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SPALTKLANG In between AltrOck 2013 SVI

Per chi non avesse mai avuto sentore di questa band, un brevissimo excursus. Il combo nasce all’inizio del millennio in Svizzera, da personaggi di lunga navigazione musicale come il sassofonista e compositore Markus Stauss e il funambolico batteri-sta, tastierista, polistrumentista Rémy Sträuli, già pezzo forte dei divertentissimi Yolk. Gli strumentisti che di volta, in volta hanno eseguito le partiture di Stauss sono col tempo cambiati, ma non la musica, sempre indirizzata ad un RIO fortemente jazz oriented, basato – ovviamente – sul sax dell’autore principale. Questa volta, per il quinto album in studio, la band arriva quasi interamente stravolta e, ad eccezione per i due veterani citati, veniamo l’importante arrivo del chitarrista elettrico Francesco Zago, che già condivide spazi assieme a Stauss in Yugen, il trombettista Richard Koch, molto presente nelle esecuzioni e nei duetti di fiati e il bassista Christian Weber al quale occorre riconoscere, oltre alla fin troppo scontata, visto il livello generale, bravura, una straordinaria affinità con le intricatissime ritmiche di Sträuli, generando una sezione ritmica davvero notevole.
Si è già detto del forte apporto fiatistico al lavoro, ovviamente non è tutto lì, ma il dominio è certo e netto. Zago si inserisce bene negli arrangiamenti siano essi più aperti o al limite del claustrofobico per dimensione e velocità.
Per l’intera durata del disco, quasi un’ora di grande e serio impegno strutturale e musicale, divisa in cinque brani dalla durata dai nove minuti e mezzo a oltre i tredici. Tutto è sempre in bilico tra moderno e antico, sapori che si miscelano tra taglienti scene urbane e sequenze di spezzettati minimalismi, per finire nuovamente in pieni dal piglio furibondo che ostentano ricchezze quasi da big band. Momenti dominati da temi scritti si alternano a begli esempi di improvvisazione e free form jazzistiche.
Tra i brani cito volentieri gli sprazzi Soft Machine dell’opener “Look for …”, la mirabolante giostra di cambiamenti di “4 Elements” con passaggi di ogni tipo e persino un groove funkeggiante con un duetto sax – tromba quasi da battaglia in campo aperto. E ancora “Ural Fragment” che, tra i temi affrontati, ci mostra un assolo pungente di chitarra, con temi che vanno dal blues, al jazz, all’avanguardia più ampia, seguito da un furibondo rientro dei fiati e ancora da un finale tra jazz inglese settantiano, Mike Westbrook, John Surman, con Sträuli che spinge come un fiume in piena.
Un disco complesso dove la parola “immediato” non è mai tra quelle contemplate dagli autori, eppure tutto scorre bene e la miscela stilistica colpisce nel segno. Considerati alcuni momenti piuttosto forti non mi sento di consigliare il disco ad ampio raggio, ma anche chi non fosse avvezzo alle sonorità descritte potrebbe tentare, chissà che mente e cuore non gli concedano un inaspettato divertimento.


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Roberto Vanali

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