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SHARK MOVE Ghede chokra's 1970 (Shadoks 2007) INDN

Questo album dimostra quanto il Progressive Rock fosse un linguaggio musicale internazionale, fiorito anche nei luoghi più remoti del globo. Gli Shark Move sono pionieri di questo stile musicale nel proprio paese, l'Indonesia, e nel 1970 realizzano un album che si dimostra non solo al passo coi tempi, ma anche piuttosto originale, grazie alla fusione delle influenze hard rock e psichedeliche di matrice britannica con riferimenti legati alla tradizione locale. Non pensate però a chissà quale stranezza: ascoltando la prima traccia potreste dire benissimo che questo album proviene da qualche scantinato londinese e sicuramente fareste un po' di fatica a credere che nel lontano oriente possano nascondersi produzioni simili. Forse qualcuno ancora non lo sa ma l'Indonesia ha una tradizione musicale progressive ben radicata di cui gli odierni Discus, per citare il gruppo attualmente più conosciuto alle nostre latitudini, rappresentano solo la proverbiale punta dell'iceberg. Ma torniamo all'oggetto di questa recensione che potrebbe rappresentare un ottimo punto di partenza per esplorare questa scena musicale. Gli Shark Move nascono nel 1970 a Bandung da un'idea di Benny Soebardja, chitarrista e cantante, che, allora studente universitario di agronomia, chiese al suo migliore amico, il tastierista Soman Loebis, di formare una band. Si unì al gruppo la sezione ritmica formata dal bassista Janto Diablo, il migliore a Bandung, e dal batterista Sammy Zakaria. L'album arriva poco dopo su LP e cassetta e viene registrato a Jakarta, grazie anche ai finanziamenti di Bhagu Ramchand, un indiano di origine indonesiana che prese a cuore il gruppo.
L'opera si presenta un po' disomogenea ma comunque si tratta di un LP pionieristico e sperimentale per i luoghi dove è nato e per l'epoca in cui è stato concepito e questo lo rende sicuramente unico e speciale. Questa non omogeneità è dimostrata dalla coesistenza di tracce in inglese, come la bella traccia di apertura "My Life", e da tracce più melodiche in lingua locale. Alcuni pezzi sono stati scritti dal leader Soebardja, mentre altri provengono dal repertorio di Janto e di Soman Loebis e sicuramente la mano diversa si percepisce nella scrittura dei pezzi. Il lato A è sicuramente il migliore, con pezzi di incredibile interesse, fra cui spiccano i nove minuti di "My Life", la traccia di apertura, scritta da Soebardja. Flauto, Hammond ed una voce acida ed oscura ci trascinano nel cuore di questo brano, dai suoni cupi e grezzi. Il pezzo incede su cadenze quasi epiche ed è dominato dai passaggi articolati dell'organo, che è bello seguire con attenzione in tutte le sue evoluzioni, anche quando è coperto dalla voce e dagli altri strumenti, e della chitarra elettrica; il basso è in netta evidenza e globalmente i riferimenti meglio identificabili ci portano verso gli Uriah Heep (che il gruppo potrebbe aver addirittura anticipato, visto che questo album è stato registrato il 2 Gennaio del 1970 e l'esordio della band britannica arriva qualche mese dopo) con qualche cadenza Sabbathiana. La voce di Soebardja è senza dubbio interessante, anche se sulle tonalità alte diventa acida e urlante, ma si adatta comunque al pezzo, risultando nel complesso piacevole. La successiva "Butterfly" è una ballad dominata da organo e chitarra acustica che presenta bellissime aperture sinfoniche e linee melodiche di indubbio fascino. La voce è sempre quella di Soebardja che in questo caso riesce a trasmettere sentimenti dolcemente malinconici, mentre la porzione centrale disegnata dall'organo ha un sapore rasserenante con echi che potrebbero definirsi Genesisiani. La breve "Harga" conclude il lato A, questa volta l'autore è Janto che si accolla anche il ruolo di voce solista. Le cadenze sono più marcatamente psichedeliche con atteggiamenti jazzy e belle parti di flauto con melodie vocali che ricordano la tradizione melodica locale, in un accostamento davvero strano. "Evil War", la traccia di apertura del lato B, è un altro pezzo potente, con riff di chitarra coinvolgenti e parti d'organo rigogliose e virtuosistiche, in cui non si fa fatica a riconoscere la penna di Soebardja. Giudico le parti vocali non azzeccatissime per questo pezzo ed in questo caso la voce è quella di Bhagu Ramchand, sicuramente non un cantante dotato. "Bingung" è una ballad romantica dai contorni pop, interpretata dalla voce di Loebis che è anche autore del pezzo. "Insan" è un altro brano melodico, impreziosito comunque dal flauto e dall'organo onnipresente, con arrangiamenti ricchi su cui canta questa volta la voce un po' nasale di Sammy Zakaria. "Madat", firmata ancora da Janto, chiude l'album, e anche qui troviamo cadenze pop melodiche che si mischiano in modo strano a fragranze sinfonico psichedeliche in un insieme particolare ma a suo modo interessante, nonostante alcune perplessità destate dal cantato di Janto stesso. In poco più di trenta minuti si conclude questo viaggio in Indonesia che ci ha fatto scoprire un disco interessante e di valore. Purtroppo anche il viaggio degli Shark Move si concluse presto: alla fine del 1970 infatti Soman Loebis morì in un incidente a Jakarta e Benny Soebardja decise di sciogliere la band. Benny ha continuato il suo cammino musicale attraverso altre esperienze: prima i Giant Step, fondati nel 1971, poi con una serie di produzioni soliste. Tutt'ora suona in Indonesia accompagnato dal figlio Rama e dal fratello Harry.

Nota: dopo la pubblicazione di questa recensione Benny Soebardja, contattato dalla nostra redazione, ha affermato di aver compilato erroneamente le note di copertina dell'album che sarebbe stato pubblicato nel 1972 e non 1970, come chiaramente riportato nell'inserto allegato al vinile e sulla copertina stessa. Afferma inoltre che la morte di Loebis sarebbe avvenuta più tardi rispetto a quanto scritto da lui nella biografia che ha compilato per questa ristampa

 

Jessica Attene

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