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AIRBAG Disconnected Karisma Records 2016 NOR

Giunti al quarto disco, i norvegesi Airbag continuano il loro percorso musicale incentrato su un sound ben preciso, chiaramente erede dei Pink Floyd di metà anni ’70. Se siete fautori della sperimentazione ad ogni costo, dell’originalità e non riuscite proprio ad avvicinarvi ad album derivativi, vi avvisiamo subito: “Disconnected” non fa per voi. Allo stesso tempo non esitiamo a dire che siamo di fronte ad uno di quei casi (esattamente come era avvenuto per i lavori precedenti) in cui la mancanza di originalità non vuol dire scarsa personalità ed è comunque sopperita da buon gusto e da un’ispirazione che ha permesso di realizzare una serie di pezzi ben congeniati, al punto da toccare spesso elevati livelli qualitativi.
Il brano di apertura “Killer” mette subito le cose in chiaro con oltre nove minuti caratterizzati da un sound non lontano dai Porcupine Tree di “The sky moves sideways” e “Signify”. Così, tra trascinanti spunti chitarristici, ritmi compassati, strati di tastiere d’atmosfera e passaggi ambient, si dipanano melodie vocali ariose e intense. Un buon inizio, che già “marchia” bene l’intero lavoro, anche se non mancano composizioni che hanno qualcosa in più. Ci riferiamo soprattutto “Broken” e a “Returned”. La prima offre sette minuti malinconici, con partenza acustica raffinata ed un bel crescendo; fatte le debite proporzioni, potremmo dire che è la “Wish you were here” (o la “Easter”, tanto per spostarci verso altri lidi, con riferimento ai Marillion) della situazione. La seconda, tanto per rimanere in tema, ha struttura e sonorità che possono ricordare le prime cinque parti di “Shine on you crazy diamond” dei Pink Floyd: inizio pacato, poi una parte cantata coinvolgente, un’impennata leggermente più robusta e largo a divagazioni strumentali di grande efficacia, con la chitarra elettrica à la Gilmour pronta a spiccare il volo. Ricordando velocemente le altre tracce, segnaliamo che “Slave” è il brano che più di ogni altro paga tributo ai primi Porcupine Tree, mentre “Sleepwalker” e “Returned” sono due ballad dai toni un po’ dimessi e malinconici, un po’ sulla falsariga di “Broken”, ma leggermente inferiori. Manco a dirlo, il protagonista assoluto è il bravissimo chitarrista Bjørn Riis; gilmouriano fino al midollo, delizia con continui interventi solistici legati a quel timbro caldo e pulito che ancora oggi può regalare più di un brivido. Quei suoni e quegli arpeggi che magari molti di noi appassionati abbiamo nel cuore da tanti anni, riescono ancora ad emozionare anche in nuovi contesti come può essere un album di questo tipo.
Gli Airbag certamente non rappresentano più una sorpresa, ma non si può negare che anche “Disconnected”, come i suoi predecessori incentrato su un mood dimesso e romantico, colpisca favorevolmente e ci accompagna piacevolmente per tutti i suoi cinquanta minuti. Una specie di esercizio di stile? Forse, ma coinvolgente, carico di feeling e fatto maledettamente bene!



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Peppe Di Spirito

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