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COPERNICUS Cipher decipher Moonjune Records/Nevermore 2011 USA

E' tornato quel mattacchione di Joseph Smalkowski, poeta, musicista underground americano, conosciuto sopratutto col nome di Copernicus, è tornato. “Cipher Decipher” è il suo nuovo lavoro e anch'esso come i suoi predecessori è uscito per la Moonjune. Non disperate! La formula è sempre la stessa: voce recitante e musica improvvisata. Inutile quindi che vi avviciniate se ciò non è di vostro gradimento.
Copernicus, al suo solito, in piena trance agonistica, declama, sbrodola, lamenta, sputa parole, ora con violenza, ora come un vecchio beone... alle volte quasi cantando. Ci trascina in universi infinitamente grandi e infinitesimalmente piccoli, tra supernove, buchi neri e particelle subatomiche. Al centro del suo cosmo pone le sue poesie come punto di riferimento costringendo la musica a ruotargli intorno, ma proprio quest'ultima non va assolutamente trascurata essendo il vero valore aggiunto dell'album. Il nutrito ensemble, guidato dal solito Pierce Turner e composto da 14 strepitosi musicisti, è abilissimo nel seguire, evidenziare e dare risalto ai bizzarri vaneggiamenti relativistici copernicani, stendendo tappeti lisergici sui quali adagiare declamazioni futuristiche.
La musica è tutta improvvisata e registrata in presa diretta, anche se non completamente astratta. C'è sempre un'idea (un riff, un ritornello, un ritmo) a fare da guida, a mantenere una forma più o meno strutturata, improntata sull'emozione a breve termine che sprigiona un'energia impulsiva e selvaggia. Alla lunga è anche vero che il disco potrebbe un po’ stancare, vuoi per l’overdose di parole, vuoi perché in alcuni frangenti la musica tende ad essere dispersiva, di certo 70 minuti sono davvero tanti da digerire tutti assieme.
Si cerca in tutti i modi di alleggerire l’album variando spesso le soluzioni proposte, con abbinamenti poesia/musica più o meno riusciti. Un po’ ardito ad esempio il connubio con i ritmi latino-americani di “Mud Becomes Mind”, in ricordo forse, del periodo passato in Ecuador con il gruppo locale dei Los Nomados. Più fortunato sicuramente il soul-gospel allucinato di “Infinite Strenght”, in cui il nostro amato Joseph Smalkowski ricorda il John Belushi dei Blues Brothers. Degni di citazioni sono anche la mefistofelica “Into Subatomic” che ci travolge completamente con la sua feroce energia, il farneticante sproloquio zappiano “I don’t believe” e l’apocalittico delirio sonoro di “The Cauldron”. Altre influenze sono sicuramente i Pink Floyd più psichedelici, che vengono addirittura citati esplicitamente nel brano “Comprehensible”, l’avant jazz (“Mirror is Energy”) e il Krautrock.
Forse in questo disco c'è più fumo che arrosto, ma il fumo ha l'odore piacevole e retrò di un locale beat degli anni 60, dove tra ingenuità ed estro si crea arte, liberi da ogni condizionamento. E' indubbio che il personaggio Copernicus, con quelle sue sembianze da scienziato pazzo, susciti in me una certa empatia, sempre in bilico tra genio e macchietta. Non è forse nessuna delle due cose, ma alla fine mi convince e non riesco a non rimanere affascinato dalle sue elucubrazioni quantistiche un po’ naif. Malgrado tutti i suoi eccessi, ha il grosso pregio di essere un personaggio credibile… un personaggio, che possa piacere o no, è vivo e carismatico, cosa oggigiorno abbastanza rara. Certamente è un disco non per tutti, forse solo per menti un po’ deviate, ma somministrato in piccole dose, è piacevole lasciarsi sprofondare nell’universo copernicano.


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Francesco Inglima

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