Orchestra.
Si passa da fasi in cui i suoni sono rarefatti e in cui il tempo sembra fermarsi a momenti in cui gli arrangiamenti diventano complessi con fughe strumentali in cui i musicisti danno prova di irrequietezza e virtuosismo. Complessivamente il sound appare fresco ed innovativo e non mancano alcune connotazioni sinfoniche che contribuiscono a collocare questo album in uno scenario progressivo.
Il lato B è molto diverso ed è stato pensato per accontentare un pubblico più ampio. Contiene infatti 4 brani più brevi tutti funky oriented tranne la conclusiva “Grzymaszka” dominata da un pianoforte solitario ed elegante.
Dopo il lancio del disco il gruppo, che con gli anni acquistò popolarità anche in Europa, tornò a suonare dal vivo in Polonia, estendendo la sua tournée anche in Germania e in India, nel 1978, presso la Yatra Festival assieme a Niemen e alla Zbigniew Namysłowski band.

Nel 1977 i Laboratorium crearono altri due album con una line-up estesa che comprendeva Paweł Valde-Nowak alle congas. “Aquarium Live” fu registrato nel corso di due serate presso l’Aquarium jazz club di Varsavia con l’intento di riuscire a catturare le atmosfere autentiche delle esibizioni dal vivo del gruppo. La sua realizzazione fu ostacolata da varie avversità dovute alla particolare location che era nei pressi del palazzo della cultura e delle scienze sulla cui cima svettava un ricevitore della TV che, assieme a una vicina radio, fu causa di fastidiose interferenze durante la registrazione. Immagino che le sonorità spacey e rarefatte della opener “Struktura przestrzemny” (la struttura dello spazio) solleticassero non poco la curiosità di un pubblico che non sapeva cosa aspettarsi da un ensemble così imprevedibile. Ogni velleità commerciale è stata abbandonata in questo brano così poco costruito che vede il gruppo alle prese con il proprio istinto creativo e sperimentale. Il sax aleggia in spazi musicali ampi accompagnato dal sordo rullio della batteria e dal basso elettrico e piano piano le emozioni prendono corpo. L’impianto è principalmente acustico ma su questa base si stagliano tormentati assoli, dall’impostazione free, col sax che è libero di contorcersi e la batteria di esplodere. Dei cinque brani che vanno a comporre la scaletta dell’esibizione questo è il più lungo con i suoi 16 minuti complessivi di durata ed anche il più ostico ed avventuroso.
Entrando nelle atmosfere rilassate di “Taki Ładny I Przyjemny” (così gentile e piacevole), dominata dalle colorazioni del Fender Rhodes, la musica acquisisce una struttura più ritmata e melodica, attraversata da profonde venature blues. Con “Bzdrągol” vengono recuperati ritmi funky e progressioni spigliate in grado di creare istantanea complicità col pubblico. “Flamenco Na Miękko” sembra in assoluto il brano più originale con i suoi accesi ritmi latini, gli assoli di sax che danzano su una base musicale brillante e sostenuta. Molto bello è il vorticoso assolo finale del Fender che, su ritmi di danza, mette in mostra tutto il virtuosismo di Grzywacz. Chiude la registrazione “Dziewięćsił”, breve e ritmata con qualche fragranza che ricorda gli Area.

Nel frattempo il gruppo stava lavorando ad un secondo album, “Nurek”, che sarebbe dovuto uscire per la Polskie Nagrania in occasione del festival di Yatra. Il disco fu registrato dal vivo su un 4 piste nel club “La Rotunda” di Cracovia, grazie a quello che era di fatto il primo studio di registrazione mobile della Polonia, appartenente a Andrzej Poniatowski dei Klan, che fu piazzato in un rimorchio. La sua realizzazione fu portata avanti in tutta fretta e con metodi casalinghi, accettando non pochi compromessi, proprio per poter permettere la pubblicazione nei tempi previsti, cosa che comunque non avvenne. Fu allora che i Laboratorium contattarono l’etichetta polacca della Federazione Jazz Internazionale, la Helicon, perché lo pubblicasse col titolo inglese “Diver”. L’album uscì così nel 1978. Si tratta di un’opera particolarissima nonostante gli inconvenienti che contraddistinsero il suo processo creativo, basti pensare alle difficoltà incontrate dai musicisti che suonavano in un ambiente dove nessuno era praticamente in grado di vedere o sentire nulla. Le sue atmosfere ci riportano certamente ad “Aquarium Live” ma troviamo qui una visione più unitaria che fa pensare ad un processo compositivo globale che lega i cinque brani di questa performance. Notiamo scelte più orientate verso la melodia e passaggi strumentali più intensi con affascinanti pennellate di synth. Fra gli strumenti in particolare notiamo l’arrivo del Moog.
Il gruppo appare come sempre aperto all’improvvisazione ma con costruzioni più armoniche e prive di esasperazioni. Sono evidenti i richiami a gruppi come i Weather Report ma scorgiamo elementi progressivi talvolta con suggestioni Crimsoniane. “Beatiful Driver” ci accoglie con atmosfere soffuse, col basso in evidenza ed il sax che detta le linee melodiche. Questo brano, grazioso e notturno, è arricchito da sfumature Cameliane. Pregevole è l’uso della chitarra acustica, dalle inflessioni latine, che ci concede lunghi assoli. Il titolo “Lower than usual” si riferisce all’accordatura del basso con il Mi spostato nella posizione più bassa del Re ed è proprio questo strumento che domina questa composizione dai toni profondi. “Diver” possiede invece delle chiare progressioni sinfoniche con sofisticate parti tastieristiche. “Late-coming” si apre con la chitarra acustica alla quale si aggiunge la voce di Marek con i suoi vocalizzi, questa volta in stile flamenco. Il brano si elettrifica in veste fusion con orchestrazioni notturne ed una straordinaria performance solista del sax. “Soft Flamenco” non è altro che una nuova versione di “Flamenco Na Miękko” che va a chiudere quest’opera meno sperimentale rispetto a quelle precedenti ma senza dubbio più equilibrata.

Fra i progetti dei Laboratorium di quel periodo c’era un doppio album da pubblicare per la Polskie Nagrania che non arrivò mai. Per questa etichetta, nella serie Polish Jazz di cui era l’uscita numero 58, venne pubblicato invece, nel 1979, un LP singolo che rispondeva al nome di “Quasimodo”. Il titolo si riferiva al Quasimodo club di Berlino Ovest che il gruppo amava particolarmente e fu registrato negli studi della casa discografica, non senza alcuni inconvenienti che ne ostacolarono la realizzazione, come ad esempio una tazza di caffè rovesciata sul mixer che obbligò lo staff a smontare tutta l’attrezzatura per ripulirla o il master tape che si srotolò o gli operai che iniziarono i loro lavori proprio in prossimità dell’albergo dove riposava il gruppo. Nonostante tutto questo album sfoggia una notevole cura in ogni dettaglio ed è quello che forse mette più in luce l’animo progressivo dei Laboratorium. I suoni sono sofisticati ed hanno un taglio moderno. Vi è ampissimo spazio per l’improvvisazione che è prevalente sulle soluzioni arrangiate che si limitano in pratica ai temi musicali principali. Possiamo assaporare poi molti momenti solistici e duetti con spunti di notevole virtuosismo, come ad esempio nella versatile “Śniegowa panienka” (la ragazza di neve). Sicuramente “Modern Penthatlon” rappresenta concettualmente un solido punto di partenza per questo album che risulta però più maturo e privo di compromessi. Troviamo composizioni più lunghe ed articolate intervallate a piccole miniature, alcune delle quali decisamente sperimentali, come l’avanguardistica “Lady Rolland” che gioca su soluzioni elettroniche e vocalizzi o come “Kyokushinkai”, più rudimentale e free nell’approccio. Il momento più suggestivo dell’album è forse rappresentato dalla centrale title track, il brano più esteso degli 8 totali con i suoi 10 minuti e oltre di durata. Gli arrangiamenti sono ariosi e le sonorità morbide con nuance simil Canterburyane. Poetiche ed articolate sono le digressioni di Marek al sax alto, eleganti le escursioni del Rhodes sostenute da un drumming preciso, leggero e frastagliato. Segnalo infine i pezzo di chiusura, “Ikona”, dedicato a Zbigniew Seifert (prematuramente deceduto all’età di 32 anni nel Febbraio del 1979), basato su soluzioni armoniche che Grzywacz aveva ascoltato in occasione di un concerto che lo stesso Seifert tenne nel 1978 e che confluiranno poco dopo nell’album “Kilimanjaro”.

Con la fine degli anni Settanta si chiude un grosso capitolo per i Laboratorium che subirono un cambio di organico. Mieczysław Górka, che era col gruppo fin dagli inizi, se ne andò per divergenze stilistiche in quanto avrebbe preferito un approccio più acustico. Il nuovo batterista divenne così Andrzej Mrowiec dei Maanam. Con questa line-up fu effettuata negli studi del teatro STU di Cracovia, uno dei meglio equipaggiati dell’intero paese (vantava un magnifico 24 piste Studer), la registrazione per un nuovo album che venne pubblicato dall’etichetta tedesca View nel 1980. “Nogero” non era altro che il nome della band preferita di Marek letto al contrario. Quasi come a voler introdurre il nuovo arrivato, la traccia di apertura, la title track, si apre proprio con un assolo di batteria. A seguire ecco un’esplosione di suoni e colori con elementi ritmici sudamericani sui cui danza il sax, Il basso elettrico è in buona evidenza e non mancano concatenazioni di assoli, con la chitarra elettrica di Pawel che domina su tutti gli altri strumenti. Più che agli Oregon il pensiero vola sicuramente ai Weather Report. “The Cellar Suite” si apre con visioni elettroniche che si materializzano grazie ai synth di Marek con Roland Jupiter 4 e Micro Moog in primo piano. Forse queste atmosfere estatiche dalle colorazioni inusuali possono qui ricordare qualcosa degli Oregon anche se gli elementi etnici sono sicuramente meno spinti nel nostro caso. I vocalizzi di Marek, sempre originali ed audaci, preludono ad una sequenza più dinamica in cui idee e stili si mescolano in modo originale in un brano dalla struttura aperta che risente sicuramente anche dell’influenza di Niemen nel suo periodo più elettronico. Questo brano rappresenta l’apice di questo album e dimostra concretamente come i Laboratorium trovino sempre il modo di rinnovarsi sperimentando nuove soluzioni.
Dopo una simile prova i pezzi successivi si consumano su dinamiche più prevedibili in ambito jazz. “Blues For the Lady Graduate” appare più disimpegnato e lineare e rappresenta l’occasione per snocciolare una serie di splendidi assoli in un contesto sonoro più rilassato. Questa volta i brani sono soltanto cinque in totale ma si gioca su un minutaggio più lungo che trova il suo culmine nella conclusiva “Bee - The Flight” di undici minuti, una cavalcata che si dispiega su ritmiche regolari che rappresentano un efficace trampolino di lancio per le cascate di assoli che si susseguono a catena. Fra questi brillano sicuramente quelli di Paweł Ścierański alla chitarra elettrica ma ne troviamo anche un lunghissimo di basso così da permettere a tutti i musicisti di dare prova del loro valore.

I cambiamenti di organico di cui parlavamo non si limitano al solo batterista. Krzysztof Ścierański infatti iniziò una collaborazione con Zbignew Namyslowski e fu sostituito da Krzysztof Olesinski, anch’egli dei Maanam, e anche suo fratello Pawel alla fine se ne andò e al suo posto arrivava Ryszard Styła. Dopo un’ottima esibizione al festival Jazz di Zurigo, la Face Music, un’agenzia svizzera, iniziò ad occuparsi del gruppo che ridusse le sue esibizioni in Polonia in favore degli eventi all’estero. Ma la situazione cambiò drasticamente negli anni Ottanta con l’arrivo della legge marziale che rendeva difficile lasciare il paese e persino esibirsi dal vivo in Polonia. Con un piccolo espediente il management svizzero riuscì a farli partecipare ad un festival a Tubingen invitandoli ma senza fornire ulteriori dettagli. Quando arrivarono sul posto i Laboratorium si resero conto che si trattava di un grosso evento all’aperto che vedeva la partecipazione di artisti provenienti da ogni angolo del pianeta in rappresentanza dei popoli oppressi.
Nella notte fra il 28 Febbraio e il primo Marzo del 1982 il gruppo tenne con questa nuova line-up un concerto presso il teatro STU di Cracovia che fu registrato e pubblicato per la Helicon sull’album “The Blue Light Pilot”. La opener è un brano di Thelonius Monk che viene trasfigurato in chiave jazz rock secondo lo stile unico del gruppo, con atmosfere cupe, elettrificate e futuristiche che non percepiamo certamente nell’originale. Questa brillante interpretazione genera lo spontaneo entusiasmo del pubblico e testimonia l’ulteriore evoluzione stilistica di una band in continua crescita. E’ centrale il supporto dei synth di Grzywacz che in quest’occasione usa per la prima volta un sequencer 16 step fatto su misura (uno dei primi disponibili in Polonia) anche se ovviamente le orecchie sono puntate principalmente verso il sax di Marek. Con “A Virgin from Nowa Huta” riscopriamo alcune delle suggestioni simil Canterburyane più vellutate e soft di “Quasimodo” con un pizzico di sinfonicità e qualche vago sentore elettronico. Il taglio è assolutamente attuale ed elegante e ben lontano da certe soluzioni artificiali che iniziavano a diventare popolari in quegli anni. Grande protagonista di questo album è il nuovo chitarrista Ryszard Styła che dà prova di grande gusto e maestria con un lungo e melodico assolo. “What’s up in the Forest” appare più rilasciata, soft e notturna con splendide parti di basso ed un sax soprano lunare. La conclusiva title track si discosta notevolmente dalle altre 3 tracce per la sua assoluta stravaganza e per la sua aria di festa che penso mirasse a creare il massimo coinvolgimento del pubblico. Vengono ingaggiati ritmi funky e dance sui quali rimbalzano i vocalizzi pazzi di Marek, inframmezzati a momenti jazz rock fusion più sobri con strepitosi assoli. In questo periodo il gruppo funzionava a volte anche con una formazione ridotta a trio che vedeva protagonisti Grzywacz, Stryszowski e Pilch. Con questo parteciparono a diversi festival fra cui l’Electric Music Island a Wroclaw nel 1984.

Sempre nel 1984 avviene la pubblicazione di un nuovo album, “No 8”, registrato sempre negli studi del teatro STU di Cracovia. Si nota l’ampliamento della formazione con l’arrivo del percussionista Jan Pilch che suona anche la marimba e violinista jazz Jan Błędowski presente come ospite e che si unì al gruppo anche in tournée. Continua l’evoluzione della band che può contare anche su un nuovo synth Korg Polysix e sul vocoder che possiamo sentire in azione in particolare su “Karolinka”, brano che porta la firma di Styła, dedicato alla figlia appena nata.
Si tratta di un album che contiene idee eterogenee e molto particolari ma il pezzo più originale dell’intero album è rappresentato dal centrale “Szczęka W Szklance Czyli Jaja Po Wiedeńsku”, insolito a partire dal titolo che significa “dentiera nel bicchiere, uova viennesi”. Troviamo pattern ritmici articolati con elementi avanguardistici ed etnici, un approccio progressivo con riferimenti ad Area e King Crimson ed impasti fusion. Avvincente la performance di Jan Błędowski al violino ma molto particolari ed avvincenti sono anche le parti di synth sia per le colorazioni dei suoni ricercate e futuristiche sia per i lunghi assoli che movimentano un ascolto non lineare ma assolutamente piacevole. Da citare ancora la conclusiva “Na kolana pastuszkowie” (pastori in ginocchio) per i suoi scenari pastorali e Canterburyani con un incipit che ricorda il suono di un organetto e scenari soft e stuzzicanti solcati da una marimba serpeggiante e dagli assoli melodici e di ampio respiro del sax.

Passano due anni per la pubblicazione di un nuovo album in studio, questa volta per l’etichetta svizzera Face Music: “Anatomy Lesson”, pubblicato nel 1987, rappresenta un’ulteriore evoluzione stilistica per il gruppo che fa ricorso per la prima volta ai campionamenti che vanno ad alimentare un sound divenuto più sintetico e tastieristico. L’opera mostra una notevole commistione stilistica che deborda talvolta verso il RIO con soluzioni impreviste e stravaganti e spazio, ovviamente, per l’improvvisazione che da sempre rappresenta un ingrediente importante per i Laboratorium. Ne è un esempio la bizzarra traccia di apertura “Lady on the goat”. Abbiamo otto brani in totale nient’affatto omogenei fra loro. “Make up” è forse il pezzo più celebre di Grzywacz e rappresenta la versione in studio del tema musicale di un’opera teatrale. Si profila come una ballad dalle melodie eteree disegnate essenzialmente dai synth con affascinanti elementi simil Mellotronici. “Lonely White Funk” è sempre abbastanza lineare ma ci offre delle interessanti digressioni funky. “Room nr. 2010”, disimpegnata e ritmata, ha una festosa veste fusion. “Polish Calypso” ci offre ritmi sudamericani suadenti alternati a momenti festosi in sequenze articolate. “Baby Dreams” si basa su linee melodiche intellegibili, con marimba, colate di synth e lussuosi assoli tastieristici. La title track, melodica ed ariosa, offre piacevoli aperture sinfoniche dal taglio tecnologico. Infine “I'm So Glad, Punk Is Dead” si presenta come una stravaganza cacofonica ed ipertecnologica scandita dalla batteria elettronica che vira inaspettatamente verso territori soft fusion.

Viene comunemente riportato il 1991 come l’anno della fine dei Laboratorium. Nella realtà dei fatti non c’è stata un’interruzione netta della loro carriera ma un lungo periodo in cui l’interesse attorno al gruppo è scemato e sono venute meno le occasioni per suonare in pubblico.
Parallelamente i singoli musicisti hanno coltivato una propria carriera come Janusz Grywacz che iniziò a lavorare per il teatro producendo alcuni spettacoli musicali nel teatro STU. Realizzò inoltre colonne sonore per film e un paio di album solistici: “Muzyka osobista” (1998) e “Młynek Kawowy” (2005). Nel 1985 nacque la Staupi Band, ovvero un trio composto da Marek Stryszowski, Grażyna Auguścik e Jan Pilch. Marek Stryszowski mise su un suo gruppo nel 1986, i Little Egoist, che arrivarono nel 1988 al loro primo album, “Radio Wieliczka”, per l’etichetta svizzera Face Music. Quest’opera è da segnalare per la presenza nella line up di altri membri dei Laboratorium: Jan Pilch alla marimba, Pawel Scieranski alla chitarra e Pawel Maciwoda al basso, al piano e alla drum machine. Parallelamente, per un breve periodo, ha guidato una seconda formazione, la Electric Shepard, che col tempo finì col realizzare composizioni quasi identiche rispetto a quelle dei Little Egoist. Marek divenne anche il capo di una branca di Cracovia della PSJ. Fra il 1991 ed il 1995 collaborò con la band etno-jazz Sharkiat, registrando l'album "Camel Dance" al Cairo. Dal 1992, dopo aver tenuto concerti nei club di Chicago, iniziò a collaborare con musicisti americani spostando all’estero l’attività dei suoi Little Egoist. Con questo gruppo pubblicò altri due album, “Two Fingers” (1992) sempre per la Face Music e “10 Years” (1996), che contavano però su una formazione totalmente rinnovata. Parallelamente a queste attività Marek ha realizzato diversi altri progetti fra cui ricordiamo l’organizzazione del Cracovia Jazz All Souls 'Day. Nel 2005 Marek Stryszowski ha ricevuto la medaglia di bronzo al merito per la cultura Gloria Artis e il premio del Sindaco di Wieliczka per i risultati eccezionali nel campo della cultura.

Nel decennio successivo i Laboratorium hanno comunque suonato dal vivo in diverse occasioni ed in particolare in occasione della celebrazione del loro 25esimo anniversario che fu documentato col documentario televisivo “25 Years of Laborka”. Tutti i chitarristi del gruppo si esibirono contemporaneamente e questa splendida esibizione compare nel DVD "Old School Fusion Live" (2006). Sempre nel 2006 è stata curata dalla Metal Mind la realizzazione di uno splendido box antologico, “Anthology 1971-1988”, contenente tutti gli album della band, incluso il rarissimo split album degli esordi. Ogni CD è completato da numerosi inediti ed è presente anche un intero e preziosissimo bonus CD, “Zdrowie Na Budowie” (Salute in costruzione), contenente registrazioni radio che vanno dal 1974 al 1978 con inediti che all’epoca non trovarono spazio negli album ufficiali e che ci dimostrano l’estrema vitalità di una band in continuo rinnovamento e geniale nelle sue apparizioni live sempre ricche di nuovi spunti e di passaggi avventurosi. Ben 13 sono le composizioni rispolverate per questo bonus CD, tutte di buona qualità, di gran pregio artistico ed eseguite in modo impeccabile: un vero tuffo nel passato assolutamente consigliato a tutti gli amanti del jazz rock.

Il box antologico ha portato anche alla riattivazione del gruppo con una formazione che comprendeva Marek Stryszowski (sax soprano, sax alto e voce), Marek Raduli (chitarra), Krzysztof Ścierański (basso), Grzegorz Grzyb e Tomasz Grochot (batteria) con Paweł Mąciwoda che prendeva occasionalmente parte alle esibizioni. L’esibizione allo United Europe Jazz Festival di Zakopane del 2006 doveva essere un’occasione unica per rivedere la band dal vivo ma in realtà i Laboratorium continuarono a suonare insieme. Nel 2008 parteciparono ai festival jazz di Bielsko-Biała, Cracovia e Kielce e si esibirono in numerosi club polacchi. Nel 2018 il gruppo si è esibito assieme al vibrafonista Bernard Maselim e a Grzegorz Grzyb al Fryderyk Gala 2018, un concerto omaggio per Zbigniew Wodecki.
Nello stesso anno, dopo 32 anni dal primo album in studio, i Laboratorium pubblicano un nuovo lavoro, “Now”, con una formazione che comprende Janusz Grzywacz, Marek Stryszowski, Marek Raduli, Krzysztof Ścierański e Grzegorz Grzyb (che sfortunatamente morirà poco dopo in un tragico incidente) e la partecipazione di alcuni ospiti fra cui il rapper O.S.T.R. Spiccano nuove versioni di brani già noti come “Diver”, inizialmente pubblicata nell’omonimo album e che acquista ora il titolo polacco di “Nurek”, “Anatomy Lesson” e “I Am So Glad Punk Is Dead” ma vi sono anche novità con esperimenti interessanti di contaminazione, come avviene in “Pustynna Burza” dalle marcate fragranze etniche mediorientali o di “Pink Nostalgy”, ballad stranamente arabeggiante con il vocoder usato a profusione, tornando infine alle atmosfere festose di “Latin Groove”. Si tratta in tutto di 12 brani che ci restituiscono l’immagine di un gruppo fresco e ben amalgamato ma che ormai non si spinge oltre le esperienze già acquisite. Un buon tributo alla propria carriera con un pizzico di autocompiacimento, un’occasione per ricordare i vecchi fasti e anche di divertimento per chi ama questa band che ha letteralmente costruito la storia del jazz rock polacco.


Per le fonti bibliografiche si segnalano le note contenute nel booklet del Box antologico curate da Michał Wilczyński



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