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AMOEBA SPLIT Quiet Euphoria áMARXE 2023 SPA

Tre dischi in tredici anni non consentono certo agli Amoeba Split di potersi definire una band prolifica. Ma ormai sappiamo bene come sia difficile mantenere uno standard qualitativamente elevato in tempi in cui nessuno campa della propria musica, a meno che non si faccia semplice mainstream. E questa splendida band è davvero molto, molto lontana da qualsiasi forma mainstream. Quindi, terzo album dopo due ottime uscite nel 2010 e nel 2020.
Con una formazione ampliata, seppur composta da musicisti già alternativamente sperimentati nei precedenti lavori, gli otto elementi giocano alla grande con i temi di Canterbury, ma non solo. Saltano all’orecchio momenti tipicamente zappiani, qualcosa alla Miles Davis, qualcosa alla John McLaughlin, qualcosa alla Gong. Nomi enormi, ovviamente, nei loro riferimenti, specie se si pensa che il maggior spunto canterburyano lo troviamo orientato verso le forme e i temi cari ai Soft Machine.
Ma questo lo sapevamo già, pur concedendo alla band di saper giostrare bene, molto bene con la materia, tanto da renderla personale e tanto da fare loro anche riff che riportano senza tema di smentita ad uno o più dei grandi nomi citati.
Esempio netto, deciso è quello della opener e title track “Quiet Euphoria” nella quale ogni rimando ai Soft Machine di Six non può essere puramente casuale, ma anche dove l’ensemble, così ricco e straordinariamente fluido, riporta il tutto in una carreggiata più moderna e spigliata, quasi sfacciata.
Sfacciata come nella seconda parte di “Shaping Shadows” nella quale si aggrovigliano gli strumenti come gli atleti in una gara di mezzofondo, slittando, infine, su un poderoso riff alla Ratledge.
Perdersi nella melodia di flauto di Dubi Baamonde, nella sezione centrale di “Thrown to the Lions”, è un po’ come perdersi tra le vie di campagna del Kent ed è una sensazione bellissima. Non da meno lo splendido gioco di ottoni, tromba e corno di The Inner Driving Force, davvero micidiale nell’entrare nelle corde di ognuno e per poi perdersi, dissolversi e riprendersi su una poliritmia 3+5 che ci porta al finale fuzz e psichedelico.
Ma è con la conclusiva “No Time for Lullabies” che tutto si risolve e si spiega. Sono undici minuti, stesi quasi a formare una suite, con uno sviluppo che va dal jazz improvvisato, dominato dal sax tenore di Pablo Añón, ai sospiri affannosi di tastiere lontane, più simili a sirene soccorritrici, che a musica in senso stretto. La chiusura di pianoforte, ribattuto come in un carillon, all’opposto della sua fluidità dell’inizio del brano, ci riporta a quello spirito sperimentale che è fortemente radicato nel DNA degli Amoeba Split.
Ci sarebbe davvero da perdersi nelle descrizioni di questi ottimi sei brani, così ricchi, senza cedimenti, senza parti noiose o inutili e con una concentrazione di atmosfere a tratti superbe che vanno a congiungersi persino in una bossa nova intrisa di temi Wazoo di Zappa, ma anche in forme di jazz rock elettrico / elettronico molto urbano, molto trascinante.
Il lavoro di scrittura di Alberto Villarroya López e gli arrangiamenti di Ricardo Castro Varela fanno un altro notevole centro. Mi sono piaciuti moltissimo sia il disco di esordio, sia il secondo, ma questo lavoro porta la band ad un livello davvero eccellente, maturo e definito, tanto da essere assolutamente imperdibile per tutti gli appassionati.



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Roberto Vanali

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