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DARWIN DarWin 3: unplugged autoprod. 2021 UK

Dopo alcuni mesi dall’uscita del secondo “A frozen war”, il misterioso DarWin torna sulle scene con otto brani estrapolati dai due precedenti lavori, buona parte riarrangiati in chiave sinfonica ed altri in versione acustica. Dopo infatti le relative pubblicazioni, ci si era resi conto che sfruttando soprattutto gli strumenti ad arco era possibile creare nuove versioni delle tracce musicali proposte; ci si è così affidati alla perizia di The Chamber Orchestra of London e The Reykjavik Quartet per la riproposizione di temi che ben si adattano alla suggestiva immagine di copertina, in cui il viaggiatore temporale DarWin si fonde in un tutt’uno con i ghiacciai islandesi. Si spera che sia effettivamente l’Islanda, in quanto si tratta di una deduzione ottenuta dalle continue ricerche su internet, perché anche in questo caso il promo risulta completamente spoglio di qualsiasi informazione. Si è comunque riusciti a capire che il titolare del progetto accompagna le orchestre con la sua chitarra. Presente come sempre il fidato Simon Phillips, gran batterista che oramai si è cimentato in qualsiasi genere musicale, che anche stavolta svolge il ruolo di produttore e presta campionamenti e percussioni all’economia dei pezzi proposti. C’è anche Matt Bissonette, conosciuto in passato come bassista (salito alla ribalta col fratello Gregg nella sezione ritmica di Joe Satriani) ed oggi anche apprezzato cantante. Ha mutato completamente il proprio look: non più rocker anni ’90 con i capelli lunghi, ma occhialini da sole, cappellino e abito distinto. Insomma, decisamente inquietante! Ma a parte questo fattore estetico, Matt compare nelle versioni unpluggged di “Slowly Melting” e “One Horizon”, cantando e suonando il basso fretless, oltre che nella conclusiva “Another Year”. Si tratta di brani dallo stile chiaramente AOR, che in queste versioni sembrano migliori rispetto agli originali. Sul primo titolo, lo strumento dalle spesse corde e senza tasti suona molto profondo, creando da solo la giusta atmosfera, seguito poi dalla voce che nelle fasi acute viene opportunamente effettata. Fase vocale e strumentale risultano comunque registrate in presa diretta, in simultanea. Parlando poi di effetti, “One Horizon” ne presenta decisamente di più, anche con sovraincisioni vocali, ed oltre ad alcune parti percussive non invasive le parti di basso suonano in stile decisamente fusion. “Another Year”, invece, che viene tra parentesi indicata come eseguita “a cappella”, oltre alle belle interpretazioni canore dello stesso Matt e (si presume) di Koko Rhodes, risulta anche accompagnata sempre dal basso e da parti di chitarra acustica, inserite in maniera davvero molto discreta e non appariscente. Con i suoi cori e giochi di voce il pezzo ne guadagna parecchio, poi interrotto bruscamente.
Decisamente più complesso il discorso sulla parte sinfonica, in tutto e per tutto composta da esecuzioni di musica classica. “Escape the Maze” era già basata su sinfonismi nella versione del primo album, contraddistinta da un bellissimo video dal taglio fantascientifico girato in lande nordiche, dove il nostro si ergeva a novello Robocop capace – dopo essere stato curato da profonde ferite – di difendere il pianeta dai veleni umani invertendo l’ordine temporale. Qui la base è portata avanti dal pianoforte, sui cui fanno sentire la propria voce trionfale gli strumenti ad archetto, accompagnati dalle sei corde acustiche, poi intercalate da strumenti percussivi e piatti nei momenti salienti. Tutto acquisisce l’atmosfera da colossal, che però non risulta pacchiana come a volte succedeva nella versione già edita. “Nightmare of My Dreams”, dal secondo lavoro, ha un andamento tanto fiabesco quanto solenne, quasi grave alla fine. “Forever” sembra aprirsi con un mood quasi jazzato, andando poi avanti sfruttando una bella intraprendenza classica in cui l’uso della strumentazione a fiato attua una convincente commistione con la musica popolare. Molto meno allegro l’inizio di “Rise”, che però va sempre più assumendo un suo andamento brioso. Il pianoforte torna ad aprire l’orchestrazione di “Last Chance”, con le note secche della chitarra acustica che accompagnano gli archi decisi, assumendo man mano la connotazione della colonna sonora, fino ad ammirare dall’alto i maestosi ghiacciai e scendere in picchiata.
Superata l’impressione del primo ascolto, in cui sembrava di avere sottomano un minestrone – molto ricco, ma sempre minestrone –, l’operazione si rivela invece abbastanza piacevole, evidenziando una buona successione tra le tracce orchestrali e quelle di pop acustico. Non vi sono ovviamente i grandi nomi delle pubblicazioni immediatamente precedenti, ma questo lavoro – in cui si è voluto tornare all’essenza delle composizioni – risulta ben fatto. Se vi piace la musica classica, anche se non eccessivamente impegnata, e allo stesso tempo gradite quella leggera, la terza uscita di DarWin contribuirà a farvi piacevolmente rilassare.



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Michele Merenda

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