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NEAL MORSE Sola scriptura Inside Out 2007 USA

Tempo sprecato? Da me per scrivere questa recensione, da Morse per comporre questo lavoro, da Portnoy per suonarci sopra, da voi che la leggete, di tutti quelli che ne parlano e potrebbero parlare di altro? Grandi dubbi…
L’opera in questione parte, come ormai sempre, dalla visione religiosa della vita di Morse. In particolare si narra delle gesta e dei patimenti di Martin Lutero e dell’avvio del protestantesimo dopo il grande scisma. Tutto in quattro atti: tre lunghe suite (16/25 e 29 minuti) e un brano più breve, una sorta di momento intimistico di circa 5 minuti.
Lo so è una gran libidine sentire suonare bene, specie Portnoy, che sarà pure un grezzo picchiatore folle, ma quanto mi piace; però c’è un problema: è che se Portnoy vale 10, qui si adopera per un 7 tirato, e tutto nella prima suite “The Door” e nell’avvio dell’ultima “The conclusion”. Cos’altro diciamo di questo disco? Vediamo un po’…
La durata dei pezzi è esagerata, non in senso assoluto, ma per i temi trattati, ripetitivi, noiosi, sempre le stesse corse, le stesse ritrite melodie e gli stessi assolo. E’ vero moltissimi sono i cambi classicamente inseriti nelle suites, ben collegati e trattati in maniera strumentalmente impeccabile, ma nulla – assolutamente nulla – di non già sentito. Qualche break lievemente meno edito qui è la per le suite, come il pezzo acustico di “The Conflict” e in fondo un po’ tutta la seconda parte di questo brano.
I richiami ai grandi gruppi storici è chiara però qui oltre ad alcune impostazioni stilistiche alla Genesis il suono si è fatto duro, molto heavy, molto hard. Tanto che i gruppi di riferimento principe di questo lavoro risultano i Dream Theater di "Octavarium"! Un po’ come se qualcuno gli avesse chiesto: “Come sarebbero i D.T. con lei seduto alle tastiere?”
Questo generale spostamento hard dominato dalle chitarre di Paul Gilbert ha messo un po’ sottotono il cantato di Morse, che esce solo nel brano breve “Heaven in my Heart”.
Per come la vedo io Neal Morse potrebbe fare molto meglio. Probabilmente il mercato vuole questo e le grandi vendite dei lavori precedenti lo dimostrano. Io stesso per la precedente recensione di “Question Mark” osai intravedere la possibilità di una certa riscoperta del prog grazie alle vendite così massicce. Solo che quel disco ne vale 5 di questo.
In conclusione non proprio un brutto disco, l’ascolto è a tratti ancora piacevole, solo resta un forte amaro in bocca, quell’amaro determinato dalla assoluta inutilità di lavori come questo.

 

Roberto Vanali

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