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6 DISCHI PER IL 2020 A cura della redazione di Arlequins
 

E’ passato un altro anno… ma siamo ancora in quarantena, a quanto pare… e oramai ci siamo adattati a fare a meno di tante cose che prima davamo per scontate. Quello di cui non dovremmo fare a meno però è l’ascolto della musica che ci piace… e anche la lettura di questo consueto resoconto dell’annata da poco conclusa. Benché non ci siano state molte uscite di quelle che vengono attese con trepidazione, il 2020 tutto sommato non è stato parco di soddisfazioni, almeno dal punto di vista musicale, e di album che hanno saputo confortarci durante questi lunghi mesi di isolamento forzato. Come al solito (lo diciamo a beneficio di chi ci si imbattesse solo ora per la prima volta e degli smemorati), queste liste non vanno necessariamente intese come una semplice classifica degli album migliori dell’anno ma come una serie di suggerimenti di ascolto. Buona lettura!



ROBERTO VANALI

SANGUINE HUM - "A trace of memory": questa band mi è sempre piaciuta molto, il modello compositivo del leader Joff Winks, seppur ormai noto e un po’ meno fresco, colpisce sempre al centro. La proposta della band ha il sapore del progressive più live a cavallo tra fusion canterburyana e una sorta di pop rock elegante molto, molto inglese. Per quest’ultimo disco la band è riuscita a superarsi con un lavoro più strumentale e meno cantato del solito con notevoli inserti e un risultato finale brillante e piacevolissimo. Per me disco dell’anno.

NODO GORDIANO - “Sonnar”: da molto tempo un disco italiano non finiva così in alto nella mia personale classifica. La formula è piuttosto coerente con i precedenti lavori della band, ormai al quinto lavoro in studio. Progressive molto ricco a tratti sinfonico, a tratti più spigoloso con rimandi crimsoniani. Tra parti più solari ed altre decisamente buie sotterranee il loro miglior lavoro, ispirato e travolgente.

ARNAUD BUKWALD - “La marmite cosmique vol. 6”: per questo lavoro non possiamo parlare certo di serio capolavoro del progressive. Si tratta però di un esercizio dannatamente divertente, con situazioni che travalicano l’ispirazione e la devozione e finiscono dritte a sfiorare il plagio. Eppure, il risultato è così intrigante e divertente che si lascia correre ogni cosa. I riferimenti così pesantemente accesi, sono riferibili soprattutto ai Soft Machine di Third, e hai detto niente …

SAMUEL ALLKVIST - “Epik, Didaktik, Pastoral”: disco di non facile accesso, molto vicino a forme di jazz d’avanguardia anche dai temi minimali per la band guidata dal chitarrista degli Isildur’s Bane. Atmosfere e soluzioni molto innovative e creative, anche per generi sostanzialmente legati alla tradizione. Un disco che nonostante l’approccio poco diretto, si fa amare molto. Da sviscerare, molto bello.

GLASSWORK - “Metabole”: un perfetto matrimonio tra psych pop folk anni ’70 e prog moderno, belle idee, ben proposte. Flauto, strumenti acustici e momenti elettrici più epici, e altri riflessivi e drammatici grazie al “pianto” di un mellotron. Il tutto arricchito da belle melodie e momenti jazzy. Questi spagnoli al terzo lavoro mi hanno favorevolmente colpito.

WOBBLER - “Dwellers of the Deep”: indeciso fino all’ultimo secondo, ho deciso di inserire anche questo disco nella mia personale best six, perché tutto sommato è il disco del 2020 che ho ascoltato di più e per più volte di seguito, un senso questo deve averlo. Sarà quindi un lavoro un po’ ruffiano, piuttosto impersonale nei temi e nelle soluzioni, ma è sempre un gran piacere di ascolto. Ogni tanto anche questo aspetto fa salire in classifica.

VALENTINO BUTTI

MAGIK SATURN - "Moon water": Interessante album d'esordio per questa band statunitense, purtroppo, ad ora, nella sola versione liquida. Si muovono tra Starcastle, Yes, G.G., con armonie vocali sempre coinvolgenti e ben fatte, ritmi incalzanti alternati a momenti soffusi... insomma quello che OGGI cerco dalla mia musica preferita.

TIMELIGHT - "Selah!": Altra "mia" scoperta made in USA...Secondo album per loro tra prog romantico anni 70, peraltro ben rinvigorito, ed ancora i maestri inglesi G.G. e Yes... Poca fantasia, la mia, ma il mio 2020 è soprattutto questo genere di sensazioni.

GREAT WIDE NOTHING - "Hymns for hungry spirits vol.1": E tre... ancora band statunitense che mi aveva già conquistato con il primo album e che ho apprezzato pure dal vivo su You tube. Più rock dei due gruppi precedenti ma il tessuto è sempre pregiato Spock's Beard, Rush, ancora Yes i loro numi tutelari. Belle melodie ed un gran bassista...

WOBBLER - "Dwellers of the deep": E dopo tre americani, il primo dei tre norvegesi... I Wobbler, sono nel bene e nel male, tra i gruppi più discussi degli ultimi anni. Forse inferiore al precedente "From silence to somewhere" ed anche leggermente diverso nel sound, pur essendo ormai consolidata la "matrice" del gruppo, "Dwellers of the deep" mi ha comunque conquistato ed in particolare l'oscura suite "Merry macabre".

RING VAN MOEBIUS - "The 3rd majesty": Avevo scoperto con mesi di ritardo l'album d'esordio del 2018...stavolta invece sono sul pezzo sin dalla sua pubblicazione. Prog sinfonico pesante, dei primissimi anni 70, con rimandi spiccati ad EL&P (talvolta vicini al plagio) ed ai VDGG. Risultato finale: eccellente... e per il resto... chissene...)

ELDS MARK - "Elds mark": Duo norvegese che produce 45 minuti di musica interamente strumentale, ispirata e che non delude mai. A tratti oscuro, talvolta vicino al folk nordico come sonorità... per gli amanti di Jordsjo, Malady e, perché no, Landberk.

MAURO RANCHICCHIO

ELDS MARK - "Elds Mark": una squisita miscela tra il prog sinfonico degli Jordsjø (Håkon Oftung costituisce metà del duo) e qualcosa più radicato nel folk scandinavo, una proposta evocativa e pastorale spesso in punta di piedi, basata principalmente sugli umori semiacustici della chitarra e i ricami del flauto, che ci trasporta in una dimensione sognante.

GRYPHON - "Get Out of My Father’s Car": la prova che il ritorno del Grifone non è stato effimero, i tre fondatori affiancati da validissime nuove leve (tutti i membri partecipano alla composizione) partoriscono un altro gioiellino sempre in bilico tra ricerca musicale, revival rinascimentale e umorismo British. Forse appena un gradino al di sotto di “ReInvention”, cosa che non mi impedisce di inserirlo in vetta alla classifica.

WOBBLER - "Dwellers of the Deep": ogni album degli Wobbler è ormai un evento attesissimo nel mondo del prog, e a buon ragione se la band si dimostra incapace di compiere passi falsi. Questa quinta prova non sarà forse un gran miglioramento rispetto a “From silence to somewhere”, ma già eguagliare quel disco era un compito ingrato. Siamo soddisfatti, ma auspichiamo una svolta stilistica in vista del prossimo album.

RING VAN MOEBIUS - "The 3rd Majesty": un album esemplare per gli amanti del prog sinfonico o un deplorevole tentativo di imitazione? Propendo decisamente per la prima ipotesi, la scrittura omaggia sfacciatamente i nomi noti, ma il risultato giustifica la pratica. E la scelta dei suoni è inattaccabile, comunque la si pensi.

PENDRAGON - "Love Over Fear": dopo una serie di album non incolori, ma certamente un po’ fuori dalle corde di Nick Barrett (che comunque vi ha creduto appieno), la band torna parzialmente ai fasti degli anni ’90 ma innestandovi una componente intimistica mai rinvenuta prima, dove un piano impressionistico prende spesso il posto delle tastiere pompose di Nolan e un Barrett mai prima così credibile come vocalist.

ELLESMERE - "Wyrd": altra graditissima conferma, stavolta dall’Italia: il progetto di Roberto Vitelli, qui affiancato dal tastierista Fabio Bonuglia, dal batterista Mattias Olsson (Änglagård, White Willow, Necromonkey) e da una schiera di illustri ospiti, ci regala un delizioso album di puro prog sinfonico, confezionato con un’evidente attenzione ai dettagli, che risulterà godibilissimo tanto per i nostalgici dei ’70 quanto per chi segue le correnti più moderne del genere.

ALBERTO NUCCI

WOBBLER - "Dwellers of the Deep": ci ho provato.... ma non sono riuscito a non inserire quest'album al primo posto tra le uscite dell'anno. Troppo superiore ai suoi concorrenti e troppo attraente per le mie orecchie. Un cocktail esplosivo di Prog della miglior specie, almeno per il sottoscritto, certamente pieno di elementi derivativi ma ottimamente realizzato e dalle melodie irresistibili.

FREN - “Where Do You Want Ghosts to Reside”: ha rappresentato una sorpresa quanto mai gradita questa band polacca dai connotati musicali quasi scandinavi. Un Prog strumentale che sembra ripercorrere gli stilemi di molti grandi nomi del Prog storico, dai King Crimson agli… Änglagård, mantenendo comunque una certa freschezza e non rinunciando ad inserire elementi di vario tipo, provenienti da esperienze musicali anche piuttosto diverse.

ZOPP - “Zopp”: un’altra band di newcomers, anche se solo in teoria, visto che i componenti di questa band inglese non sono certo dei perfetti sconosciuti, a partire, per quanto ci riguarda, dalla batteria dei romani Leviathan, fino agli ospiti illustri che rispondono ai nomi di Theo Travis e Andy Tillison. Un Canterbury dinamico e allettante, ben realizzato e decisamente accattivante anche per orecchie meno avvezze a questo genere.

THEO - “Figureheads”: devo dire la verità: l’album precedente non mi era piaciuto perché lo avevo trovato confusionario e poco concreto. Mi sono accostato quindi a questa seconda prova della creatura di Jim Alfredson (noto organista jazz) con poche aspettative, rimanendo però decisamente soddisfatto e anche piuttosto sorpreso per i bei progressi compiuti. Non si trattava certo di inesperienza ma probabilmente solo di prendere dimestichezza con un genere che, per quanto probabilmente amato da Alfredson, non lo aveva mai visto cimentarsi nella realizzazione di musica originale.

OAK - “Nine Witches Under a Walnut Tree”: dopo il buon album dedicato a Giordano Bruno, questo successivo lavoro della band guidata da Jerry Cutillo ci narra le vicende di nove donne, accusate di stregoneria dall’Inquisizione cristiana e messe al rogo… vicende che in un certo modo si ricollegano alla precedente, come si noterà. Musicalmente l’album è addirittura migliore, secondo me… e non di poco, sebbene anche il precedente fosse ben realizzato e apprezzabile.

PSYCHOYOGI - “Dangerous Devices”: un altro album che mi ha sorpreso perché anch’esso successore di un album che non mi aveva particolarmente convinto. Questa bizzarra band britannica ci propone ancora una volta la sua miscela di Canterbury, RIO, humour inglese e un pizzico d’avanguardia ma questa volta in modo decisamente più efficace e coinvolgente. Un album ipnotico, affascinante e divertente.

ANTONIO PIACENTINI

WOBBLER - "Dwellers of the Deep": In un anno così anormale, un disco "normale " di prog sinfonico ci voleva. Bello, fatto bene e che si fa ascoltare più volte.

ZOPP - “Zopp”: Nel 2020 già è difficile fare Canterbury, che lo faccia un gruppo all'esordio è ancora più strano. Il risultato è ottimo. Bella scoperta.

NODO GORDIANO - “Sonnar”: Amo particolarmente il gruppo capitolino e questo lavoro conferma quanto di buono è stato fatto nei quattro dischi precedenti. Il mio disco italiano dell'anno.

MOTORPSHYCO - "The all is one": Questo disco conclude una trilogia. e i riferimenti ai gruppi classici si sprecano. La classe e il mestiere del combo norvegese fanno il resto. A partire dai fan del prog glassico fino ad arrivare agli appassionati dello zeuhl (ascoltate la suite N.O.X) nessuno rimarrà deluso.

GAZPACHO - "Fireworker": Ancora un gruppo norvegese. Concept album che prende spunto dal pensiero filosofico platonico. CI sono spunti veramente di alto livello anche piuttosto originali ma tutto il lavoro è degno di nota. Senza Wobbler sarebbe stato il mio disco dell'anno.

KING GIZZARD & THE LIZARD WIZARD - "K.G": Un po' di psichedelia bella stramba filtrata a sonorità non sempre così comuni ogni tanto ci vuole. Non è il miglior lavoro del gruppo australiano e in un anno che difficilmente dimenticheremo, i 4 minuti simildance di Intrasport finiranno nell'oblio.

FRANCESCO INGLIMA

OMNIPOTENT YOUTH SOCIETY - "Inside the Cable Temple": Cina e prog non erano mai andati troppo d'accordo, almeno finora. Gli Omnipotent Youth Society, band di culto del rock alternativo cinese (il loro primo disco è stato eletto il miglior disco rock cinese di sempre) sovvertono ogni vecchio cliché e grazie al loro mix tra folk, jazz, art rock e prog, realizzando il miglior disco progressive rock dell'anno. Che altro aggiungere, l'album in questione è riuscito a vendere anche 410000 copie in una settimana.

MOTORPSYCHO - "The All Is One": Che dire… passano gli anni ma i Motorpsycho rimangono una certezza, non deludono mai. Tuttavia il disco in questione si erge in termini di qualità anche rispetto alle buone uscite degli ultimi 5 anni. "The All Is One" chiude la trilogia iniziata con "The Tower" e proseguita con "The Crucible", ma rispetto ai precedenti accentua la componente sinfonica e psichedelica.

TIGRAN HAMASYAN - "The Call Within": Esagerato come non mai Tigran ci regala il suo disco più prog dai tempi di Mockroot. Complessità ritmiche notevoli, labirintiche evoluzioni jazz rock, non inficiano la sua capacità di emozionare e di creare splendide melodie.

AKSAK MABOUL - "Figures": A 40 anni da "Un Peu de l'Âme des Bandits", Marc Hollander organizza un ritorno in grande stile. Con un album che non tradisce i fasti di un tempo, ma al tempo stesso sa essere fresco e attuale.

WATCHDOG - "Les Animaux qui n'Existent pas": Mai banali i dischi di Anne Quillier! Qui la troviamo con i Watchdog in un album abbastanza criptico, ma al tempo stesso raffinato e pieno di fascino. Tra Canterbury e avant jazz riesce comunque ad avere un gusto melodico molto elevato.

WITCH 'N' MONK - "Witch 'n' Monk": Lei soprano, chitarrista e violinista inglese, lui flautista colombiano, dalla scuderia di John Zorn, questo duo anglo-colombiano realizza uno dei dischi più spiazzanti e intriganti dell'anno appena trascorso. Tra musica sudamericana (samba, tango, tropicalia, etc), opera, avant rock alla Residents e prog, l'album in questione, non solo riesce ad essere credibile ed omogeneo, ma soprattutto divertente da ascoltare.

MICHELE MERENDA

DENNIS REA - “Giant steppes”: Si tratta di un lavoro che probabilmente col prog c’entra solo marginalmente, ma è indubbia in questo caso la volontà dell’artista statunitense di far “progredire” i contenuti musicali della sua proposta, che può essere definita world musico direttamente ethno. Le musiche tradizionali del centro Asia, soprattutto quelle delle steppe siberiane, vengono qui riarrangiate in un contesto più attuale, elettrificate nei punti giusti e ampliate nella loro capacità evocativa grazie anche a quelle soluzioni che orbitano nei confini (talvolta molto labili) dell’universo jazz. Se ne consiglia l’ascolto a chi desidera spaziare tra le contaminazioni sonore, in questo caso ben riuscite.

MOTORPSYCHO - “The all is one”: La trilogia iniziata nel 2017 si chiude e tutto, per l’appunto, diventa uno. Probabilmente questo album ha i suoi difetti, presenta chiari riferimenti a stilemi dei grandi del passato, mette insieme i tanti sottogeneri del prog… Ma è proprio tutto questo insieme di elementi a far sì che l’ultima fatica dei norvegesi risulti viva e coinvolgente, con una grande densità sonora e un approccio alchimistico-esoterico evidente fin dalla copertina. E poi, come non addentrarsi nei complessi meandri dei cinque movimenti che compongono lunga suite “N.O.X.”?

MOTUS LAEVUS - “Y”: Questa è la musica narrata dai popoli che vengono dal mare. Il trio ligure parte dal jazz maggiormente intimista per esplorare le sfumature del Mediterraneo più arcano, poi confluite in tradizioni anche lontane da esso. Il fiatista Edmondo Romano riparte dall’ispirazione degli Avarta in cui militava, unendosi a Luca Falomi e Tina Omerzo. Quest’ultima, di origini slovene, contribuisce a donare col pianoforte un giusto tocco balcanico alle varie composizioni.

NODO GORDIANO - “Sonnar”: Un felice e gradito ritorno sulle scene dopo sei anni, in cui il gruppo romano conferma la sua vena “sperimentale” e rende tributo addirittura a Nietzsche. Un viaggio arduo, si potrebbe dire sconfinante nel Rock In Opposition, che raggiunge il suo apice creativo nei difficili venti minuti di “After Dusk”. Sicuramente un ascolto in cui si creano sensazioni contrastanti.

TELERGY - “Black swallow”: Una volta tanto, si pone la giusta attenzione sulla creatura del polistrumentista e produttore Robert McClung, che come al solito mette in musica un concept storico su figure mai banali. Stavolta, piuttosto che nomi eclatanti, viene celebrato quello di Eugene Jacques Bullard, ritenuto il primo aviatore afroamericano della Storia. Tanti elementi e come sempre tanti musicisti ospiti, per quello che risulta essere un lavoro bello non solo a livello formale ma anche nei contenuti, tra grandi assoli e felici sconfinamenti nel jazz da big band.

THEO - “Figureheads”: Ritorno sulle scene per il tastierista jazz statunitense Jim Alfredson col suo progetto tipicamente prog, contraddistinto da quattro tracce tanto lunghe quanto energiche. Molto sarcastico nei confronti di una determinata figura politica, questo album contiene nelle sue quattro chilometriche composizioni (dai dieci ai diciassette minuti) tantissimi elementi cangianti, in cui anche gli stereotipi risultano davvero piacevoli da ascoltare.

JESSICA ATTENE

GHOST RHYTHMS - "Imaginary mountains": ritorno molto atteso che ha svelato nuovi percorsi e nuove soluzioni per una band di altissimo livello. Le montagne immaginarie del titolo sono la meta di un viaggio spirituale e musicale avventuroso dove musica da camera e jazz vengono fusi con gusto straordinario.

WOBBLER - "Dwellers of the deep": non hanno bisogno di troppe presentazioni. Sono la croce (per pochi invidiosi) e la delizia (per molti) del prog contemporaneo. Hanno saputo far proprio il bagaglio musicale dei classici del passato riproponendolo in una formula ammaliante ed avvincente. Un paradiso artificiale in cui mi piace perdermi.

DYBLE LONGDON - "Between breath and a breath": questo delizioso album è anche il testamento musicale della grande Judy Dyble. Un album ricco di emozioni con elementi artistici che ci riportano in modo garbato anche ai Big Big Train.

POLYMORPHIE - "Claire Vénus": abbiamo bisogno di tanto in tanto di qualcosa che scuota le nostre orecchie e questo album poetico fino al midollo, teatrale ed avanguardistico svolge splendidamente questa funzione. Da provare.

COMPASSIONIZER - "Caress of compassion": il più bel disco, non accessibile ma incredibilmente ispirato. E' l'abbraccio di Ivan Rozmainsky alle persone che in questo periodo buio soffrono o hanno sofferto. Opera di una bellezza non convenzionale che consiglio.

ZIRP - "Circle divine": un po' di spazio per questo prog folk rilassante e dalle sonorità scintillanti lo volevo lasciare. In questo periodo difficile è bello avere qualcosa per rigenerarsi e questa musica eterea e moderna può rappresentare il giusto rimedio.

GIOVANNI CARTA

L'IMPERO DELLE OMBRE - "Racconti Macabri Vol. III": ottimo ritorno sulle scene dell'Impero Delle Ombre, con una bella sequenza di brani che tengono orgogliosamente alta la bandiera del dark/doom metal tricolore.

VIBRAVOID - "The Decomposition of Noise": i Vibravoid sono un pò come un viaggio (psichedelico) senza fine, quest'ultimo disco è ben bilanciato tra classiche canzoni psych pop-rock e dilatazioni jam-kraut cosmiche, con incluso un bonus disc "live in concert" all'Electric Ladyland Festival tutto da godere.

DEADBURGER FACTORY - "La Chiamata": i Deadburger, veterani dell'alternative rock, da tempo in combutta con la Snowdonia, hanno realizzato un disco ricco di spunti intriganti, imprevedibili quanto intelligenti, insomma, il rock italiano come dovrebbe essere in un mondo ideale.

MOLESOME - "Tom & Tiger": Mattias Olsson qui al massimo della sua espressività dark, un lavoro di musica da camera minimale, intenso e scheletrico, che rappresenta, probabilmente, nonostante la singolarità del disco, l'essenza della sua concezione musicale.

AKSAK MABOUL - "Figures": ritorno a sorpresa di Marc Hollander insieme alla cantante Véronique Vincent dei leggendari The Honeymoon Killers, disco ambizioso e spassoso di "progressive pop" che raccoglie un pò tutte le caratteristiche musicali della Crammed.

THE AMORPHOUS ANDROGYNOUS & PETER HAMMILL - "We Persuade Ourselves We Are Immortal": collaborazione sorprendente che fiorisce in quaranta minuti di visionario ed epico space-progressive rock dalle tinte psichedelico-sinfoniche.

NICOLA SULAS

ELDS MARK - "Elds Mark": Una perla musicale progressiva dai toni soffusi e morbidi, un disco senza tempo, fuori dalle mode e da ogni pretesa commerciale che non sia quella garantita dalla bellezza di una manciata di composizioni strumentali sospese tra rock, folk, jazz e malinconia.

FREN - "Where do you want ghosts to reside": Interessante debutto di una band polacca, che prende spunto dai suoni consolidati del progressive sinfonico per rimasticarli in maniera più moderna e personale, con chitarre, Hammond, mellotron e sintetizzatori intrecciati in brani compatti e qualche richiamo alla scuola di Canterbury, al jazz e addirittura alla tradizione prog italiana.

DYBLE LONGDON - "Between a breath and a breath": Bellissimo disco di progressive-folk in cui Judy Dyble e David Longdon fanno incontrare due mondi musicali vicini ma anagraficamente distanti, tra suoni acustici ed elettrici, splendide armonie vocali e brani che rappresentano l’ultima testimonianza musicale di Judy Dyble, prematuramente scomparsa prima della pubblicazione dell’album.

ANNIE BARBAZZA - "Vive": Un sorprendente esordio per un’artista italiana talentuosa in un lavoro di respiro internazionale, visto lo stuolo di importanti ospiti stranieri e italiani che impreziosiscono con la loro presenza un disco raffinato. Assoluta protagonista è la voce, accompagnata da intense e notevoli parti strumentali.

MAGICK BROTHER & MYSTIC SISTER - "Magick Brother & Mystic Sister": Ottimo debutto per questa band spagnola che si rifà spudoratamente, a partire dal titolo, ad atmosfere canterburiane, tra Caravan, Gong, Soft Machine, un pizzico di Pink Floyd e una diffusa componente psichedelica che dona al disco un mood piacevolmente sballato.

RICK WAKEMAN - "The red planet": Il vecchio leone inglese del progressive rock stupisce tutti con un ottimo album che spazza via la miriade di lavori poco interessanti e dispersivi degli scorsi decenni, dimostrando di saper fare musica di qualità col suo solito stile allo stesso tempo magniloquente ed esuberante.

PEPPE DI SPIRITO

JAMES McGAW - "La fin des temples": Il testamento musicale del musicista francese, pubblicato poco tempo prima della sua scomparsa. Un omaggio a Christian Vander, compagno d'avventura per anni nei Magma, che parte con uno strano brano noise-industrial-elettronico, per poi proseguire con un zeuhl classico di enorme classe.

LA MASCHERA DI CERA - "S.E.I.": Un ritorno alla grande con un disco che non fa che confermare quanto Zuffanti e compagni si trovino a meraviglia nel ridisegnare il più classico rock sinfonico all'italiana. Tre lunghissimi brani, oscuri al punto giusto, per uno dei gruppi che nel nuovo millennio si è distinto più di ogni altro per certe sonorità.

ZAAL - "Homo habilis": Nel segno del Miles Davis elettrico, ma non solo, il nuovo disco del progetto jazz-rock di Agostino Macor. Se a tratti i riferimenti a "Bitches brew" sono palesi e regalano brividi, non mancano un tocco ECM, spontaneità, ispirazione e personalità.

ELDS MARK - "Elds Mark": Un gioiello di grande valore dalla Norvegia. Un disco caratterizzato da romanticismo malinconico, melodie di alta scuola, eleganza fuori dal comune, atmosfere brumose e tantissimo feeling. Una via di mezzo tra il prog scandinavo e gli Höstsonaten di "Winterthrough".

TOM DONCOURT & MATTIAS OLSSON'S CATHEDRAL - "Tom Doncourt & Mattias Olsson's Cathedral": Dal talento del tastierista degli storici americani Cathedral (anch'egli deceduto non molto tempo fa) e del batterista che ha legato il suo nome agli Anglagard, ecco un lavoro di rock sinfonico che parte dal passato e approda ai giorni nostri, con due composizioni di ampia durata affiancate da tasselli più brevi. E tantissimo mellotron.

MAGICK BROTHER & MYSTIC SYSTER - "Magick Brother & Mystic Sister": Già il nome dice tanto, poi quelle prime note che rimandano in maniera evidente ai Soft Machine rincarano subito la dose. Un tuffo affascinante nella scuola di Canterbury, rivista in maniera abbastanza personale e modernizzata al punto giusto, con digressioni psichedeliche e floydiane.



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