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LA COSCIENZA DI ZENO La coscienza di Zeno Mellow Records 2011 ITA

Sono naturalmente infinite e sfuggenti le posizioni intermedie tra chi sprofonda nei fondali più bassi di un’anima cupa, arroventata dalla ricerca personale e chi invece ha pensieri resi leggeri dal vento aspro della disinvolta spontaneità, tra i pensieri di chi è inchiodato nel rovello e chi, il sorriso ingenuo della fanciullezza, spinge a idee docili e istintive. In uno di questi piani intermedi giace, e giunge a noi come un sospiro, il lavoro d’esordio de La Coscienza di Zeno che, dalla sua posizione, salta, ora in alto, ora in basso, aggrappandosi ai diversi piani, utilizzando frecce che si conficcano nel profondo e soffi delicati che lambiscono appena la liquida superficie della mente, lasciandola increspata solo per il tempo di osservarla.
Genovesi, hanno lavorato duramente quasi quattro anni per arrivare a questo prodotto, tra difficoltà compositive, idee partite, rimaneggiate, abbandonate e riprese, arrangiamenti infiniti, problemi di sala prove e via così, fino all’incontro con la produzione Mellow Records, che intravede con immediatezza il valore del disco, specie per il suo lato emozionale: una ricchezza ormai rara.
La band è partita con formazione a sei per costruire brani che sono cresciuti di volta in volta e che hanno trovato una loro compiutezza solo in sala d’incisione. Completate le registrazioni Stefano Agnini, tastierista, ma anche compositore dei testi e di parte delle musiche, si è un po’ defilato dal gruppo, e ora svolge funzione esterna per i testi dei nuovi brani e per alcune tracce armoniche, in pratica, dice ironicamente la band, riveste il ruolo del Pete Sinfield della situazione.
Alla fine dei conteggi ci rimane quasi un’ora di progressive sinfonico di alta fattura, suddiviso in sette brani di cui solo uno interamente strumentale e un altro, “Cronovisione”, con una brevissima parte recitata. Proprio quest’ultimo, con le sue intriganti atmosfere orientaleggianti, è stato scelto come brano d’apertura, per lanciarci a capofitto in un vortice eterogeneo, sbatacchiati da sensazioni e stimoli che, grazie ai molteplici di cambi di tempo e stile, sembrano provenire dai mille riflessi di una sala di specchi.
Di brano in brano non ci si può che compiacere di fronte alla mole di ottime idee e soluzioni musicali trovate dalla band, e allora citiamo anche “Il Basilisco” che custodisce in scrinio pectoris, rigonfio di sana fierezza, una tradizione ligure ben rappresentata nel testo e nelle atmosfere quasi folk e cantautorali, in bilico tra certo prog francese e il conterraneo De Andrè, con il raffinato tocco di Luca Scherani, ospite alla fisarmonica e un finale che genera un tremore dorsale che ti obbliga alla posa, per poi riprendere fiato e slancio. Ancora da richiamare lo strumentale “Un insolito baratto alchemico” scritto da Guidi Colombi e Orlando, con piglio più sperimentale, dotato di una bella parte di flauto dell’ospite Joanne Roan al flauto e di una fase centrale quasi disadorna, per creare un senso di assenza voluttuosa, di nostalgica mancanza, costruita attorno alle note di un vero e sempre più raro pianoforte.
Impossibile non parlare dei testi dei brani, estremamente curati e interessanti, da seguire passo, passo per farsi coinvolgere nella grande emotività che trasmettono. Ad esempio, risulta molto intrigante seguire i tratti caratteriali della protagonista di “Acustica Felina”, specie riuscendo ad immaginare a chi sia rivolto il testo.
E veniamo all’aspetto tecnico. L’uso simultaneo di molti strumentisti e di molti scenari, rende l’opera giustamente complessa, ma senza una buona tecnica esecutiva e di registrazione il rischio sarebbe stato quello di una miscela incomprensibile. Invece tutto è pienamente leggibile sia dove lo scilinguangnolo si fa sciolto e irruento, sia negli sviluppi strumentalmente più voluminosi, come nel finale de “Il fattore precipitante”. Molto ricche le parti di tastiera, d’altronde con quattro mani (Andrea Lotti e il citato Stefano Agnini) a digitare era più che logico. Ottime e ben congeniate le parti ritmiche, con un piccolo neo per alcuni momenti un po’ aggressivi e più decisi (Gabriele Guidi Colombi al basso e Andrea Orlando alla batteria). Determinante anche l’apporto chitarristico di Davide Serpico, spesso anche imbracciando l’acustica. Tengo per ultimo il commento sul cantante Alessio Calandriello, vero elemento di forza grazie alla sua vastissima estensione tonale, con saggio delle sue capacità esecutive e interpretative in ogni brano, ma con picco di rilievo ne “Il fattore precipitante”.
Rovistando tra gli aspetti migliorabili, mi torna alla mente la drammatica e tesa atmosfera di “Gatto Lupesco” un brano dalle grandissime potenzialità, ma che per qualche motivo sembra frenato, quasi che la band abbia avuto timore a farlo esplodere e lo abbia volutamente contenere, affrettando passaggi e cambi, togliendo un po’ di arioso respiro al brano. Poi, qui e là, salta all’orecchio qualche momento di arie già sentite, qualcosa dove il new prog ha fatto man bassa e mi riferisco in particolare al guitar solo di “Acustica Felina” nel quale l’utilizzo dell’e-bow porta i suoni verso Mike Holmes degli IQ (mi sovviene, ad esempio, “The Enemy Smack”) o qualche passo indiscutibilmente marillioniano (dal primo periodo) negli strumentali della lunga “Nei cerchi del legno”.
Un esordio certamente positivo, un disco che si fa apprezzare per la quasi totalità e senza aspetti decisamente negativi, ci sono margini di miglioramento e quindi il tutto risulta un’importante base di partenza per un futuro nuovo disco, che ci aspettiamo veramente grande, specie alla luce di un recentissimo ascolto dell’ultimo brano partorito dalla band, che finirà in una compilation della Musea.
Ottima band, teniamola d’occhio.


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Roberto Vanali

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