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FRUTERIA TOÑI El porvenir está en las huevas autoprod. 2020 SPA

Fin dal suo primo album, risalente al 2014, questo gruppo di Malaga si è positivamente contraddistinto per una sapiente, e a tratti entusiasmante, commistione di generi che li portava ad alternare brani di tipico (ma scevro di goffi manierismi) Prog sinfonico con episodi che vi si allontanavano decisamente, con escursioni in territori blues e rock, inserendo variazioni jazz su un generale mood umoristico che rendevano alla resa dei conti l’ascolto dei primi due lavori non solo divertenti ma anche spesso sorprendenti. Un autentico -questo sì!- Eclectic Prog, come recitano certe catalogazioni musicali. Questo terzo lavoro si presenta invece più compatto e unitario rispetto ai suoi due predecessori, senza grosse variazioni e con limitate passeggiate oltre i limiti di una miscela Jazz-Prog-Folk che ci accompagna dall’inizio alla fine. Che voglia essere il salto di qualità della band? La ricerca della maturità compositiva?
La formazione si presenta quasi invariata rispetto al precedente (ottimo) “Tengo Mis Dias Buenos”, registrando solo un altro cambio dietro alle pelli, questa volta nella persona di Adrián Jiménez. Confermati gli altri membri che sono Salva Marina (tastiere, piano, voce), Curro Garcia (basso), Jesus Sanchez (clarinetto e sax) e Victor Rodriguez (violino). Sono presenti anche alcuni ospiti al flauto e al clarinetto basso, ad incrementare il sapore particolare e jazzy della musica della Fruteria che acquista anche un delicato sapore cameristico che non può che farci piacere. Sempre in gran forma l’altra presenza caratteristica del gruppo, ovvero la voce potente e decisamente blues di Salva.
Solamente 39 minuti però per quest’album, suddivisi in 6 tracce tra le quali spicca per brevità la title track, appena 40 secondi di solo pianoforte situati all’esatto centro, quasi come un ideale spartiacque. La traccia di avvio è anche la più lunga: “Agonía en Koyukuk”, di oltre 10 minuti, fa riferimento a un villaggio dell’Alaska e presenta un brillante e delizioso jazz-rock progressivo canterburyano che mi ricorda un po’ gli Accordo Dei Contrari. Ottime tastiere, begli assoli di sax, violino e basso (!) e il graffiante cantato che ci accompagna lungo questo dinamico brano, con un bel finale groovy. La successiva “Cipango Petite Suite” si mantiene sulle stesse sonorità, quasi a continuare il discorso del brano precedente, con bei dialoghi tra violini e fiati che si muovono su interessanti intelaiature sinfoniche.
Dopo il tema centrale sopra accennato, la seconda parte dell’album inizia con “El Monte de las Tres Letras”. Le sfumature cameristiche, ovviamente scandite dai vari spunti ed intrecci di fiati, si fanno ora più presenti ed avvertibili; la cosa è particolare quando, come in questa trascinante traccia, il tutto avviene in presenza di un cantato più marcatamente blues. Ci sarebbe poco altro da aggiungere sulle due ultime canzoni, “El Traspié” e “Los Álamos Verdes”, se non per confermare lo stile elegante e sinuoso, le avvincenti progressioni strumentali e per dire che alla fin fine si tratta delle mie due tracce preferite.
Mi chiedevo all’inizio se si trattasse dell’album della maturità. Di solito quest’espressione viene usata quando un gruppo si avvicina pericolosamente al mainstream, a dispetto dei suoi primi album più ruspanti e personali. In questo caso bisogna dire che il mainstream non rientra ancora minimamente nelle corde della band andalusa; questo loro terzo album è certamente più compatto e continuo dei predecessori, non presentando, a differenza di questi, brani che sembrino quasi del tutto avulsi dal contesto; vero è altresì che non ci sono brani che si staglino decisamente sopra agli altri. Ad ogni modo il risultato è comunque quasi entusiasmante; solo il tempo ci dirà se reggerà il passare del tempo ma per il momento non posso che tesserne adeguate nonché sperticate lodi.



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Alberto Nucci

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