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MAJESTIC Arrival Mals 2009 USA

Una band americana che pubblica il suo CD per una label russa… il mondo è davvero cambiato! A dire il vero (non che questo cambi molto) Majestic è il nome dietro al quale si cela il solo Jeff Hamel, musicista americano che, accompagnato unicamente dalla voce di Jessica Rasche, dà alle stampe questo suo secondo lavoro, contenente solo 4 pezzi, due dei quali sui 9 minuti e gli altri due di 22 e 36 minuti rispettivamente. Proprio la presenza della brava vocalist rappresenta la novità più importante rispetto ai due album precedenti del polistrumentista (“Descension” 2007 e “String Theory” 2008); il suo cantato melodico e potente si adatta benissimo alla musica offerta da Jeff, in bilico tra un rock energico con qualche sonorità space (pensiamo ai Porcupine Tree di un paio di album fa) e momenti più sinfonici e delicati, spesso con melodie sognanti e sospese in una dimensione quasi estatica. Per quanto riguarda il fattore one-man-band, spesso foriero di sonorità poco accattivanti, bisogna dire che il risultato non è da disprezzare; certo… si sente che la batteria è programmata, ma ne ho sentite di peggiori. A livello compositivo forse però si sente qualche momento di stanca e qualche parte un po’ tirata artificiosamente per le lunghe, specie (ovviamente) nei pezzi di maggior durata. Trattasi comunque di 4 composizioni di sicuro gradevoli e ricche del pathos e delle atmosfere giuste per attirare anche gli ascoltatori più smaliziati, cui bisogna accostarsi senza fretta e senza mettersi per forza alla ricerca del riff ad effetto o della melodia che acchiappa al primo colpo. Il lungo brano di chiusura, ad esempio, quello di 36 minuti e passa, è una composizione camaleontica e tentacolare che sembra finire diverse volte ma che riprende improvvisamente vitalità o si placa inaspettatamente per lunghi minuti… sembra non finire mai, mentre una chitarra gilmouriana ci accompagna instancabile, liquida… per poi infuriarsi di nuovo e ritrovare il cantato di Jessica. E’ il finale? Macché… mancano ancora 6 minuti. La musica sfuma infine lentamente… lasciando la sensazione di esserci persi qualcosa; la tentazione è di rimettere di nuovo il disco daccapo, anche se finora eravamo convinti di non aver ascoltato un capolavoro e che “Arrival” non avrebbe lasciato molte tracce del suo passaggio. Maledetto Hamel… ci hai fregato!



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Alberto Nucci

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