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CREDO Rhetoric F2 Records 2005 UK

Il new-Prog inglese non è morto… ogni tanto rispunta fuori uno dei suoi alfieri a ricordarcelo. I Credo hanno atteso 11 anni dalla pubblicazione del loro (abbastanza scadente) album d'esordio prima di dare alla stampe il presente follow-up, sempre guidati dal cantante Mark Colton, personaggio che da 20 anni tiene in piedi il suo sogno di una band stabile che suoni questo genere di musica… prima coi Casual Affair, poi coi Freewill… infine coi Credo, appunto. Musicalmente siamo nella scia delle ben note band di new-Prog melodico quali Shadowland, Pendragon, primi Marillion etc. Le 9 canzoni di "Rhetoric" sono abbastanza lineari, tenendo sempre l'aspetto melodico della musica in primo piano, con pochissimi momenti più elaborati e meno lineari. Uno di questi è rappresentato dall'ottima "The game", 11 minuti e spiccioli fatto di continue accelerazioni e momenti di pathos che faranno la gioia di chi ama questo tipo di musica. Le tastiere sono brillanti, con sonorità squillanti, spesso protagoniste di assoli che ricordano il Mark Kelly dei vecchi tempi. Brillanti sono altresì le ritmiche, sempre di corsa ed impegnate nella costruzione di brani che ci riportano senz'altro indietro verso l'inizio degli anni '80, quando il Regno Unito tutto era un florilegio di gruppetti di questo genere che portavano avanti un discorso musicale che innegabilmente ha avuto poco da dire a livello puramente artistico, ma molto da quello storico… e che ha saputo comunque tirar fuori alcune opere quanto meno divertenti e piacevoli da ascoltare ancora oggi, anche se indubbiamente molto naïf. Date per buone le precedenti considerazioni, si chiederanno in molti che senso possa avere nel 2005 mettere in circolazione un album del genere: beh, come ho già detto, il cuore della band proviene direttamente da quegli anni ed inoltre c'è da dire che "Rhetoric" ha il pregio di lasciarsi ascoltare piacevolmente, senza pretendere troppo ma senza neanche scadere troppo su banalità stilistiche e musicali né su tematiche troppo easy. Insomma, un disco gradevole e piacevolmente nostalgico, ma in definitiva assolutamente trascurabile dal punto di vista prettamente artistico.

 

Alberto Nucci

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