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HEDERSLEBEN Orbit Purple Pyramid 2017 USA

Il krautrock esiste ancora… ed ha sede in California adesso.
A dir la verità questa band è nata in Germania e tutte le classificazioni la danno tuttora come band tedesca, anche se a suonare su quest’album non c’è rimasto nessun tedesco e la band ha come base, appunto, la California. Dobbiamo necessariamente fare un piccolo passo indietro e raccontare a grandi linee la storia degli Hedersleben, formatisi nell’omonimo villaggio in Germania su impulso del britannico Nicky Garratt (ex UK Subs) che, nel 2012, diviene produttore artistico dell’ex Hawkwind Nik Turner. Garratt riunisce quindi un numero di musicisti che possano supportare il nuovo progetto di Turner chiamato Nik Turner's Space Gypsy. La band così formata prese altresì parte nel 2013 al nuovo lavoro dei Brainticket, assieme al di loro fondatore Joel Vandroogenbroeck. Nello stesso anno è uscito il primo album degli Hedersleben, intitolato “Upgoer”. Altri due album vengono pubblicati negli anni successivi, sempre accompagnati da cambi di formazione, per finire poi a “Orbit”, quarto lavoro di questo progetto, che vede una rivoluzione radicale della line-up, sempre con Garratt alla chitarra, e con Alicia Pravin alla voce e violino, Jai Young Kim alle tastiere e voce, John Daren Thomas alla batteria e Doc Miller al basso.
Per un album che necessita di una così lunga introduzione storica, la musica potrebbe invece non richiedere un lunghissimo trattato… principalmente perché quest’album dura appena 35 minuti. Si parla di krautrock, si diceva, essenzialmente di space rock, anche se non siamo alle prese con stralunati corrieri cosmici e spericolati viaggi siderali. Le 9 canzoni, tutte abbastanza brevi, hanno comunque tonalità abbastanza delicate se non addirittura eteree a tratti. Talvolta possiamo accostare alcune canzoni ai Curved Air, altre siamo di fronte a composizioni in bilico tra Hawkwind, Amon Düül e Van Der Graaf Generator o addirittura Yes (anche la voce di Alicia aiuta in tal senso), alternando tematiche più spaziali a momenti più morbidi e soffusi.
L’album è innegabilmente piacevole e non è riservato necessariamente ai degustatori abituali di crauti. La sua brevità, e quella delle singole canzoni, in teoria è uno dei maggiori difetti, non permettendo di apprezzare le varie sfaccettature che ci mostra il gruppo. Di sicuro non annoia e non mancano gli spunti interessanti ma a mio parere non riesce a sufficienza a catturare l’interesse dell’ascoltatore.



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Alberto Nucci

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