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MYTHO In the abstract BTF 2010 ITA

Alfieri di un genere non certo inflazionato in Italia, come l’AOR progressivo (o il “rock a tinte progressive”: come preferite, si tratta sempre di etichette di comodo!), i quattro ragazzi del Mytho, formatosi nel Lazio nel 2007 non hanno voluto precorrere i tempi ed affrettare l’esordio: dopo aver sondato il terreno l’anno successivo con l’EP eponimo, giungono ora al debutto di piena durata, con un prodotto di fattura certamente professionale sotto ogni aspetto. Potendo già vantare collaborazioni illustri, decidono di coinvolgere in questo lavoro l’ex cantante degli Asia (ora GPS), quel John Payne che ha dovuto fare un passo indietro al momento della ricostituzione del quartetto originale, voce solista e coautore di un brano (“New Gemini’s rising”).
La peculiarità del Mytho consiste nell’aver rinunciato ad assoldare un tastierista di ruolo, senza però omettere le timbriche dei sintetizzatori: entrambi i chitarristi Enzo Ferlazzo e Antonio Machera alternano il loro strumento tradizionale con dei guitar-synth, apparentemente ispirati dall’analoga scelta effettuata a suo tempo dei GTR di Hackett e Howe, anch’essi indubbiamente tra i numi tutelari della band.
Ho parlato di AOR, ma dimenticatevi le pacchianerie in cui a volte sconfinano le produzioni additate come tali: la musica dei Mytho è sognante e spesso avanza in punta di piedi, utilizzando riff circolari ripetuti quasi come mantra; la ruffianeria qui non è certo di casa, sostituita da un’eleganza di fondo che conferisce profondità ai brani. Allo stesso modo degli strumenti, mai invadente è la voce di Marco Machera, bassista e vocalist dal timbro caldo e dalla pronuncia pressoché impeccabile (finalmente…).
Aprono l’album un paio di brani frizzanti e gioiosi (“Abstract” e “Luna”), molto melodici, dominati da chitarre dal timbro ora esile, ora pastoso che spesso e volentieri si rincorrono; la solarità dei suoni può farci venire alla mente i migliori Jadis. Segue “Alpha Centauri” un brano lineare e riflessivo, in cui i nostri cantano le… “lodi agli dei” inserendo un’esplicita citazione di “Watcher of the skies”.
Nella già citata “New Gemini’s rising” la voce più ruvida di Payne conferisce potenza ad un brano dalle caratteristiche decisamente più “urgenti” rispetto alla media del disco, che prosegue senza intoppi con la strumentale “Maelström”, brano dalla ritmica dinamica e dalle proprietà ipnotiche. Il disco pare perdere qualche colpo approssimandosi all’epilogo, ma riprende quota con “Dawn of a new beginning”, dalle spiccate influenze Asia, degna chiusura di un album piacevolissimo e così “lieve” all’orecchio da rischiare di essere sottovalutato e che, in tempi di opere prolisse, può vantare un ulteriore punto a favore in una stringatezza che ben si addice al genere proposto.


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Mauro Ranchicchio

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