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KING OF AGOGIK From A to A sAUsTARK Records 2011 GER

“Allora ci vediamo domani sera in sala prove. Mi raccomando, chiama i tuoi amici del conservatorio perché registriamo tutto. Devo anche provare il nuovo kit di batteria, ho questi nuovi piatti veramente fantastici. Ci saranno anche alcuni dei miei studenti, staremo un po’ stretti e si è appena rotto l’impianto di condizionamento quindi questa volta facciamo un singolo invece di un doppio. Ovviamente giochiamo a “Indovina la citazione”. Vedrai che ci divertiamo… dimenticavo, chi si occupa delle birre?”
Sono sicuro che Hans Jorg Schmitz è una persona di spirito, quindi non se la prenderà se immagino questa situazione come quella che ha dato il via al suo quarto progetto discografico a nome King of Agogik.
Dopo averci deliziato (si fa per dire) con un doppio album nel 2009, che non mi aveva per niente convinto, speravo che il batterista tedesco correggesse il tiro rimediando ai difetti che erano presenti in “The Rhythmic drawing room”. Devo ammettere che in parte è così, “From A to A” rappresenta senz’altro un passo in avanti ma da qui a dire che si tratta un buon lavoro ce ne passa. Nonostante i progressi, Schmitz replica alla perfezione la struttura dei brani del precedente album, assemblando millimetricamente tra loro una miriade di temi apparentemente senza alcun collegamento logico. Il risultato non è sconclusionato come in precedenza ed effettivamente qualche spunto interessante si scorge nei settantasette minuti del disco, però manca la qualità generale di fondo e le composizioni appaiono perlopiù banali. Il genere è il solito miscuglio sinfonico-progressivo-classico-elettronico-metallico senza mordente, con un concept di fondo ad argomento storico la cui spiegazione sul booklet appare anch’essa vaga. La sensazione rimanente dopo l’ascolto è un generale senso di vuoto che mi ha fatto venire in mente una frase di Miles Davis (che quasi mi vergogno di scomodare) da me letta tempo fa, la quale diceva più o meno, in riferimento all’eccessiva presenza di assoli nella musica jazz, “un milione di note e alla fine niente da ricordare”.
Concludo scrivendo, a costo di essere banale, che non basta suonare e registrare bene un disco per realizzare un lavoro valido; ci vogliono buone idee, e se anche queste ci sono vanno sviluppate a dovere. “From A to A” non è un album brutto nel senso ristretto del termine, piuttosto è scialbo e poco creativo, ed è difficile che possa interessare un ascoltatore smaliziato. Se poi volete comprarlo per giocare a “Riconosci la citazione”, accomodatevi pure.



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Nicola Sulas

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