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NEXUS Aire Record Runner 2012 ARG

Fra gli esponenti di spicco della scena prog sudamericana, ed Argentina in particolare, ci sono sicuramente i Nexus del keyboards-wizard Lalo Huber che, ora, non si accontenta più di suonare il suo castello di tastiere, ma diviene anche il vocalist principale della band (che agli esordi vedeva impegnata la brava Mariela Gonzales). A parte l'ingresso del bassista Machy Madco, il gruppo è sempre composto, oltre che da Huber, da Carlos Lucena (chitarre e cori) e da Luis Nakamura (batteria e percussioni).
Sono passati ormai sei anni dal precedente “Perpetuum karma“ (a parere di chi scrive il loro vertice compositivo) ma questo “Aire” ce li consegna sicuramente piuttosto ispirati.
I brani (10) sono più concisi (non corti...), non ci sono le due o tre suite che avevano costituito l'ossatura del predecessore, ma per il resto il sound è Nexus al 100%.
Tastierista estroso e dal gusto melodico molto spiccato, Huber non disdegna il colpo ad effetto, ma più spesso i suoi tasti d'avorio, seppur debordanti, sono al servizio della funzionalità del brano e non mero esercizio di stile fine a se stesso.
Certamente Huber conosce (ed ama...) Wakeman ed Emerson e queste influenze sono facilmente riscontrabili in “Aire”, ma pare proprio che dei due mostri sacri abbia saputo cogliere l'essenza evitandone l'impronta kitsch che spesso li ha contraddistinti.
L'anima più vicina agli Yes si avverte in brani come “Espejismo”, nella delicata “Rey de piedra” ed ancora in “El fuego de la ciudad” ma, è bene sottolinearlo, il tutto è filtrato con la sensibilità melodica tipica di molte band dell'America Latina. Più vicini alle esperienze del famoso “power trio” inglese sono invece “El Mesìas” e “La corte final”.
In un album prevalentemente keyboards-oriented viene talvolta lasciato poco spazio alla chitarra ma qui Carlos Lucena però si ritaglia e ci regala qualche sprazzo delle sue capacità in “Alma de sombra”, in “La explicacion” e con un bel “solo” heavy ancora in “El Mesìas”.
Paradossalmente in una raccolta così ricca di “svolazzi” tastieristici il pezzo più riuscito ci pare “Jardin de los olvidos” con l'elettrica di Lucena che si conquista il proscenio sin dalle prime note.
Se amate il buon rock sinfonico e non disdegnate la melodia, quest'album fa per voi sicuramente.



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Valentino Butti

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