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PROXIMAL DISTANCE Proximal distance autoprod. 2010 USA

In fondo il problema è sempre lo stesso: “Essere o non essere?” I Proximal Distance nascono dalla collaborazione tra Gregg Johns e Jeff Hamel, rispettivamente leader degli Slychosis e dei Majestic. L’orientamento musicale è quello dello space rock, con tendenze hard, linee vocali molto semplici e accattivanti, che corrono su ritmiche decise e mai complesse, con spazio limitatissimo al prog. Molta elettronica, chitarre taglienti, toni epici, accordi pieni, un po’ di new psichedelia, tantissimo rock, un po’ di AOR, qualche momento marillioniano, molti momenti floydiani. Proprio i riferimenti a questo ultimo gruppo direi sono il dato essenziale, specie alla chitarra di Gilmour, che viene richiamata a più riprese e, in certi punti, fin troppo uguale, come nell’inizio di “Deep Space Intermission”.
Dieci brani per quasi 75 minuti di musica che, pur buona per l’aspetto esecutivo, non riesce a salire ad emozionare, mantenendosi piuttosto piatta con punte negative decisamente forti come nella pessima “Flashback To Now” dove sembra di leggere un vecchio manuale di rock dalle pagine sbiadite e di saperne anticipare ogni singola parola. Meglio, decisamente meglio l’eterea e zuccherosa “Leaves Fall” ma anche qui il prog lo vediamo proprio da distante, magari tentando di ricordare qualcosa dei Renaissance del nuovo millennio. Andando avanti salta fuori persino qualche abbozzo prog metal, come nella seconda parte di “Journey Of Truth” o in “Coherence”, tutto sommato e nonostante questo, due brani più dinamici e cangianti che contengono qualche piccolo frammento, qualche intervallo maggiormente attinente alle ispirazioni iniziali della band. Neppure la lunga e semi epica mini suite finale riesce a salvare il tutto e tra cantati ruffiani, ben più adatti ad un film di James Bond, stacchi roccheggianti ampiamente sentiti e risentiti, assaporiamo qualche istante sinfonico non male, rammaricandoci di essere di fronte a signori dalle qualità tecniche notevoli e dalla poca voglia di applicarle in quella musica che invece dicono averli ispirati.
Siamo ancora qui: “Essere o non essere?”. E facile quanto fuorviante dichiarare le proprie ispirazioni in Yes, Genesis e Pink Floyd. E’ forse lo stesso ispirarsi a “Close To The Edge”, “Nursery Cryme” e “Meddle” piuttosto che a “Talk”, “Abacab” e “Division Bell”? Io credo ci sia una bella differenza. Direi che il disco è un tentativo poco convincente e purtroppo non mi sento di promuoverlo.


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Roberto Vanali

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