Home
 
KENSO An old warrior shook the Sun King Record 2024 JAP

Eccoci qui, dopo dieci anni, a parlare di un altro album dei Kenso. Definirei questa meravigliosa band come un’istituzione del prog giapponese, pur non avendo assolutamente idea di quale sia la fama o il livello di apprezzamento che Yoshihisa Shimizu e compagni abbiano nella loro patria. A dir la verità, ho il sospetto che i Kenso siano più conosciuti all’estero che in Giappone. La difficoltà nel reperire informazioni attendibili sulla scena underground di un paese così distante e così diverso dipende, ovviamente, solo da internet e dal doversi affidare ad approssimative traduzioni automatiche di caratteri kanji o, nel migliore dei casi, della traslitterazione di questi in caratteri occidentali. Aggiungiamo a tutto ciò l’apparente pigrizia (o menefreghismo) degli artisti giapponesi nello sforzarsi di promuovere la propria musica all’estero in maniera efficace, e abbiamo un quadro abbastanza chiaro della situazione.
I Kenso ci aiutano dando un titolo in inglese all’album e traducendo in inglese le parti cantate, ma fregandosene di fare lo stesso per i titoli dei brani, indicati sia in caratteri kanji che nella rispettiva traslitterazione che però contiene caratteri non utilizzati nel nostro alfabeto. Nel libretto del cd sono in inglese anche i crediti e la breve descrizione del significato di alcuni brani (qualunque cosa voglia significare “A composition inspired by a misterious experience that i had in Aomori…”).
A parte queste premesse, è ora di venire al dunque e affermare che l’album è il classico lavoro dei Kenso suonato e prodotto benissimo, con musica di altissimo livello che però compie un passo avanti rispetto al già ottimo e ormai lontano nel tempo “Uchinaru Koe Ni Kaiki Seyo”.
La prima traccia parte con un attacco di batteria che prelude alle consuete melodie fusion suonate alla velocità della luce e incastrate in una struttura ritmica talmente intricata da sembrare confusionaria. Gli strumenti si rincorrono cercando di sovrastarsi tra stacchi, break, brevissimi rallentamenti e una miriade di parti soliste che lasciano spiazzati per la furia e la precisione. Molto serrata, e appena più accessibile, la successiva “Toki ni wa raten nō no fushū ni”, impreziosita da un violino che non fa fatica ad inserirsi in una struttura in cui sembra difficile per i Kenso suonare lo stesso tempo per più di qualche battuta. Possiamo rilassarci (si fa per dire) con “Haikei, Airisshu Eā-sama”, dal ritmo più cadenzato e con melodie che ricordano vagamente motivi etnici (la traduzione del titolo sembra essere “Gentile aria irlandese”). Proseguendo nell’ascolto, ci rendiamo conto di addentrarci in territori più progressivi grazie a brani che puntano maggiormente su melodie più aperte, ma sempre affondate in strutture complicatissime infuse di elementi etno-folk. Molto riuscita e divertente in questo senso è “Ryū no Mai”, una specie di tarantella rock e fusion che ci permette di respirare ancora nell’ascolto e di godere dei bellissimi arrangiamenti con assolute protagoniste le tastiere. Il disco procede alternando momenti fusion ad altri più prog, certi più rock ad altri più rilassati, il tutto mantenendo una sorta di allegria di fondo che le linee melodiche e gli arrangiamenti riescono a trasmettere alla perfezione. Da ricordare ancora le dolci melodie di “Hyōtō”, regalateci dal piano e da una delicata voce femminile, quelle sospese alla perfezione tra prog e jazz-rock di “Kesshite sayonarade wanaku shima” e la conclusiva “Still a boy in solitude”, unico brano dal titolo in inglese, che in realtà si distacca dall’atmosfera generale del disco essendo costruita sui suoni elettronici della batteria e dei synth e con uno stile molto più sperimentale, rappresentando in definitiva una sorta di bonus track.
Ascoltare “An old warrior shook the sun” è un’impresa, e bisogna ammettere che la complessa trama strumentale potrebbe creare una sensazione di fatica alla fine dei quarantacinque minuti di durata. Tuttavia, è anche impossibile non apprezzare la bellezza dell’opera nel suo complesso, la sua varietà, la perizia compositiva ed esecutiva e la continua ricerca dell’evitare l’ovvio sparsa in ogni secondo di musica. Forse i Kenso non sono per tutti, anche tra gli amanti del progressive rock, ma chi riesce ad apprezzarli senza problemi può essere considerato un uomo fortunato.

 

Nicola Sulas

Collegamenti ad altre recensioni

KENSO Chilling heat 2005 
KENSO Sparta naked 2009 
KENSO Uchinaru koe ni kaiki seyo 2014 

Italian
English