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RESISTOR The secret island band jams autoprod. 2011 USA

Terzo lavoro per la band del folk-progster polistrumentista (chitarra, mandolino, violino, flauto e quant’altro) Steve Unruh, che nell’arco della sua carriera ha saputo mostrare le proprie capacità nel muoversi in maniera sempre egregia attraverso svariati generi musicali. Resistor è quella realtà che gli permette di affrontare un discorso decisamente rock, affrontato ancora una volta brillantemente grazie anche al supporto di validi musicisti come Rob Winslow (basso), Barry Farrands (batteria) e Fran Turner (seconda chitarra). Dopo due album più che buoni, “Resistor” (2008) e “Rise” (2010), votati ad una sorta di prog-rock cantautoriale con spunti a volte pompeggianti, sembra che la combriccola cambi drasticamente registro, presentando sul mercato discografico un album completamente strumentale e per la maggior parte basato su delle improvvisazioni in studio. In realtà si tratta di un ritorno alle origini, perché il gruppo aveva iniziato proprio suonando jam sessions e solo in seguito ha modificato i propri parametri. Ma l’attitudine di suonare i brani in presa diretta era comunque rimasta ed è probabilmente questo il motivo dell’accento tipico del rock classico presente in ogni loro lavoro.
L’uscita dell’anno precedente era un concept che parlava della ricerca di una fantomatica isola sconosciuta, lontana dall’orrore proposto dal music business. Uno scempio acustico che nella storia veniva incarnato dalla musica da discoteca. Alla fine, i nostri eroi, con una band di 16 elementi, distruggevano materialmente la musica immonda, facendo a pezzi i grammofoni da dove veniva emessa. Ci vuole poco a capire che lo sfondo presente in copertina è proprio quell’isola che vive nel mito (ricorda molto “L’isola che non c’è” di Bennato. Strana coincidenza…), dove la band si lascia andare a delle suggestive jam, come recita il titolo. Tra l’altro, in primo piano, viene piazzato uno di quei grammofoni (ormai scassato) da cui esce un fiore, simbolo dei nuovi orizzonti sonori.
Nove brani, tre composti in maniera studiata e sei nati dalla creazione estemporanea. Si inizia con l’improvvisazione di “Voyage 7”, che deve molto ai Deep Purple dell’era Tommy Bolin, proseguendo con “Picadora”, un melange stavolta studiato, tra la Spagna e le tradizioni celtiche sviscerate con il violino di Unruh.
Si riprende la fluida improvvisazione in “Piezo Fury”, uno dei brani migliori, che tra intarsi di chitarra elettrica ed acustica ricorda molto le sonorità più vicine alla tradizione andalusa proposte a suo tempo dal trio Bozzio-Levin-Stevens, all’insegna della sensualità e dell’energia pura.
“All Systems Go!”, che prosegue con l’attacco frontale, è un altro dei pezzi composti in maniera tradizionale e ricorda parecchio “Motorcycle Driver” di Joe Satriani.
Ci si rilassa con l’improvvisazione di “Dream of the Arctic Tern”, una quieta e meravigliosa meditazione suonata “a voce alta” con la chitarra, da assaporare fino in fondo nel suo scorrere liquido, fino alla magia di un flauto proveniente da qualche bosco elfico ed altre acrobazie sulle sei corde. L’improvvisazione continua con la psichedelica “Santa Anna”, che ricorda le migliori fasi “visionarie” della musica statunitense, rese solenni dall’ingresso di un violino lisergico che poi lascia il passo ad un wah-wah irruento, magmatica base allo sviluppo del brano sparato a velocità vertiginose (definire ottima la sezione ritmica è dir poco).
“Quirk” è l’ultimo dei brani composti, forse il migliore del terzetto, un po’ simile alla precedente “Dream…” come verve, con il violino che dà la sensazione di una sorta di High Tide in versione pastorale.
Ci si rilassa ancora con “Sleepytime”, tra linee solistiche di chitarra molto lineari e flauti, per chiudere con il gran finale: la lunga “Double Ascent”, brano migliore di un album bello dall’inizio alla fine, in cui c’è praticamente di tutto. Si passa dai Jethro Tull più sperimentali della parte iniziale agli High Tide più quieti della seconda metà del brano, pur mantenendo sempre un proprio marchio di fabbrica.
In queste jam il secondo chitarrista Fran Turner sembra maggiormente coinvolto rispetto al passato ed anche gli altri due componenti danno il meglio di loro, ergendosi tutti all’altezza delle idee di Unruh, sicuramente uno dei talenti più poliedrici dei giorni nostri. “The secret…” è un album da avere, senza nessuna remora.


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Michele Merenda

Collegamenti ad altre recensioni

RESISTOR Resistor 2008 
RESISTOR Rise 2010 

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