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CIOLKOWSKA Psychedelia No Name / Addicted Label 2020 RUS

È un po’ complicato approfondire la discografia di questa band russa, nata nel 2012 rifacendosi – sembra – al "Cosmismo russo", movimento filosofico nato a sua volta in patria agli inizi del XX secolo e che annoverava studiosi come lo scienziato Konstantin Tsiolkovsky ed il filosofo Nikolai Fyodorov. Complicato, sì, perché già quell’anno sarebbe stato pubblicato “Our answer to the stars”, formato da tre jam “cosmiche”. Ma non viene certo fatto rientrare nell’elenco discografico ufficiale, in cui invece compaiono i full length “Pistolet budushchego” (2015) e “Avtomat proshlogo” (2018). Bisogna aggiungere, poi, vari EP ed altre jam sessions, senza contare che anche la data di quest’ultimo lavoro denota uno stato di permanente confusione; nelle note all’interno del libretto si dice che sarebbe stato inciso nel 2018 e nel mentre sarebbero occorsi cambi di formazione (appaiono come una costante nella loro storia); sulla parte posteriore è inserito tra parentesi l’anno 2019 e sul relativo bandcamp viene riportato il 2020. A parte questo, il quartetto (che dopo questa pubblicazione si è ridotto a terzetto) mostra una propria originalità non avvalendosi in un contesto psichedelico di sintetizzatori e “bolle marine varie” ma dell’ukulele di Alesya Izlesa – autrice anche dell’art work –, che si affianca alla chitarra di Yegor Svysokihgor. A questi, si aggiunge la sezione ritmica formata dal bassista Alexandr Monah e dal batterista David Aaronson.
Rispetto al passato, lo space-rock ha trasmutato i classici parametri e la proposta risulta maggiormente vicina alla dark-wave. Più che alla volta stellata qui si guarda al cielo rimasto buio, alla notte che a suo modo potrebbe anche far pensare ai meandri perduti dell’universo, sia cosmico che umano. L’inizio di “Клей / Glue” è contrassegnato dagli arpeggi intrecciati dei due strumenti a corda, una versione più elaborata di gruppi anni n’80 come U2 et similia. Attorno a questo gioco malinconico, la ritmica è abbastanza articolata e decisamente “progressiva”. Il cantato, anche perché in madrelingua come i titoli, inquadra perfettamente il quartetto nel contesto del blocco dell’Est, con un minimalismo fortemente “esistenziale”, sicuramente vicino in questo caso al post-rock. “Коврижки / Gingerbreads” è formata da una prima parte davvero prossima al surf più notturno, che perde quindi la sua classica solarità; poi l’oscurità si fa sempre più fitta, tra piccole impennate rabbiose, riverberi, andamenti stoppati e corde che fra dissonanze ed echi abrasivi danno la sensazione di una specie di traffico lisergico in cui si sbatte non si sa bene contro che cosa. Una impostazione che prende una forma più composta con “Махавишну / Mohavishnu”, in cui non si fa riferimento probabilmente alla band di John McLaughlin (anche perché non vi è alcun contatto stilistico) bensì all’origine del nome stesso, cioè ad una delle manifestazioni del dio Vishnu. Avendo preso atto ormai del contesto, si passa ai sette minuti di “Ангелина/ Angelina”, cover dei connazionali Imandra. Inizialmente molto atmosferica, va acquisendo poi una ritmica da prima parte eighties, che ad alcuni risulterà sicuramente odiosa. In questo caso, la voce quasi asettica di Svysokihgor dà un senso alla composizione. In sequenza, “Комната (Часть 1) / Room Part 1” e “Тапки (Часть 2) / Slippers Part 2”, costituiscono probabilmente il moment migliore di questo nuovo corso, passando tra momenti di narrazione meditativa ad altri in cui ci si desta improvvisamente. L’ukulele dona nelle parti strumentali uno stile quasi mediorientale e quando viene supportato dalle fasi di basso la composizione si irrobustisce sensibilmente. Conclusione affidata a “Психоделия/ Psychedelia”, cover dei Tishina (anche indentificati col nome Silence, probabilmente si tratta della traduzione letterale). Un pezzo vicino ai Foo Fighters e ai Nirvana, di cui Dave Grohl era rispettivamente chitarrista/cantante e batterista. Una prima metà in cui lo stile delle band di Seattle pare ancora più “alcolico”, poi però si lavora molto con l’effetto feedback e si lascia libera l’energia.
Dopo poco più di mezzora, si giunge alla conclusione che il cambiamento stilistico è stato davvero radicale e non piacerà di certo a molti progster, quindi sarebbe meglio cominciare a battere altri settori musicali. Le origini psichedeliche hanno sicuramente contribuito a creare un alone differente, seppur come ampiamente detto molto buio, ma la totale assenza di qualsiasi spunto solista – fatta eccezione per le succitate e sparute partiture – rende pesante quello che vorrebbe essere un lavoro d’insieme. Per differenti tipologie di ascoltatori, forse, la situazione potrebbe essere differente. Dopo aver inciso l’album, nel 2019 il nuovo batterista è diventato Yeno Yegorsky, poco prima dell’abbandono di un altro dei componenti, riducendo come detto il gruppo in terzetto. Di chi si trattava? Ma ovviamente di Alesya Izlesa, che portandosi via il proprio ukulele ha visto la band privarsi di qualcosa che la rendeva originale. A questo punto, è lecito aspettarsi un nuovo e repentino cambio stilistico.



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Michele Merenda

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