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RANESTRANE A space odissey - Part one: Monolith Ma.Ra.Cash 2013 ITA

Non c'è dubbio che i Ranestrane abbiano una particolare ammirazione per Stanley Kubrick. Contando il precedente "Shining", ovviamente un doppio, e il progetto dedicato a "2001: A space odissey", si arriva ad un totale di quattro album, per una durata presumibile di oltre quattro ore di musica. "Monolith" è infatti la prima parte di una serie di tre dischi dedicati al capolavoro di Kubrick, la cui componente sonora è già in origine una parte fondamentale del film, divisa com'è tra la classicità del walzer di Strauss, l'epicità sinfonica di "Also sprach Zarathustra" e la contemporaneità delle opere di "György Ligeti". Fondamentali nel film sono però anche i silenzi delle scene ambientate nello spazio che, oltre a essere plausibili dal punto di vista scientifico, contribuiscono a creare una componente emotiva molto ad effetto. È quindi interessante il fatto che i Ranestrane debbano confrontarsi con queste scene e sonorizzarle, andando così contro le intenzioni originarie di un genio artistico come Kubrick. Si, perché nel caso qualcuno ancora non conoscesse i quattro musicisti romani, sappiate che il modo di fare musica che hanno ideato prevede proprio questo: musicare opere cinematografiche nella loro interezza, a prescindere dalla colonna sonora originale e dai dialoghi. In realtà questi ultimi non scompaiono affatto, ma vengono spesso incorporati nella trama sonora, contribuendo a rendere plausibile l'operazione.
Avevo delle riserve riguardo al modo in cui i Ranestrane potevano adattare il proprio stile alla fantascienza, ma mi sono presto ricreduto. Al primo ascolto è apparso chiaro che il nuovo album non si discosta troppo dai lavori precedenti, ed il sound, che si rifà ad un rock sinfonico dalle evidenti influenze new-prog e post-rock, scorre abbastanza liscio accoppiato alle immagini, a patto che si faccia lo sforzo di dimenticare completamente la colonna sonora originale.
La prima traccia dell'album, "Semi", nei suoi diciotto minuti di durata, ha il difficile compito di definire le intenzioni dell'intero lavoro, e si presenta con la voce di Steve Hogarth che in un sussurro crepitante introduce con pochi versi la storia. La musica è un crescendo di suoni elettronici, di rade note di chitarra e di pianoforte che spianano la strada per l'ingresso della ritmica, in una progressione melodica veramente ad effetto. Considerando ancora l'ascolto accoppiato al film, ero dubbioso sulla capacità di rendere in maniera coerente le scene ambientate nella preistoria, ma in effetti il risultato è accettabile. Notevole è, invece, l'intero brano nel suo insieme, calibrato alla perfezione tra melodie solenni e arrangiamenti di chitarra e tastiere assolutamente perfetti. Il pregio di "Semi" è anche quello di spianare la strada al resto dell'album. Una volta assimilata la prima traccia, infatti, tutto il resto scorre piacevolmente tra parti strumentali inframmezzate da spezzoni di dialoghi del film e parti più orientate verso la forma "canzone". "Stazione orbitante uno" e "Clavius" hanno una struttura maggiormente legata ai dialoghi, dei quali sono infarcite, ma "Fluttuerò" e "Materna luna" recuperano una struttura più spontanea ed autonoma, riprendendo le atmosfere di "Semi" in maniera egregia. "Il monolito di Thycho" presenta invece inizialmente suoni più duri e serrati, per ritrovare in seguito le melodie che sono il marchio di fabbrica dei Ranestrane. C'è di nuovo la voce di Steve Hogarth, ma non bisogna dimenticare anche l'altro ospite dei Marillion, Steve Rothery, che suona alcuni assoli sia in "Il monolito di Thyco" che in "Materna luna", anche se il suo ruolo non è così determinante dato che la chitarra di Massimo Pomo svolge egregiamente il suo compito, condendo il tutto con arpeggi e assoli che lasciano trasparire un tocco da manuale.
Spero che i capitoli successivi della trilogia siano all'altezza di "Monolith", ottimo album frutto delle capacità dei musicisti di integrare alla perfezione il suono dei rispettivi strumenti, di costruire arrangiamenti che riescono a far dialogare le tastiere con le chitarre senza togliere spazio alla voce e con una sezione ritmica che non mostra la minima sbavatura. Il risultato, così ben calibrato e asettico, potrebbe apparire freddo ma si tratta di un'impressione assolutamente sbagliata. La musica contenuta nell'album è viva e capace di far emozionare, anche a prescindere dall'ascolto accoppiato alla visione del film, che pur essendo un'esperienza interessante e apprezzabile, non è a mio avviso indispensabile per godere in pieno di un disco che merita di essere considerato uno dei migliori lavori italiani del 2013.


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Nicola Sulas

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