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PTF Ambiguous fragile sign Perpetual Spring Records 2024 JAP

Soprattutto nei loro primi lavori, i giapponesi PTF erano stati inquadrati come “KBB dei poveri”. Ma si può dire tranquillamente che da allora sono cresciuti esponenzialmente nel tempo e che oggi questa etichetta va a dir poco stretta. Già con il precedente “Genesis of the stars” avevano toccato un picco qualitativo notevole, ma con “Ambiguous fragile sign” si va ancora oltre. La formazione è ormai consolidata con il violinista e compositore Keisuke Takashima che si erge a figura cardine della band e che è coadiuvato al meglio dal tastierista Takeya Kito, dal bassista Hiroyuki Ito e dal batterista Yusuke Seki. Stilisticamente non cambia molto rispetto al passato, ma mai come in questo caso impressionano la bellezza delle nuove composizioni, le loro strutture, la dinamicità e le capacità dei musicisti, che si esibiscono in un prorompente tecnicismo mai fine a sé stesso. Ancora una volta siamo al cospetto di un’opera interamente strumentale, nella quale i PTF passano con estrema naturalezza da solenni soluzioni sinfoniche ad infuocate fughe jazz/rock/fusion, con influenze che vanno da Emerson, Lake & Palmer alla Premiata Forneria Marconi, dalla Mahavishnu Orchestra alla scuola canterburiana. L’album è lungo, supera i settantadue minuti, ma risulta davvero scorrevole, grazie ad una serie di sette brani finemente articolati, spesso dall’elevato minutaggio, nei quali violino e tastiere sembrano sfidarsi in continuazione, supportati in maniera egregia dalla vivacissima sezione ritmica, il tutto senza perdere di vista l’aspetto melodico, con passaggi più riflessivi e/o di atmosfera che fanno rifiatare un po’. L’ascolto culmina con la suite di venticinque minuti “Thesis”, suddivisa in cinque parti e che probabilmente può essere visto come il vertice creativo dei PTF e come la summa perfetta della loro proposta, con una rigorosa esecuzione tra passaggi classicheggianti, temi brillanti che si ripetono, riff incandescenti, deviazioni jazz, eleganti spunti reminiscenti di Pink Floyd, cambi d’umore e di ritmo continui. Il paragone con i KBB, in termini puramente di stile, resta valido, ma possiamo serenamente dire che i PTF hanno seguito un percorso di crescita sempre maggiore, al punto da meritare decisamente più considerazione anche grazie a questo splendido lavoro, che può essere annoverato tra le migliori uscite prog dell’annata 2024.

 

Peppe Di Spirito

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