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AD MAIORA Ad maiora autoprod. 2014 ITA

La dicitura “Progressive rock” campeggia in bella mostra nel retro di copertina del cd di esordio degli Ad Maiora, che evidentemente ci tengono a far capire immediatamente la loro “identità”. Non sorprende, quindi, l’ascolto di un album contenente dieci tracce per un totale di sessantotto minuti e mezzo di musica che ricalca i più classici stilemi del prog sinfonico. Il quintetto composto da Enzo Giardina (batteria), Flavio Carnovali (chitarra elettrica), Moreno Piva (basso, chitarra classica), Paolo Calloni (voce) e Sergio Caleca (tastiere) debutta con un lavoro convincente, nel quale non si cerca certo l’originalità, ma che ha tutte le carte in regola per colpire chi ancora non si stanca nell’ascoltare lunghe cavalcate in cui il rock e la musica classica si avvicinano e dove ci sono variazioni di tempo in continuazione.
Con l’incipit “Diatriba”, interamente strumentale, il gruppo si fa conoscere attraverso un rock sinfonico tastieristico che rimanda ai fasti dei Goblin, con un tema iniziale reiterato e caricando di tensione l’atmosfera sonora. Con “Sugo dance”, invece, gli Ad Maiora sembrano voler unire il new-prog e gli insegnamenti dei Gentle Giant, mentre una graffiante chitarra conferisce toni hard-rock a “Dream”. “Eclissi orientale” è il primo brano cantato (in inglese) ed offre stravaganti melodie unite a suggestioni romantiche legate a nomi inglesi come Camel, Yes e Pink Floyd. Si prosegue con altre composizioni interamente strumentali e ricche di evoluzioni (“Nulla intenso, “Menate” e “Corolla”), tra nuovi riferimenti che coinvolgono sia i classici d’Oltremanica, sia i nostri Banco, Orme e PFM. Tra le tracce cantate spicca, in particolare, un curioso e riuscito omaggio a Gershwin, con “Summertime”, ispirato alla suite “Porgy & Bess”, che parte con la celebre melodia del brano del compositore statunitense, per poi indirizzarsi e spaziare tra jazz-rock e vena classicheggiante, quasi à la ELP. Buona anche la conclusiva “No more war”, ancora vicina al new-prog, mentre l’unico brano che lascia qualche perplessità è “Strange”, con i timbri di tastiere un po’ troppo freddi ed un andamento generale alquanto zuccheroso.
Non convincono del tutto la registrazione con i suoni che a volte appaiono un po’ lontani e non bilanciati al meglio, nonché la scelta di timbri che non sempre trasmettono il giusto calore; ma si tratta giusto di piccoli appunti e di suggerimenti che potrebbero permettere un’ulteriore crescita futura, visto che l’ascolto dei vari brani resta comunque godibilissimo.
Nati nel 2009, dopo cinque anni gli Ad Maiora arrivano al traguardo del primo disco attraverso un processo di crescita e di amalgama durato quattro anni e che li ha portati a realizzare questo disco in cui si avverte un progetto amatoriale (anche nella grafica spartana), ma che riesce ad essere omogeneo e deliziosamente passatista, rievocando i fasti dei tempi d’oro sia britannici che italiani. Nella loro proposta mi ricordano un po’ quanto fatto dai Divae negli anni ’90 (ricordate la loro splendida “Il ritorno del Gigante Gentile”?), con un rock sinfonico ben strutturato, molto classico, diretto al punto giusto, che, pur non raggiungendo i livelli della citata band romana, mostra dei musicisti in grado di destreggiarsi benissimo e di poter dire la loro, con buona qualità, nel filone più inflazionato del progressive.


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Peppe Di Spirito

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