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Da un nuovo gruppo di cui fanno parte tre membri dei Procosmian Fannyfiddlers ci sarebbe da aspettarsi di tutto, con forti legami alla vena di follia che da sempre caratterizza il gruppo madre. Invece, l’esordio dei Sorboses va in direzione molto differente. Si punta infatti su dieci brani più diretti, dalle tinte fosche, orientati su un pop-rock moderno e variegato. Anche le tematiche scelte tendono ad essere più serie, trattando di dolore, depressione, psicopatia, sensi di colpa. Così inquadrata, bisogna dire che la proposta è molto interessante, perché tutte le canzoni sono assolutamente valide e ben arrangiate. Il pop elegante di base si incrocia più volte con il cantautorato, con il post-rock, con la new wave, con atmosfere di jazz notturno. Spesso è il pianoforte a guidare, donando al tutto una vena intimista; altre volte emerge un’elettronica non invadente; in altri momenti, ancora, convivono timbri elettrici ed acustici, questi ultimi spesso derivanti dall’uso di un trombone. Insomma, per quanto da un punto di vista musicale si tratta di un sound abbastanza immediato, non mancano affatto elementi che denotano soluzioni non così comuni. Un’aggraziata voce femminile è un ulteriore punto di forza, che offre una spinta in più verso la malinconia. L’unica concessione ad un po’ di spensieratezza è con “Life’s discord”, dai ritmi più vivaci e che a tratti può ricordare i pezzi più briosi dei Cure. Qualche avvicinamento al prog si può intravedere con i quattro minuti di “Blacksville” che, pur non perdendo di immediatezza, presenta un orientamento romantico/sinfonico non così distante da quanto proposto qualche tempo fa dalle ucraine Fleur. Durante l’ascolto poi magari si possono notare altre somiglianze e viaggiare tra echi di Tori Amos, Portished, Cibo Matto, P.J. Harvey, Kate Bush… Di prog ce n’è pochino e chi poteva essere attirato dai legami con i Procosmian Fannyfiddlers si troverà di fronte un album che segue altre strade. Ma è un bell’album.
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