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L’ALBERO DEL VELENO Tale of a dark fate Black Widow Records 2017 ITA

Avevamo avuto il piacere di conoscere L’Albero del Veleno con il promettente esordio del 2013 “Le Radici del Male” uscito per la Lizard. Dopo 4 anni li ritroviamo con il loro secondo album “Tale of a Dark Fate”, questa volta per la Black Widow.
Per quanto mi riguarda, li attendevo con molta curiosità, visto le buone sensazioni che mi aveva lasciato il loro primo album. La band che ritrovo dopo 4 anni è più o meno immutata e la strada intrapresa è sempre la stessa, ovvero quella di riportare in auge la tradizione horror prog italica di musicisti come Goblin, Libra, Fabio Frizzi, etc…
“Tale of a Dark Fate” è comunque un disco molto più ambizioso del precedente: innanzitutto ogni brano dell’album è parte integrante di un’unica grande suite divisa in un preludio e due atti che descrivono sonoramente la storia dell’Albero del Veleno (albero i cui frutti causavano sonno perenne in chi se ne cibasse). Il primo atto è associato alla figura di Hypnos e descrive la fase in cui l’uomo che ha ingerito il frutto si trova ancora nel mondo dei sogni ed è caratterizzato appunto da sonorità più oniriche ed ipnotiche. Il secondo è relativo a Thanatos, ovvero al passaggio tra il sogno e la morte, e qui le atmosfere si fanno più angosciose e drammatiche. Ogni brano dell’album è strumentale ed è dedicato ad una figura mitologica dell’antichità greca, dalle tre Moire a Morfeo fino a Moros rappresentazione del destino avverso. La band ripropone tutti i suoi punti di forza: la grande forza evocativa dei brani, le atmosfere tetre, i suoni volutamente vintage, ma soprattutto la capacità di descrivere immagini attraverso la musica.
La line-up non ha subito cambiamenti con le tastiere di Nadin Petricelli sempre a condurre il filo del discorso, con gli archi di Ciani e il flauto di Marco Brenzini ad arricchire ed incupire le atmosfere. La chitarra di Lorenzo Picchi è invece molto sabbathiana prima maniera, indurendo il sound della band. Migliorabile invece la sezione ritmica, in particolare la batteria un po’ scolastica e rigida, lacuna che viene maggiormente accentuata dalla struttura più complessa di questo album rispetto al predecessore.
Con “Tale of a Dark Fate” la band toscana non ha paura di alzare l’asticella, proseguendo comunque la via intrapresa con l’album d’esordio. Ne consegue una composizione che vuole essere più complessa e strutturata al fine di dare respiro unico a tutta l’opera pur evidenziando alcune lacune strutturali della band come una struttura musicale alle volte troppo rigida e schematica e la sensazione di un prodotto alle volte tendente all’amatoriale.
Ad ogni modo non possiamo non promuovere anche questa seconda coraggiosa prova del sestetto toscano che ha ben chiaro dove vuole andare e percorre senza tentennamenti il proprio percorso musicale, fortemente ancorato al passato con immacolata coerenza, ma al tempo stesso cercando di evolvere ed arricchire la propria proposta musicale rimanendo comunque estremamente credibile.



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Francesco Inglima

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