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ARNAUD QUEVEDO AND FRIENDS Roan Bad Dog Productions 2022 FRA

Dopo un disco quale “Electric tales”, con svariate influenze, ma un indirizzo abbastanza spinto in direzione Canterbury, il nuovo parto di Arnaud Quevedo & Friends allarga ulteriormente il campo. Già rispetto al precedente lavoro si è moltiplicato il numero degli “Amici”, per l’occasione ben dodici, che si suddividono batteria, basso, tastiere, contrabbasso, fiati, archi e parti vocali. La musica diventa un fiume in piena e si fa a tratti più aspra; il processo di contaminazione va a seguire più sentieri; la sezione ritmica si diverte con tempi composti e potenza zeuhl; le dinamiche e gli intrecci elettroacustici si mantengono punto di forza fondamentale; le parti cantate sono in madrelingua. L’atmosferica “Aube” è giusto una misteriosa introduzione, a cui segue un “Prologue”, in cui basso, batteria e impasti vocali cominciano a dare una spinta verso le soluzioni ultraterrene del pianeta Kobaia caro ai Magma. Siamo solo all’inizio di un viaggio sonoro avventuroso e ricco di sorprese, con dodici tracce totali e oltre cinquantaquattro minuti di musica. Così, per una “Découverte” che va a riesplorare territori canterburiani, con qualche ruvidezza nel finale, ecco una “Curiosité” che si dimostra abile divertissement per fiati e le scanzonate “Féerie” e “Dépassement” dall’andamento allegro. Le ipnotiche sonorità di “Nostalgie” precedono una “Ryoko” che con i suoi dodici minuti e mezzo è la composizione più lunga, intricata e affascinante dell’album. Un inizio rilassato, un crescendo di tensione con temi reiterati, poi una spinta jazz-rock non troppo forte, con fiati e archi che si alternano alla guida e intanto si accelera. Lentamente. Verso i cinque minuti arriva la parte cantata in stile vagamente Tamla-zeuhl e subito dopo ci si ferma per lasciar spazio ad una sezione chamber-rock. E dopo una breve parentesi funky, si ritorna ad un agile jazz-rock che colpisce splendidamente per il suo sviluppo e la sua miscela timbrica. Bisogna tirare un attimo il fiato ed ecco i toni soffusi, ma inquieti di “Fardeau”, per quasi due minuti che sembrano rievocare alla lontana la parte sperimentale della crimsoniana “Moonchild”. Il trittico finale “Chrysalide”-“Métamorphose”-“Épilogue”, con la solita ricchezza strumentale, va a creare un mix intrigante di sapori ottenuti con ingredienti ancora da individuare tra Canterbury, Magma e King Crimson. Detto che “Roan” è un concept che esplora una sorta di viaggio interiore di una persona non a suo agio col mondo che lo circonda, c’è da rimarcare come Arnaud Quevedo abbia fatto un lavoro notevole sotto tutti gli aspetti, da quello compositivo a quello esecutivo e senza dimenticare come sembri perfettamente in grado di gestire una formazione così ampia. Se “Electric tales” ci aveva incuriosito su questo personaggio, “Roan” è molto più di una conferma delle doti di Quevedo e non fa altro che accrescere l’interesse per quelli che potranno essere gli sviluppi futuri di questo intrigante progetto.



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Peppe Di Spirito

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