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TWENTY FOUR HOURS Oval dreams Musea 1999 ITA
Se, oggi, si volesse ricercare in Italia un progetto capace di oscillare con duttilità dalla psichedelia al progressive, ebbene la scelta cadrebbe necessariamente sui Twenty Four Hours di Paolo e Marco Lippe, che col loro terzo disco, "Oval dreams", proseguono con decisione nel solco evolutivo già tracciato dall'ormai lontano ('93) "Intolerance". Carattere unificatore è una certa morbidezza che si estrinseca con accenti moderni, però piacevoli, mentre gli arrangiamenti risultano raffinati, senza comunque perdersi in sterili virtuosismi; la voce, quasi sempre sussurrata, pare suggerire arcani segreti. Non che alla band manchi la capacità di variare gli schemi: il disco, che si apre e si chiude con dilatazioni à la Tangerine Dream, comprende anche tracce ritmicamente più cariche. Ciò che più convince è tuttavia il new Canterbury di "The road of madness", reminiscente i mai troppo rimpianti Eris Pluvia ed Utopian Fields; intrigano poi le eccentricità cosmiche gonghiane di "Twenty-Four-Pink-Hot-Tentacles". Non molto significative, per contro, le covers di "Mother nature's son" dei Beatles e di "Darkness" dei Van der Graaf. Buon gusto e capacità melodica perfezionata con gli anni, pur senza sconvolgenti invenzioni: questi i pregi del cd, che non sarà un capolavoro ma il cui ascolto non si può aprioristicamente sconsigliare a nessuno.
 

Francesco Fabbri

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