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ROLAND BÜHLMANN Dubnos autoprod. 2020 SVI

E’ una buona notizia ritrovare il chitarrista-multistrumentista svizzero Roland Bühlmann in piena forma, con un disco che potremmo sicuramente definire comela sua opera al momento più soddisfacente: il precedente “Crucial”, ricco di buone idee ma a suo modo ancora un lavoro di transizione ed acerbo, era il frutto di un artista che cercava di trovare un giusto equilibrio tra sonorità prog-rock fusion elettriche ed un approccio musicale più meditativo e “cosmico”. In quest’ultimo “Dubnos” si concretizzano pienamente le ambizioni di Bühlmann nel dare forma ad una progressive fusion minimale ed esoterica più matura, sia nella forma che nella sostanza, grazie anche al supporto degli eccellenti musicisti che per l’occasione lo hanno accompagnato in questo viaggio solista: il batterista Terl Bryant, Yukiko Matsuyama e David Cross...
La musica di Roland Bühlmann mantiene stabilmente le sue coordinate verso una particolare e mutante forma di ambient-progressive labirintica e sempre più raffinata, definita nei piccoli dettagli in tasselli sonori che si svelano ed apprezzano ad ogni nuovo ascolto. Bühlmann approfondisce il suo stile votato ad un’espressività astratta e rituale attraverso un tessuto sonoro evocativo, talvolta arcano e criptico, ma anche ben radicato ad una dimensione solidamente progressive rock per la robusta e versatile sezione ritmica di Bryant ed un solismo chitarristico sempre piuttosto vivace, con un pizzico di virtuosismo che non guasta, speziato di inquietudini crimsoniane…
Ricco di simbolismi mistico-esoterici, “Dubnos” è comunque un disco piuttosto scorrevole ed accattivante, specialmente se ci troviamo già in sintonia con le opere di chitarristi come David Torn e Steve Tibbetts, artisti che possiamo benissimo considerare come buon punto di riferimento per quest’album… Bühlmann, in particolare, ha affinato le sue doti di arrangiatore ed alchimista sonoro, negli avvolgenti ricami cosmici-elettronici di “Mighla” oppure nell’impostazione minimalista più classica di “Omnalén”; in “Aaschutz”, il caratteristico violino di David Cross ed il koto della Matsuyama si fondono in un ipnotico mantra sonoro che sottolinea la particolare vena evocativa/creativa, allo stesso modo “Galgallim”, il brano di chiusura, tratteggia melodie inquietanti su uno sfondo di una dark ambient dalle suggestioni tribali per infine trovare sfogo e catarsi in sonorità dure e poco concilianti…
“Dubnos” è dunque un disco intenso ed enigmatico, nonché traguardo importante per un’artista che ha intrapreso nel giro di quattro album un percorso creativo tanto interessante quanto personale.



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Giovanni Carta

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