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STEVE THORNE Into the ether Festival Music 2009 UK

Un parterre di collaboratori da far tremare i polsi (Nick D’Virgilio, John Mitchell, Tony Levin, Pete Trewavas, Gavin Harrison per citarne solo alcuni), un bel libretto con foto e testi come si dovrebbe per ogni produzione che si rispetti e registrazione ottimale. Cosa volere di più?
“Into the ether” è un bell’album, di sano, onesto, magari anche prevedibile new prog con poche concessioni al passato seventies, ma con palesi richiami ai primissimi anni ’80 progressivi: né un merito, né un demerito. Una semplice constatazione per inquadrare il lavoro di Thorne e soci che, guarda caso, appartengono chi più chi meno al filone più easy, più melodico del genere a noi così caro.
Se Thorne “vuole” questa musica, quali attori migliori di questi? Quali garanzie migliori per un prodotto di qualità? E gli 11 brani presenti nel cd seducono anche per questo motivo. Ma non solo.
Piacevole l’introduttiva “Kings of sin” dal bel ritornello, i bei cambi di tempo orchestrati da D’Virgilio, i riff nervosi della chitarra di Mitchell. Perfetta, per il contesto, la voce di Thorne.
Molto ritmata “ Feathers”, solito refrain azzeccato (avevate dubbi?), ”schitarrata” heavy (stavolta Gary Chandler). Non manca nulla.
Miele in quantità avvolge le note di “Paper Tiger” ; manierata e non trascendentale l’incedere della title-track, malgrado delle tastiere più old del solito.
Molto intensa e sofferta “Granite man”, vicina a certe atmosfere dei Genesis di “Wind and wuthering”: fra i brani migliori della raccolta senza alcun dubbio, come del resto “Sons of Tomorrow”. Delicata e carezzevole il giusto, con uno splendido arrangiamento orchestrale che ne aumenta il coinvolgimento emotivo. Non poteva mancare, al solito, la ballad. E “ Valerie”, seppur non indimenticabile, svolge bene il suo ruolo di brano strappalacrime.
Di tutt’altre caratteristiche si giova “The end”: ritmica brillante (che può ricordare gli IQ) sin da subito ed un dipanarsi a cui è difficile resistere. Il “singolo” dell’album per intenderci. Nella sua accezione migliore.
Un altro brano melanconico (“Curtain), con un finale pirotecnico, chiude questo piacevole album.
Che dire? It’s only (new) prog’n’roll but I like it!!!


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Valentino Butti

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