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ECHOLYN The end is beautiful autoprod. 2005 USA

Mettiamoci l'animo in pace: le persone sono quelle giuste (compreso il bassista Tom Hyatt, tornato in pianta stabile) ma i giorni della giovinezza sono andati per sempre. Sembra quasi di tornare in un paesaggio familiare dopo il passaggio di un uragano: i pezzi ci sono tutti, li riconosciamo qua e là, ma la fisionomia è profondamente sconvolta. Allo stesso modo l'atmosfera che pervade questo album è cupa ed i suoni sono rumorosi, opachi e grezzi: come se si volesse dipingere utilizzando soltanto una scala di grigi. Locali fumosi, luci al neon, il traffico cittadino immerso nello smog della sera autunnale, un ambiente metropolitano claustrofobico, queste sono le immagini evocate dall'ascolto di questo nuovo CD. La musica assume dei tagli più netti, priva di quella complessa stratificazione degli esordi. I connotati sinfonici permangono, ma sono soffocati fra le macerie di un'impalcatura sonora di vetro ed acciaio. Loop elettronici, ritmi funky e jazz si mischiano a riff martellanti e sonorità noise. Da qualche parte là sotto sono sepolte tastiere di vario tipo fra Fender Rhodes, Wurlitzer e Hammond.... Da qualche parte spunta persino un Theremin. Vengono in diverse occasioni saccheggiate alcune trovate tipiche dei Gentle Giant, soprattutto riguardo l'intreccio di tastiere, ottoni e voci.

Dopo la mega-suite di "Mei" il gruppo opta questa volta per una cinquantina di minuti suddivisi in otto tracce della durata media di 5-6 minuti, con la punta massima di 10 in "Lovesick Morning". I brani appaiono piuttosto eterogenei, con qualche vertice ma anche con cadute imbarazzanti. Un passo avanti rispetto all'estrema semplicità di "Cowboy Poems Free" ma anche un cambiamento di direzione rispetto alla sinfonicità di Mei. Bisogna comunque sottolineare, in ogni caso, la bellezza delle liriche, raffinate e molto personali. L'inizio forse non è dei più promettenti: "Georgia Pine" è una movimentata e rumorosa traccia dalle ritmiche funky, con suoni sporchi ed impastati e dall'impatto live; gli strumenti seguono un andamento abbastanza intricato ma la struttura della canzone è decisamente semplice e diretta, come un pugno nello stomaco. "Heavy Blue Miles" ha un che di easy jazz con fasi di stallo dominate da voce e pianoforte e fasi dalla dinamica più vitale in cui spuntano ottoni e tastiere che si miscelano con brio alle voci. Domina comunque, in entrambi i casi, la ricerca del ritmo e del groove ossessivo in cui rimane poco da sfrondare al di là dell'impatto immediato. "Lovesick Morning" si apre come una ballad cantata da una voce un po' sciatta ma con liriche e linee melodiche delicate. La traccia gioca sulla rielaborazione di pochi schemi compositivi, comunque la struttura che si sviluppa in lento crescendo, con l'inserimento di qualche diversivo (fra cui gli ottoni inseriti ad arte, grazie all'apporto di una guest horn section che compare in diverse canzoni), la rendono a mio avviso fra i pezzi più interessanti, nella sua globale semplicità. "Make Me Sway" è costruita su riff di chitarra sporchi e pesanti, con linee vocali rabbiose e aggressive, a tratti oserei dire sgradevoli e qualche grossolano rudimento progressivo... forse il tutto vuole essere in linea con le liriche pungenti di accusa verso un personaggio a dir poco viscido... il risultato finale comunque non mi convince affatto: sembra quasi che gli Echolyn si siano trasferiti nei bassifondi di Seattle! La title track, al di là di qualche spunto interessante, ha un sassolino davvero fastidioso per chi conosce Stravinsky: il ritornello che si ripete ciclicamente in crescendo fa il verso al tema finale de "L'uccello di fuoco" e inevitabilmente mi vedo davanti agli occhi il palazzo e le creature di Kaschchei che si dissolvono ed i cavalieri di pietra che ritornano alla vita. Questa cosa già l'avevano fatta gli Yes, o no? "So Ready" mi ricorda un'imitazione maldestra dei Supertramp nello strambo tentativo di mettere insieme qualcosa di cantabile, vagamente ballabile e ruffianamente funky. "Arc of Descent" è una ballad semplice e lineare, costruita con un profondo gusto della melodia su cui si allungano le ombre della storia di disperazione e suicidio delineata nelle liriche. La vicenda è stata ispirata da un racconto di Stephen King: "All that you Love Will Be Carried Away"e questo mi sembra emblematico in un certo senso: siamo passati da C.S Lewis (che ispirò la divertente "My Dear Wormwood" ai tempi di "As The World") a Stephen King... In chiusura l'altro pezzo lungo del CD: "Misery not Memory". Si tratta della traccia forse più complessa del lotto, con chiari riferimenti ai Gentle Giant (più di tutti mi viene in mente "In A Glass House") riletti in maniera distorta, con una batteria letteralmente pestata e una chitarra ciancicata.

E' difficile non trovare spunti interessanti in un album degli Echolyn, vista la ben nota caratura dei musicisti. Non si può neanche dire che questo album sia stato buttato giù di getto in maniera approssimativa, anche se le canzoni, decisamente più dirette, non sono traboccanti di idee e contenuti come in passato. Nella realizzazione dei pezzi sono state fatte delle scelte precise, il problema è che queste scelte spesso non convincono soprattutto ad una rilettura più profonda.

 

Jessica Attene

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