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MORAINE Metamorphic Rock Moonjune Records 2011 USA

Nel prog, ma anche un po’ in generale, è sempre meno d’uso proporre, nel corso della carriera, dischi live. Le motivazioni possono essere molteplici, ma credo che principalmente ciò sia dovuto a due fattori. Prima di tutto la registrazione in studio “fai da te”, ormai estremamente facilitata dagli apparati tecnologici, a ruota, perché per suonare bene dal vivo e non dover editare troppo, occorre essere decisamente bravi. Per quanto riguarda i Moraine, le qualità tecniche e musicali non mancano certo, viene quindi naturale la decisione di registrare per intero la performance al NEARfest del 2010 e darlo alle stampe.
Non sono molte le conferme rispetto all’album di esordio: ritroviamo l’etichetta MoonJune, ma varia sensibilmente la formazione, dove, oltre ovviamente a Dennis Rea, ritroviamo Kevin Millard all’eight string bass e la violinista Alicia Allen, che nel frattempo si è maritata con il sassofonista James DeJoje (nuovo della band) e che quindi ha voluto presentarsi, per questo lavoro, con il cognome DeJoie. Altra novità, invece, per il batterista Stephen Cavit, ottimo per tecnica e dalla grossa esperienza jazz rock locale.
Interessante la scelta del titolo del disco, anche in funzione dell’impronta musicale che la band ha voluto imprimere alla prova tecnico-musicale, con l’utilizzo del gioco di parole tra rock, inteso come genere musicale e la roccia metamorfica. Ricordo che tra le rocce metamorfiche, che hanno subito variazioni da rocce preesistenti a causa di cambiamenti di pressione e temperatura, ci sono composti molto duri che arrivano in superficie a causa dei grandi movimenti orogenetici. Questo gioco verso la durezza, ma anche verso le forme in trasformazione, è decisamente esemplificativo delle scelte operate.
Scelte che vedono in ripescaggio e la dovuta metamorfosi di brani da due precedenti lavori, il primo è il disco d’esordio degli stessi Moraine, “Manifest Density” e l’altro è il lavoro solista di Dennis Rea, chitarrista, compositore e group leader, “Views From Chicheng Precipice”. Una buona porzione del live è dedicato all’inserimento di qualche inedito, quattro per la precisione.
Il gruppo appare partecipe e molto motivato e sembra che l’aspetto live sia di certo confacente alla struttura della band. Lo splendido affiatamento della band è sintomo che l’ingranaggio è ben oliat,o così che anche nella parti più complesse tutto risponde in maniera puntualissima, fin dall’iniziale e inedita “Irreducible Complexity”, dal nome che è tutto un programma. In ogni momento si duetta alla grande: violino e sax; sax e chitarra, chitarra e violino e sotto a pulsare una macchina ritmica, poderosa e sempre all’altezza. “Disoriental Suite” raccoglie in vari spezzoni assai metamorfizzati, gli aspetti salienti di “Views From Chicheng Precipice” e lo fa saltellando su arrangiamenti molto ricercati, dove le sonorità più ardite della nuova proposta ben si miscelano a quelle più pacate e orientaleggianti dell’originale. Ampi spazi alla sperimentazione e alla ricerca sonora con parti improvvisate che rasentano noise arcigni e scomposti, come nel nuovo arrangiamento di “Uncle Tang’s Cabinet of Dr. Caligari” o nell’altra minisuite “Disillusioned Avatar/Dub Interlude/Ephebus Amoebus”. Altra cosa impossibile da evitare per una band di questo genere sono i momenti di assolo: tanti, notevoli, tecnicissimi, spesso raccolti in brevi flash furiosi, ricercati e sparsi un po’ ovunque, un esempio per tutti, la dinamica “Kuru”.
Una bellissima avventura sonora, che non strizza occhi in accondiscendenza, ma porta avanti, deciso e con coerenza, un discorso che si fa apprezzare dalla prima all’ultima nota.



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Roberto Vanali

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