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Recensioni

COLOSSEUM-XI -Repertoire Records -2025 -UK -Peppe Di Spirito
COLOSSEUM XI Repertoire Records 2025 UK

Colosseum. Una sigla importante. Un nome che con il talento di un manipolo di musicisti, a partire dalla fine degli anni '60, ha creato musica che ha fatto storia, a partire da quella "Valentyne suite" che con una magica commistione di rock, blues e jazz resta una delle opere più importanti e affascinanti del 1969. Negli ultimi anni i Colosseum sono risorti dalle loro ceneri e proseguono dignitosamente una gloriosa carriera tra spettacoli dal vivo e nuovi album. Due colonne che per anni hanno svolto un ruolo fondamentale nella band, John Hiseman e Dick Heckstall Smith sono venuti a mancare rispettivamente nel 2018 e nel 2004 ed oggi in formazione troviamo Chris Farlowe (voce), Dave Clem Clemson (chitarra) e Mark Clark (basso) come membri storici, accompagnati da Malcolm Mortimore (batteria, che ricorderete nei primi Gentle Giant), Kim Nishikawara (sax) e Nick Steed (tastiere). "XI" è il titolo del loro più recente lavoro, uscito nel 2025 (tre anni dopo "Restoration") e presentato da una copertina che riprende l'immagine del loro mitico album dal vivo del 1971. I primi tre brani sono splendidi e segnano una partenza col botto che regala brividi ed emozioni. "Not getting through" apre le danze con un blues rock energico, carico di groove coinvolgente, con Farlowe che mostra ancora la sua fortissima personalità vocale e con organo Hammond, chitarra elettrica e sax ad alternarsi in brevi momenti solistici. A seguire, "Gypsy", mantenendo le basi blues, sembra erede dei Cream più tosti. Arriva poi il momento clou del disco, con "English garden suite", uno strumentale di nove minuti che è un vero gioiello. Qui troviamo i Colosseum più vicini al prog e agli esperimenti della citata "Valentyne suite" portati ai giorni nostri: aperta da un pianoforte vagamente classicheggiante, ben doppiato dal sax, la composizione si sviluppa attraverso nuove contaminazioni tra generi, con cambi di tempo e di atmosfera e intrecci strumentali abili e brillanti. A questo punto le aspettative diventano altissime, ma continuando l'ascolto, purtroppo, non sempre la band riesce a mantenere questi livelli qualitativi. La cover di "Ain't gonna moan no more" di Van Morrison, per quanto elegante, fa venire meno l'intensità del momento con un soul-blues lento e che si protrae per un po' troppo (oltre cinque minuti). Discorso simile per "Nowhere to be found", jazz-pop-rock all'acqua di rose e dai ritmi compassati. Va leggermente meglio con "Won't be satisfied", che riporta su coordinate di più classico blues rock e decisamente meglio con il blues classico, ma sanguigno, di "No more second chances", a tratti quasi hendrixiana. Ottima, poi, l'interpretazione di un pezzo tratto dal repertorio del grande Jack Bruce, "Out into the field", che trasmette eleganza e pathos e con belle prove di Clemson e Nishikawara. Si chiude un po' in stanchezza con "Hunters", pop-rock raffinato, senza infamia e senza lode. Nel descrivere velocemente i contenuti di "XI" abbiamo seguito la scaletta del cd, ma segnaliamo che quella del vinile ha un ordine differente e contiene un brano in meno (la cover di Bruce). Si può chiedere di più ai Colosseum del ventunesimo secolo? Penso che nessuno chieda loro un nuovo capolavoro degno delle pagine scritte a cavallo tra gli anni '60 e i '70. Dopo ripetuti ascolti e analisi, ribadiamo che "XI" contiene alcuni picchi davvero alti, che possono fare illudere, ma non riesce a mantenere una qualità costante. Nel complesso, siamo comunque di fronte ad un lavoro che mostra musicisti ancora in buona forma e capaci di regalare emozioni e non è poco. Ci sentiamo quindi di ripetere che siamo al cospetto di un lavoro dignitoso, con un bell’effetto nostalgia.

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EXODUS-Niedokończony sen -Gad Records -2024 -POL -Peppe Di Spirito
EXODUS Niedokończony sen Gad Records 2024 POL

Dopo la pubblicazione di un live inedito del 1980, la Gad Records propone questo nuovo documento degli Exodus, recuperando materiale dai primi anni di attività del gruppo e che finora aveva visto la luce solo in cofanetto oggi di non facile reperibilità. "Niedokończony Sen", questo il titolo dato all'album, contiene un demo registrato nel 1977, due brani risalenti ad una session radiofonica del 1978 e poi pubblicati su singolo, infine, un'ulteriore esibizione in radio datata 1979. In quegli anni la band si era assestata in quintetto con Pawel Birula (voce e chitarra acustica), Andrzej Puczynski (chitarra e voce), Wladyslaw Komendarek (tastiere e sintetizzatori), Wojciech Puczynski (basso) e Zbigniew Fyk (batteria). Era anche molto attiva dal vivo, al punto che era in programma un esordio discografico con un live (come avevano già fatto i connazionali SBB qualche anno prima), ma la Polskie Nagrania cancellò l’uscita perché riteneva la qualità di registrazione non sufficiente. Purtroppo quei nastri sono stati persi e per poter assaporare i brani che eseguivano in concerto dobbiamo ricorrere alle incisioni per il demo. Ed è questa la parte più interessante di “Niedokonczony sen”, grazie a quattro composizioni di durata elevata (sedici, sette, quindici e tredici minuti) che già mettevano in mostra ottime idee e poco importa qualche difetto di registrazione. "Nadzieje, niepokoje" apre le danze e fa capire che sotto certi aspetti gli Exodus erano già avanti, visto che riuscivano ad abbinare classiche influenze del prog sinfonico britannico degli anni '70 (Genesis, Yes e Pink Floyd in primis) ad elementi che sarebbero emersi nel new-prog pochi anni dopo. L'apertura floydiana d'atmosfera si protrae per cinque minuti, poi, tra impasti elettroacustici, l'intensità cresce, la sezione ritmica si fa più incisiva e le tastiere e la chitarra elettrica si ritrovano insieme a dettare le linee guida con un sound al contempo altisonante e graffiante. A seguire incontriamo giochi al sintetizzatore che fanno capire che siamo al cospetto di musicisti al passo coi tempi, intrecci abili, cambi di tempo continui, riff brillanti, melodie ricercate ed una breve ed efficace parte cantata a partire dagli undici minuti e intervallata da una sezione strumentale di chiara impronta Genesis (periodo 1976-77), con bell'assolo banksiano contrappuntato da arpeggi chitarristici. Gli altri brani del demo seguono questa stessa scia, mantenendo una forte coesione stilistica. Si va ben oltre la forma canzone, con ampissimi spazi strumentali in cui i musicisti si fanno valere e fanno emergere pure qualche influenza derivante dagli SBB, ma anche le parti cantate sono di qualità, per merito dell’ottima performance di Birula, che spicca in particolar modo con vocalizzi particolari in “Oda do nadziei”. Discorso un po’ diverso per i brani registrati in radio, che risultano più diretti, ma che hanno comunque diversi motivi di interesse. “Uspokojenie wieczorne” è una gradevole ballata; “To, co pamietam” si caratterizza per una raffinatezza malinconica, ma ha un breve intermezzo molto aggressivo; “Piesn na droge” è un pop-rock vibrante non troppo riuscito; “Wspinaczka” e “Dotyk szczescia” due ottimi strumentali, molto vivace il primo, più in odore di Pink Floyd (e con vocalizzi di Birula) il secondo, “Niedokonczony sen” condensa abilmente in cinque minuti il prog degli Exodus, tra raffinatezze acustiche e impennate elettriche e sinfoniche. Altra chicca di notevole interesse ripescata dalla Gad Records, che già annuncia nuovo materiale col marchio Exodus in uscita in futuro.

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STEVE HACKETT-Live magic at Trading Boundaries -Inside Out Music -2025 -UK -Peppe Di Spirito
STEVE HACKETT Live magic at Trading Boundaries Inside Out Music 2025 UK

Comincia a diventare difficile districarsi nella discografia live di Steve Hackett. Il chitarrista è l’unico della formazione storica dei Genesis che porta avanti un discorso incentrato sul recupero di quelle meraviglie che la band realizzò negli anni ’70 e per questo merita un grosso plauso. Ma anche il più accanito dei fan non può negare che cominciano ad essere davvero troppe le pubblicazioni dal vivo negli ultimi anni. Eppure “Live magic at Trading Boundaries” merita la massima attenzione, perché è la testimonianza di un concerto semiacustico ed era un bel po’ che mancavano documenti di questo tipo. Si tratta di una serie di estratti di varie esibizioni (le cui date però non sono riportate) a Fletching, dove Steve da un po’ di tempo si esibisce un paio di volte all’anno in questa “veste”. Armato di chitarra e armonica, è accompagnato in queste occasioni dal fratello John al flauto, da Roger King alle tastiere, da Rob Townsend ai fiati e da Amanda Lehmann alla chitarra e alla voce. Quasi sessantuno minuti di musica per questo cd, che si apre con una improvvisazione, per poi passare alla sempre affascinante parte iniziale di “Blood on the rooftop”. Si susseguono una serie di brani che mantengono quasi sempre un’atmosfera incantata, sia quando si punta su eleganza un po’ malinconica, sia quando si scelgono pezzi che presentano una maggiore vivacità e velocità. Analizzando la scaletta, partiamo col dire che Steve va sul sicuro con classici quali “Horizons”, “Hairless heart”, “Ace of wands”, “Black light”, “Walking away from rainbows”, “Jacuzzi”, già ampiamente testati in passato in situazioni simili. Splendidi, poi, alcuni ripescaggi, a partire da quelli genesisiani con un estratto di “Supper’s ready” (precisamente il passaggio che porta da “Willow farm” a “Apocalypse in 9/8”) e di “After the ordeal”, ma anche il repertorio solista regala perle incredibili, dalla sempre emozionante “Hands of the priestess” alla orientaleggiante “The red flower of Tai Chi blooms everywhere”, passando per le elegiache “Barren land” e “The journey” e per le divagazioni jazz di “Jazz on a Summer night”. Nel contesto si inseriscono alla perfezione, rafforzando le connessioni con la musica classica, la meravigliosa “Gnossiene No. 1” di Satie ed un estratto di un concerto per organo di Poulenc, ben eseguito da King. La presenza di Amanda Lehmann è legata a due brani (gli unici cantati) del suo repertorio solista: “Memory lane” è una canzone delicatissima anche nel tema, visto che la chitarrista l’ha scritta per la madre malata di demenza senile; “Only happy when it rains”, invece, si muove tra pop e blues con Steve all’armonica e rappresenta forse l’unico momento poco interessante del disco. Ribadiamo: nel marasma delle uscite live di Hackett, “Live magic at Trading Boundaries” è una di quelle il cui acquisto va preso assolutamente in considerazione.

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PTF-Ambiguous fragile sign -Perpetual Spring Records -2024 -JAP -Peppe Di Spirito
PTF Ambiguous fragile sign Perpetual Spring Records 2024 JAP

Soprattutto nei loro primi lavori, i giapponesi PTF erano stati inquadrati come “KBB dei poveri”. Ma si può dire tranquillamente che da allora sono cresciuti esponenzialmente nel tempo e che oggi questa etichetta va a dir poco stretta. Già con il precedente “Genesis of the stars” avevano toccato un picco qualitativo notevole, ma con “Ambiguous fragile sign” si va ancora oltre. La formazione è ormai consolidata con il violinista e compositore Keisuke Takashima che si erge a figura cardine della band e che è coadiuvato al meglio dal tastierista Takeya Kito, dal bassista Hiroyuki Ito e dal batterista Yusuke Seki. Stilisticamente non cambia molto rispetto al passato, ma mai come in questo caso impressionano la bellezza delle nuove composizioni, le loro strutture, la dinamicità e le capacità dei musicisti, che si esibiscono in un prorompente tecnicismo mai fine a sé stesso. Ancora una volta siamo al cospetto di un’opera interamente strumentale, nella quale i PTF passano con estrema naturalezza da solenni soluzioni sinfoniche ad infuocate fughe jazz/rock/fusion, con influenze che vanno da Emerson, Lake & Palmer alla Premiata Forneria Marconi, dalla Mahavishnu Orchestra alla scuola canterburiana. L’album è lungo, supera i settantadue minuti, ma risulta davvero scorrevole, grazie ad una serie di sette brani finemente articolati, spesso dall’elevato minutaggio, nei quali violino e tastiere sembrano sfidarsi in continuazione, supportati in maniera egregia dalla vivacissima sezione ritmica, il tutto senza perdere di vista l’aspetto melodico, con passaggi più riflessivi e/o di atmosfera che fanno rifiatare un po’. L’ascolto culmina con la suite di venticinque minuti “Thesis”, suddivisa in cinque parti e che probabilmente può essere visto come il vertice creativo dei PTF e come la summa perfetta della loro proposta, con una rigorosa esecuzione tra passaggi classicheggianti, temi brillanti che si ripetono, riff incandescenti, deviazioni jazz, eleganti spunti reminiscenti di Pink Floyd, cambi d’umore e di ritmo continui. Il paragone con i KBB, in termini puramente di stile, resta valido, ma possiamo serenamente dire che i PTF hanno seguito un percorso di crescita sempre maggiore, al punto da meritare decisamente più considerazione anche grazie a questo splendido lavoro, che può essere annoverato tra le migliori uscite prog dell’annata 2024.

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RENAISSANCE-Can you hear me? - Broadcasts 1974-1976 -Esoteric Recordings -2024 -UK -Peppe Di Spirito
RENAISSANCE Can you hear me? - Broadcasts 1974-1976 Esoteric Recordings 2024 UK

Nel 1976 i Renaissance pubblicarono “Live at Carnegie Hall”, un doppio album dal vivo che era uno splendido compendio della fase più fulgida della loro carriera. In seguito sono usciti altri live molto interessanti, spesso postumi, ma merita sicuramente un plauso questo cofanetto proposto dalla Esoteric Recordings che recupera materiale risalente al 1974, al 1977 e al 1978 in due cd ed un blu ray. Buona parte dei contenuti erano in realtà già usciti in passato, ma nell’ambito delle ristampe dei dischi dei Renaissance nelle confezioni clamshell box realizzate dall’etichetta britannica, questo prodotto merita la massima attenzione. Già, perché la qualità della musica e delle esecuzioni mette in mostra una band arrivata al culmine delle proprie potenzialità, in momenti in cui tutto funziona alla perfezione. È sempre un enorme piacere riascoltare gemme splendenti della loro produzione, come “Mother Russia”, “Ocean gipsy”, “Running hard”, “Prologue”, “Can you understand”, “Ashes are burning”, “Carpet of the Sun”, “Touching once (is so hard to keep)” e quella “Can you hear me?” che anche in assenza di orchestra resta uno dei vertici assoluti toccati da Annie Haslam e compagni. Inutile soffermarsi più di tanto a descrivere la musica dei Renaissance, basti ricordare che anche dal vivo il loro prog mantiene quegli equilibri perfetti tra rock, classica e folk, tra melodia e maestosità, tra eleganza strumentale elettrica e acustica e performance al solito strepitosa di una delle voci migliori del panorama. Il blu ray è un valore aggiunto che permette di farci vedere in buona qualità l’esibizione già nota al “Sight & Sound in concert” della BBC del 6 gennaio del 1977, ma recupera anche un filmato del “Top of the Pops” del 1978 con “Northern lights” e, soprattutto, l’inedita partecipazione alla televisione svizzera Kalëidospop del 30 marzo 1974 con magistrali versioni di “Can you understand” e “Ashes are burning”. I Renaissance vengono solitamente inquadrati qualche passo indietro rispetto ai mostri sacri del prog, ma stiamo comunque parlando di giganti con una loro personalità ed una proposta decisamente distintiva. “Can you hear me? – broadcasts 1974-1976” è probabilmente il miglior compendio dal vivo dei Renaissance dopo il citato “Live at Carnegie Hall” e diventa un acquisto obbligato, ancor di più se non avete già in collezione i cd che raccoglievano parte del contenuto di questo cofanetto.

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RUNAWAY TOTEM-Creators -Black Widow Records -2024 -ITA -Peppe Di Spirito
RUNAWAY TOTEM Creators Black Widow Records 2024 ITA

Continua il viaggio musicale dei Runaway Totem, ormai una vera e propria istituzione del prog italiano moderno, essendo attivi da oltre trent’anni. “Creators” è la seconda parte di un concept iniziato nel 2019 con “Multiversal matter” e narra di esplorazioni dello spazio e di incontri con forme di vita aliene. L’album (a sua volta suddiviso in due parti) inizia nel migliore dei modi, con una composizione meravigliosa intitolata “Viators”, che è contraddistinta da uno zeuhl oscuro, inizialmente carico di atmosfere misteriose e poi più impetuoso e impreziosito da una favolosa interpretazione di Sophya Baccini, i cui vocalizzi rendono ancora più altisonante e affascinante il sound. I ritmi potenti e le combinazioni di chitarra elettrica, sintetizzatori, tastiere e sax sono una caratteristica che emerge già da questa prima traccia e che sarà una costante durante l’ascolto. Discorso simile per “Advent deus”, ancora con la Baccini al canto, ma qui allo zeuhl di base si affiancano intriganti derivazioni jazz-rock. Il disco prosegue tra strumentali stravaganti in cui i Runaway Totem abbinano ad un potente space-rock elementi di world music, soprattutto per l’apparato percussivo (“Betelgeuse” e “Remembering Betelgeuse”, quest’ultima lenta, onirica e magicamente scandita dalle note del flauto e della chitarra elettrica), il rock tirato e dalle tinte dark di “Lemuria”, l’avvicinamento di echi crimsoniani e zappiani, con cori à la Magma, di “The gates of Orion”, il ritorno allo zeuhl pieno con “The spiral” e con la magniloquente marcia di “Universal union”, nelle quali nelle quali sono da rimarcare nuove appassionanti parti cantate in vocalese, stavolta ad opera di Emanuela Verdana dei Melting Clock. Sul cd c’è spazio anche per una bonus track e si tratta de “L’alchimista”, personalissima e riuscita visitazione di un brano dei Blue Oyster Cult, già apparsa sul tributo ad essi dedicato “The dark side of the cult”. Frutto della mente di Roberto Cahal Gottardi, che da sempre ha le redini in mano per il progetto Runaway Totem, “Creators” è un disco sorprendente e complesso al punto giusto. Mai intricato fino a risultare incomprensibile, contiene musica che va ascoltata con la giusta concentrazione per percepire in pieno sia la sua forza evocativa, sia gli intrecci con cui è costruita. Gottardi è seguito in maniera perfetta da quella che viene denominata Intergalactic Totem Arkestra e che ha visto, tra gli altri, i preziosi contributi ai fiati di nomi storici quali David Jackson, Nik Turner e Martin Grice. I Runaway Totem, da sempre, sono una figura molto particolare del panorama del rock progressivo italiano. Fin dagli esordi mostrano voglia di sperimentare e sono sempre pronti a cambiare volto e direzione. In una carriera brillante e piena di dischi meritevoli d’attenzione, “Creators” si eleva probabilmente come loro opera migliore.

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WILSON PROJECT-Atto primo -Ma.Ra.Cash Records -2025 -ITA -Peppe Di Spirito
WILSON PROJECT Atto primo Ma.Ra.Cash Records 2025 ITA

Con “Atto primo” i Wilson Project hanno decisamente alzato l’asticella. Se l’esordio del 2022 intitolato “Il viaggio da farsi” mostrava una band promettente con buoni risultati e buone idee da mettere un po’ più a fuoco, il secondo lavoro evidenzia un deciso salto di qualità. Anche il concept di base è ambizioso: una sorta di omaggio alla musica lirica, con composizioni dedicate a famose opere, a importanti compositori, o, ancora, a vere e proprie correnti. A parte questo tipo di tributo, di lirica, nell’album, non ne troviamo, ma siamo di fronte ad un rock progressivo che avvicina passato, presente e tradizione italiana. La formazione è la stessa del debutto, con Annalisa Ghiazza alla voce a all’aerophone, Andrea Protopapa alle tastiere, Stefano Repetti al basso e Mattia Pastorino alla batteria.
La “Ouverture” maestosa di tre minuti posta in apertura ci porta subito verso un prog sinfonico brillante che si ripeterà poi nell’intero disco per un risultato compatto ed una rimarchevole omogeneità. Ci troviamo così al cospetto di sei composizioni di ampia durata, dall’andamento solitamente drammatico e teatrale, che permettono ai musicisti di mostrare il loro talento. Le lunghe “Ragnarok” e “Duat” sono emblematiche in tal senso, ma risulterebbe inutile descriverle tutte, perché la bravura dei Wilson Project sta nel creare brani credibili che iniziano in un modo e, dopo una serie di molteplici variazioni, tendono a finire in maniera completamente diversa. Nell’agire in questo modo, la band non risulta mai confusionaria, anzi, riesce ad articolare la propria musica in maniera tale che ogni movimento sonoro, ogni stacco, ogni scelta ritmica, ogni passaggio solistico, ogni melodia riescano pienamente a rendersi funzionali al brano eseguito. Anche con queste peculiarità e con i continui mutamenti, si denota sempre un filo logico ed una linearità durante l’ascolto e il merito va inquadrato nell’ottima prova dei musicisti. La sezione ritmica si fa valere ed apprezzare riuscendo a districarsi perfettamente nei tessuti complessi proposti, tra tempi composti ed un groove che cattura immediatamente. La cantante è un valore aggiunto, grazie ad una voce esuberante e distintiva e alla sua capacità di passare da linee melodiche abbastanza dirette ad altre più particolari, fino a lanciarsi in vocalizzi che toccano acuti molto alti. Oltre alle parti vocali, dona ulteriore ricchezza timbrica grazie all’uso dell’aerophone, strumento a fiato digitale che permette di riprodurre suoni variegati e un po’ distorti di sax e flauto, ma in grado di sintetizzare anche gli archi. Le tastiere fanno il resto andando spesso in primo piano e spingendo i Wilson Project verso i territori più classicheggianti, tra sonorità e riff altisonanti e fughe solistiche da applausi. I riferimenti vanno dai Genesis alle Orme, da Emerson, Lake & Palmer alla PFM e, in alcuni frangenti, notiamo qualche somiglianza con quanto fatto in tempi più recenti dai bravissimi connazionali Unreal City. È sempre un piacere vedere giovani che con buoni risultati si approcciano al mondo del prog e grazie a “Atto primo”, disco da ascoltare ripetutamente e con attenzione, possiamo dire che i Wilson Project si inseriscono prepotentemente tra i migliori esponenti di rock sinfonico della nostra penisola degli ultimi anni.

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