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RITUAL The hemulic voluntary band Inside Out 2007 SVE

Non è facile ammetterlo, ma uno dei più grandi desideri di un ascoltatore “maturo” di prog consiste nel riacquistare la facoltà di ascoltare la propria musica preferita provando le sensazioni e lo stupore in qualche modo lasciati per strada nel corso degli anni. Tornare ad una fruizione che sia meno razionale e più aperta alle emozioni, ad una verginità irrimediabilmente sacrificata dall’avidità di nuovi ascolti, ma un po’ anche per colpa di uno svilimento della “sacralità” delle opere discografiche. Complice lo sciagurato ma inevitabile passaggio dal vinile al supporto ottico ed infine al file in formato digitale, ultimo stadio della smaterializzazione di qualcosa che un tempo ci dava gioie tanto per il contenuto musicale quanto per la sua veste grafica.
Cosa c’entrano tutte queste ovvietà con il nuovo album dei Ritual? In effetti è un discorso personalissimo e soggettivo, ma è stato proprio il primo ascolto di questo quarto album della band svedese a costringermi a fermarmi un attimo a riflettere su ciò che in origine mi ha avvicinato a questo genere, tanto magico quanto deriso e bistrattato.
Avevamo lasciato i Ritual con un’opera accolta in modo forse ingiustamente tiepido come “Think like a mountain”, che coniugava e fondeva le gioiose inclinazioni folk del debutto con le tendenze hard-rock zeppeliniane del successivo “Superb birth”. A colmare l’attesa il live dello scorso anno, che confermava il successo della band nel forgiare un proprio riconoscibilissimo e inimitabile stile, frizzante e a volte tendente all’easy listening (in senso buono) ma assolutamente all’opposto sia della banalità che della pretenziosità.
Il titolo “The Hemulic Voluntary Band” e parte dei testi rivelano che la band si è ancora una volta immersa nel mondo fantastico e ingenuo della scrittrice finnica Tove Jansson, vera musa ispiratrice di Lundström e soci, scomparsa nel 2001.
Ciò che sorprende dell’album è l’unitarietà raggiunta nelle atmosfere, di nuovo rarefatte e infarcite di suoni antichi e lo straordinario livello del songwriting, culminante in quella che ritengo (a rischio di essere considerato uno sprovveduto) la suite artisticamente più riuscita del decennio in corso. Mi riferisco ai 26 minuti di “A dangerous journey”, un vero godimento per l’orecchio, per il cuore e per il cervello, nobilitato dalle linee vocali nostalgiche di Patrik, dai flauti, dal bouzouki e dal mandolino di Fredrik Lindqvist, dalla nyckelharpa (strumento ad arco della tradizione svedese) di Johan Nordgren e dalle tastiere di Jon Gamble che nell’album sceglie (con successo!) di limitarsi quasi esclusivamente all’utilizzo di piano, Rhodes e Clavinet. Raramente succede di ascoltare un brano di tale durata in cui il raccordo tra le sezioni sia più naturale e in cui sia così azzeccata la ripresa dei vari temi, spesso melodie mutuate dal folclore che trasudano sincerità, rispetto e passione per la propria eredità musicale; un viaggio che predilige toni lirici e nostalgici e quasi privo degli sprazzi di “follia” a cui ci ha abituati la band di Stoccolma, qui affiancata dal violino dell’ospite Lovisa Hallstedt.
A questo punto quasi sfigurano i brani precedenti, ma siamo invece in presenza di alcune tra le cose più belle e raffinate ma scritte dai Ritual: la title-track, debitrice dei Gentle Giant, è gioiosa e trascinante come potrebbe essere la marcetta suonata dai quattro Moomin disegnati in copertina da Javier Herbozo. “In the wild” è più obliqua e assai meno immediata, grazie anche alle avventurose linee vocali (che confermano quanto il talento di Lundström sia sottoutilizzato nei nuovi Kaipa…), più oscura è “The groke”, con le sue percussioni vagamente industrial che la avvicinano a qualcosa dei recenti Anekdoten, mentre “Late in November” è un cristallino lamento autunnale per voce, flauto, chitarra acustica e harmonium che preannuncia in tono minore i fasti del capolavoro (oops… eh sì, ormai l’ho detto!) che chiuderà l’album.
Cosa aggiungere… quando mi sento di poter raccomandare un album senza riserve provo un po’ di euforia, forse per la voglia di condividere tutte le sensazioni provate ad ogni ascolto condensandole in poche, inadeguate righe. Per me un acquisto obbligato, in assoluto il migliore album dei Ritual e senza dubbio da includere nella top-five dell’anno che sta per concludersi.

 

Mauro Ranchicchio

Collegamenti ad altre recensioni

KAIPA Keyholder 2003 
KAIPA Mindrevolutions 2005 
KAIPA Angling feelings 2007 
RITUAL Ritual 1995 
RITUAL Superb birth 1999 
RITUAL Did I go wrong (EP) 1999 
RITUAL Think like a mountain 2003 
RITUAL Live 2006 
RITUAL Glimpses from the story of Mr. Bogd (EP) 2020 

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