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YLECLIPSE Songs from the crackling atanor Mellow Records 2012 ITA

Il 2012 è stato un anno positivo per il progressive rock in Sardegna. Verso la fine dell’anno sono stati pubblicati ben due album di artisti che hanno avuto la capacità, in epoche e con modalità diverse, di ritagliarsi un piccolo ma significativo spazio in una scena ormai minoritaria a livello di interesse e di vendite, ma ancora valida per quanto riguarda la qualità della proposta musicale. Due dischi possono sembrare pochi, ed effettivamente lo sono, ma diventano tanti se si considera che il contributo al genere dato dall’isola in oltre quaranta anni proviene da uno sparuto gruppo di nomi che può essere elencato sulle dita di una mano. Il 2012 ha visto il grande ritorno di Pierpaolo Bibbò, artista sino ad ora oggetto di culto per appassionati e collezionisti, e la conferma degli Yleclipse, i quali, con ben cinque album all’attivo, rappresentano per la Sardegna un motivo di vanto non indifferente.
“Songs from the crackling atanor” è l’ultimo tassello di una discografia che ad ogni tappa ha denotato un’evoluzione nello stile del gruppo sardo, fatta di piccoli passi dagli esiti non sconvolgenti, ma evidente per gli ascoltatori più attenti. Il sound degli Yleclipse, infatti, mantiene il proprio marchio di fabbrica anche in questa quinta release, per la gioia dei loro estimatori ma anche per quella dei detrattori, i quali avranno sufficienti motivazioni per alimentare le proprie critiche. La formazione della band è rimasta invariata dal precedente lavoro, con la guida del chitarrista/cantante/compositore Alessio Guerriero, il tastierista e coautore di quasi tutti i brani Andrea Picciau, e la sezione ritmica di Andrea Iddas e Federico Bacco. L’affiatamento del gruppo, nonostante le poche possibilità che esso ha avuto di suonare dal vivo nel corso degli anni, è evidente all’ascolto, complice anche una registrazione ed un mixaggio più equilibrati rispetto al precedente “Trails of ambergris”, almeno per quanto riguarda le parti di chitarra. Non che per questo essa sia poco presente nell’album, la sei corde è infatti allo stesso tempo l’anima ed il cuore pulsante di tutto il disco, con i suoni distorti, puliti, acustici, carichi di effetti o scarni, a costruire la base di tutti i brani. Solitamente sono presenti almeno due parti fondamentali che si scambiano frasi soliste e ritmiche, quasi mai limitate ad una pura funzione di accompagnamento, dato che Alessio Guerriero si dà un gran da fare per inserire dappertutto variazioni, linee melodiche, arpeggi e tante altre particolarità che mostrano una cura notevole nella costruzione degli arrangiamenti. L’orgia chitarristica fortunatamente non mette troppo in secondo piano le tastiere di Andrea Picciau, che guadagna spazi importanti rispetto al passato ed è determinante nel conferire un carattere distintivo ad ogni brano ampliando la varietà dei suoni, tutti molto classici e basati principalmente sui consueti intrecci di organo, pianoforte, strings e lead synth. Il genere è il consueto miscuglio di new progressive e sinfonico, non originale ma con un apprezzabile grado di personalità. Le composizioni sono tutte abbastanza lunghe, a sfiorare o a superare di poco i dieci minuti, con l’eccezione della più breve “Convivium mithrae”, consueto brano parzialmente acustico dai suoni e dai sapori mediterranei e medievaleggianti, la cui presenza è ormai una tradizione nei dischi degli Yleclipse. I brani “elettrici” sono costruiti in maniera complessa, con molteplici sezioni (a volte della durata di poche battute) che si incastrano tra loro, cambi di tempo e d’atmosfera, con un risultato finale a volte non semplice da seguire. Rappresentativa in proposito “Gentle breeze”, quasi un puzzle sonoro fatto di parti molto melodiche, energiche o più dark, e altre appena più rilassate. Molto belle le melodie di “Dreams are foam”, divise tra parti nettamente più accostabili al new prog e altre al rock classico e a certe atmosfere dei Genesis del periodo progressivo, con momenti di calma apparente spezzati da accelerazioni tanto frenetiche quanto brevi, e una coda strumentale quasi floydiana. Stesso stile anche in “A jinnee to be freed” e “Springtime fiery delirium”, ben amalgamate nel contesto, mentre “Growling warty beast” e soprattutto “Nadir voices” mostrano una rabbia chitarristica più evidente, anche se entrambe comprendono le usuali sezioni melodiche, particolarmente struggenti nell’ultimo brano.
“Songs from the crackling atanor” è un ottimo album, godibile e vario, pur nella sua evidente omogeneità, e si presenta quasi come un gemello del suo predecessore, con il quale condivide il rispetto per la tradizione progressiva e la voglia di far emergere l’esuberanza strumentale. Alessio Guerriero è indubbiamente il protagonista principale, col suo stile che deve tanto a Steve Hackett, Steve Rothery e (in misura minore) David Gilmour, e che recupera in questo lavoro suoni ed effetti più vintage del solito, realizzando un connubio musicale capace di accostarsi in alcuni momenti ad una sorta di hard rock melodico alleggerito dagli arrangiamenti di tastiere. Le critiche avanzabili sono le solite, con la voce di Guerriero ormai diventata in certi casi l’unico argomento di discussione per valutare i lavori del gruppo sardo. E’ pur vero che essa mantiene ancora lo stesso stile a volte poco gradevole, sofferente di problemi di impostazione più che di timbro e intonazione. Un difetto riscontrabile in alcuni passaggi è l’aver voluto cercare di inserire a forza le articolate linee vocali, molto curate come al solito anche nei testi, sul substrato strumentale, operazione faticosa e in alcuni passaggi non riuscita alla perfezione. Da notare anche lo sforzo fatto per interpretare le liriche in senso teatrale, che si scontra però coi difetti vocali sopra descritti.
Dal punto di vista strumentale è difficile trovare pecche, eccetto forse il cercare continuamente di saturare con la chitarra il panorama sonoro, e l’eccessiva varietà delle composizioni, come se Guerriero e soci avessero cercato di costringere in uno spazio troppo ristretto tutte le idee che avevano in testa. Se si riesce con pazienza a superare questo scoglio, l’ascolto di “Songs from the crackling atanor” può regalare molte soddisfazioni. In definitiva, il quinto album degli Yleclipse, al di là dei suoi meriti effettivi, rappresenta un ulteriore prova che è possibile fare buon rock progressivo anche in Sardegna.


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Nicola Sulas

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