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US The ghost of human kindness autoprod. 2004 NL

Gli US sono una band in continua crescita e grande attenzione hanno riposto nella realizzazione di questo terzo lavoro in studio, anche se il risultato finale non è privo di difetti. Soltanto 5 sono le composizioni ma queste si assestano su un lungo minutaggio andando dagli 8 ai 20 minuti circa. Proprio alla traccia più lunga è affidato il compito di aprire l'opera: "Full Circle" si apre in un progressivo crescendo che vede il graduale inserimento dei diversi strumenti musicali: si parte da una malinconica chitarra acustica le cui note sembrano vibrare nel deserto, poi si innestano, senza fretta, le tastiere con un registro di archi. Alla voce di Stephan Christiaans viene presto a sovrapporsi la chitarra elettrica ed infine entra la sezione ritmica che dona nuovo vigore alla traccia. Con il fiorire delle tastiere si fanno strada assoli chitarristici Rotheryani che ci accompagnano verso la fine di questo primo momento introduttivo. Sono passati già 7 minuti a questo punto e si apre un vasto momento strumentale di prog sinfonico e romantico che segue melodie dal disegno delicato. Con calma attraversiamo momenti musicali distesi ed avvolgenti e solo alla fine interviene Stephan a svelare la fine della triste storia narrata in questa suite. Le liriche, molto toccanti, raccontano di una donna che soffre per l'abbandono del marito partito per la II guerra mondiale.

Dopo questo inizio, dominato da suoni limpidi e distesi, ecco arrivare lo spirito più sinfonico della band che ci offre una musica grezza con suoni vintage e richiami a Yes e Genesis, con belle parti di basso e assoli ben costruiti. La struttura del brano è deliziosa, purtroppo sembra quasi che il master originale sia caduto nella lavatrice: la registrazione a questo punto si fa sporca, l'equalizzazione dei suoni non è il massimo ed il lavoro di produzione è decisamente grossolano. A risolvere in parte il mistero interviene il gruppo stesso il quale ci avverte, nel booklet (impaginato con grande cura), che la registrazione di questo CD è stata minata da una serie di incidenti tecnici che hanno comportato anche la perdita di una parte del materiale registrato. Particolare è l'atmosfera che si respira nella traccia centrale, "Grand Canyon", una sorta di ballad nostalgica dalla struttura molto semplice, purtroppo opacata da una performance vocale non brillantissima, soprattutto per quanto riguarda i cori. Ottimo il lavoro di basso su "The Dream", una canzone Marillioniana abbastanza movimentata nella sua parte iniziale ma che comunque progredisce con difficoltà, specie nella sua parte centrale lenta. La registrazione che sembra essere stata effettuata di nascosto durante un concerto non aiuta certo l'ascoltatore. La lunga title track chiude l'album: apprezziamo dei suoni che richiamano i Genesis di "The Musical Box" (mi riferisco alla fase di apertura) con temi musicali graziosi. I vari momenti che si succedono sono variegati e appaiono decisamente belli presi singolarmente con episodi di notevole valore, l'assemblaggio dei pezzi comunque appare piuttosto artigianale e forse qualche taglio ad hoc non sarebbe stato fuori luogo.

Insomma questo pare proprio un album sfortunato. A parte la scarsa disponibilità di mezzi che non avrebbe comunque permesso miracoli nella resa sonora, magari una fase di produzione e registrazione più tranquilla avrebbe consentito di ottenere un lavoro di valore ben superiore a quello che possiamo attualmente apprezzare. Un album del genere rappresenta un'occasione sprecata e la band non avrebbe dovuto metterlo in circolazione così come è: la sostanza c'è anche se non è possibile apprezzarla.

 

Jessica Attene

Collegamenti ad altre recensioni

US A sorrow in our hearts 2002 
US Eamon's day 2003 
US The young and the restless 2006 
US Feeding the crocodile 2010 
US The road less travelled 2011 

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