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KING OF AGOGIK Morning star sAUsTARK Records 2017 GER

Ogni tanto torno ad occuparmi del caro Hans Jörg Schmitz. Non ho idea del perché mi ispiri una certa simpatia ma conosco bene il motivo per cui i suoi album passati mi siano sempre risultati indigesti.
Sovrabbondante, pacchiana, manieristica, inconcludente, scontata. Potrei usare parecchi altri aggettivi per descrivere la musica contenuta nei lavori del batterista tedesco, tutti volti a identificare un tipo di progressive rock che qualunque ascoltatore "illuminato" dovrebbe in teoria evitare come la peste. Eppure avevo intuito che le cellule embrionali di qualcosa di buono erano presenti nei dischi precedenti, sepolte nei meandri di sconclusionati brani chilometrici e nascoste tra bizzarre e improbabili citazioni musicali. Così, quando ho preso in mano "Morning star", ho assaporato immediatamente il solito peso eccessivo del digipack, la solita grafica un po' anonima, il solito corposo libretto di trentadue pagine descrivente il concept, e mi sono preparato all'ascolto di un cd presumibilmente riempito sino ai limiti tecnici possibili. Dopo aver schiacciato il tasto play ho lasciato che la musica scorresse senza concentrarmi troppo, non con distrazione ma con una predisposizione mentale leggera, e il tempo ha iniziato a scorrere. Dopo una mezz'oretta, inaspettata, è giunta la rivelazione. Sorpresa! Mi sta piacendo. Com'e possibile? Insomma, il disco sembra discreto, scorre abbastanza liscio e non mi fa venire voglia di saltare alla traccia successiva nella speranza che sia migliore. Das ist gut, Hans!
Ci siamo, quindi. Quasi. Nel complesso, il disco è discreto e ascoltabile, più calibrato dei lavori precedenti ma soffre, in maniera ridotta, degli stessi soliti difetti: tendenza all'eccesso ed effetto patchwork. La differenza è che, in buona parte, questi difetti possono definirsi veniali. L'album dura circa settanta minuti ed è sviluppato su quattro brani di lunghezza media elevata (tra otto e venti minuti), che ne costituiscono l'ossatura, e su sei molto più corti che fungono da intermezzo e aventi una struttura mediamente più semplice. Tra questi, è compreso anche il complicato assolo di batteria di Hans ("The art of make-up"), che ricordiamo essere insegnante dello strumento. Il tutto è integrato da effetti sonori e sezioni parlate che contribuiscono a definire il concept, basato sugli scritti del poeta tedesco Christian Morgenstern, ed è suonato dalla consueta pletora di musicisti ospiti che si destreggiano tra strumenti acustici ed elettrici. Le composizioni più lunghe mostrano generalmente buone idee, incanalate come al solito in strutture complesse fatte dell'assemblaggio di parti differenti. "The unavoidable wayfare..." e "...to the place of origin", a dispetto dell'apparente collegamento tra i titoli, hanno atmosfere abbastanza differenti, la prima basata su melodie orientali suonate dai fiati e dalla chitarra elettrica, un suono cupo e a volte duro e parti più elettroniche guidate dal sequencer, la seconda più melodica e rilassata, tra arpeggi acustici, violini, fiati e sezioni rock costruite con gusto. È con "Suprema lex" che le cose tornano a complicarsi. La traccia è un metal basato su pesanti riff di chitarra alternati a sezioni parlate prese da discorsi fatti da personaggi noti (ho riconosciuto Winston Churchill, John Kennedy, Margaret Thatcher e John Lennon) e, sebbene sia apprezzabile per i canoni del genere a cui appartiene, per me è uno dei brani meno interessanti dell'album. "The end of Dithyramb", supera i venti minuti ed è ovviamente il brano più vario del disco. Inizia con un violino sinistro e prosegue in maniera melodica con belle parti di flauto sovrapposte alla ritmica, per poi alternare parti ritmicamente complesse e altre solo acustiche, sino ad aprirsi in un lento crescendo basato su sezioni molto melodiche, con grande sfoggio di mellotron, assoli di synth e poi di chitarra quando il brano si apre in una coinvolgente ed epica cavalcata. I brani corti sono vari, alcuni interessanti e contenenti buone idee, altri trascurabili e poco più che riempitivi.
Il mio giudizio sull'album è nel complesso positivo. Hans è riuscito finalmente a dare un senso compiuto al proprio stile fatto di classico progressive sinfonico (Genesis, soprattutto), metal, sfuriate ritmiche e fantasia compositiva. "Morning star" può essere quindi un ascolto piacevole, anche se non è privo di difetti.
Per chiudere, non ho sentito citazioni evidenti, a meno che non sia stato capace di individuarle. Non sono indispensabili ma tutto sommato mi dispiace perché era uno dei pochi motivi di interesse dei lavori precedenti dei King of Agogik.



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Nicola Sulas

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