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ANTONIUS REX Neque semper arcum tendit rex Darkness 1974 (Black Widow 2002) ITA

Con Neque Semper Arcum Tendit Rex scopriamo un altro tassello mancante nella storia discografica dell'oscura congrega a nome Jacula / Antonius Rex. Se, infatti, "Anno Demoni" copriva temporalmente il periodo '69-'79 a livello compositivo, è pur vero che non si era a conoscenza di uscite discografiche fra "Tardo pede in magiam versus" ('72) e Zora ('77). Distribuito nel 1974 in tiratura confidenziale, il lavoro qui rieditato giunge ora a colmare quel vuoto.
Se "Anno Demoni" vi aveva intimorito, "Neque semper" vi terrorizzerà! I connotati sonori possono dirsi in qualche modo analoghi, ma l'apparato testuale è a dir poco sconvolgente... Fin dalla title-track vengono declamate ermetiche e minacciose verità, nell'apocalittica ambientazione creata dalle lunghe note dell'organo trasportate da un vento ultraterreno. La sabbathiana chitarra di Antonio Bartoccetti sa il fatto suo, e si lascia apprezzare tanto in fase di riff che in chiave solistica. "Pactus" sembrerebbe rispettare i medesimi canoni, ma poi vengono sviluppate inconsuete evoluzioni jazz/ambient/psych su un discreto substrato percussivo. La greve "In Hoc Signo Vinces" richiama il modulo di "Triumphatus Sad" (da In Cauda), però è curioso ed interessante il contrappunto fra la feroce sei corde del leader e le aeree divagazioni tastieristiche. Gli è simile "Non Fiat Voluntas Tua", dove organo, moog e chitarra agiscono all'unisono suscitando un'intensa emozione, ma l'apogeo del disco è in "Devil Letter". Lugubri folate, tintinnii di catene, colpi, passi solitari, porte cigolanti che si aprono: tutto è funzionale al diabolico clima evocativo instaurato dalla lettera riportata in copertina. Coraggioso l'inserimento di lunghi secondi di totale silenzio, che in seguito lasciano spazio ad attimi di caos e ad una sardonica risata. E dulcis (si fa per dire...) in fundo, pare di venir precipitati nel bel mezzo di una scenografia da horror-movie con "Aquila Non Capit Muscas". "Neque Semper" è dunque opera velenosa come poche. Ad ogni buon conto, più che su repentine variazioni sonore il fascino di quest'opera risiede nell'alone estremo che la avvolge. Per molti, ma non per tutti...

 

Francesco Fabbri

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