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THE BLACK NOODLE PROJECT Divided we fall Progressive Promotion Records 2017 FRA

Non c’è che dire, musica e copertina sembrano l’ideale colonna sonore delle lunghe e grigie giornate piovose d’inverno, con i nuvoloni neri che chiudono l’orizzonte, meglio se su un mare dello stesso colore metallico delle nubi. Questo è il sesto album dei transalpini (ma in alcuni elenchi figura come il settimo); una discografia quindi abbastanza nutrita per il quartetto francese, che nel 2001 prevedeva nel suo interno il solo chitarrista/tastierista/cantante Jérémie Grima. La one-man band si è poi rapidamente ampliata, anche se dal 2005 ad oggi, assieme al fondatore, resta il solo guitar-player Sebastien Bourdeaux, il quale non era però presente sul primo “And life goes on” nel 2004. Oggi si avverte comunque la presenza di un gruppo vero e proprio, coeso, le cui composizioni sono abbastanza difficili da spiegare nel dettaglio, salvo chiarire che si tratta di un insieme che comprende una sempre più diffusa dark-wave, certo gothic-metal d’atmosfera che a qualcuno fa tanto piacere definire “romantico”, assieme a un po’ di musica “post-qualcosa”. Stilemi ormai parecchio diffusi, soprattutto dopo la piega che ad un certo punto decise di prendere Steven Wilson con i suoi Porcupine Tree, conservando in nuce l’antico riferimento Pink Floyd che esternamente era stato ormai trasfigurato (e forse anche sfregiato) in toto. I quattro d’Oltralpe, comunque, nel loro settore dimostrano buon gusto e soprattutto un gran senso della misura, fattore per nulla scontato in questi ambiti, proponendo una quantità di pezzi non eccessiva (sette) e dal minutaggio non troppo lungo. Certo, vi sono titoli parecchio emblematici, che però necessitano di un paio di ascolti affinché non si diano pareri affrettati. L’album è quasi tutto strumentale, tranne alcune eccezioni che non sfigurano affatto: “Ashes to Ashes” è una di queste, con la voce romantica (stavolta è appropriato) di Grima, ottimizzata dalla solita produzione di casa PPR, sulle note malinconiche ma stentoree di chitarra. Parlando di quest’ultima, la seguente “Under a Black Sky” è giocata essenzialmente sulle brevi atmosfere evocate dalle corde dell’acustica, prima di approdare alle note più energiche di “Absolom”, con le sue frasi recitate, in cammino verso chissà quale sentiero di cui non se ne vede la fine, avvolto com’è dalla pioggia sottile che diventa sempre più corposa. “Cosmic Dust”, come il titolo suggerisce, ha degli evidenti richiami space, soprattutto nella parte iniziale. Un andamento molto più sostenuto, forse anche più cinematografico, che si protrae per oltre nove minuti, fino ad arrivare alla conclusiva “Left Behind”. Si ritorna a sentire la voce di Grima per un lento da “struscio”, che un tempo – quando ancora nelle feste i lenti andavano di moda – avrebbe ricevuto un forte gradimento. L’ombra dei Muse fa sentire la sua presenza, alimentata da certe trovate floydiane. A questo punto, si può far ricominciare il disco ed ecco che sia l’iniziale “Isolation” (con un inizio un po’ in stile Aphorodite’s Child misterici) che la successiva “Memorial” acquisiscono ben altro senso, con il primo brano che rivela senza dubbio una costruzione abbastanza articolata, grazie ad una forte atmosfera crescente dettata dai trilli delle chitarre.
Per chi ama gli Anathema et similia, questo album è sicuramente consigliato, assieme a chi stravede per tutti i riferimenti citati. Anche se, ancora una volta, la proposta presa in esame con il prog inteso in senso stretto ha ben poco a che spartire. Ma ormai non è più una novità.



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Michele Merenda

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