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IL CASTELLO DI ATLANTE Arx Atlantis Enima Recordings 2016 ITA

Nono album (compresi i vari live) per Il Castello di Atlante, gruppo piemontese attivo da oltre 40 anni, anche se l’esordio discografico avvenne “solo” nei primi anni ’90. Saldamente ancorati, anche per la carta d’identità di quasi tutti i suoi componenti, al “pop” italiano dei seventies, con “Arx Atlantis” il gruppo prova qualcosa di nuovo e, senza rinnegare le proprie origini, pubblica un album al passo con i tempi amalgamando il suono “vintage” con sonorità più moderne ed attuali. Ovviamente si tratta di un lavoro al 100% targato “Il Castello”: il violino di Andrea Bertino (e di Massimo Di Lauro, membro storico e presente solo in alcuni brani) caratterizza il sound della band con la complicità di chitarre e tastiere e di un vocalist “old style”. Le liriche, apprezzabili (alcune perlomeno), offrono tematiche storiche (“Ghino e l’abate di Cligni” ispirato ad una novella del Decamerone), epico-cavalleresche (“Il tempo del grande onore”, dedicato a Galahad, uno dei cavalieri di re Artù) o, ancora, problematiche famigliari (“Il tesoro ritrovato”). In aggiunta apprezziamo il notevole impatto ritmico e sinfonico con una strizzatina d’occhio al new prog inglese che, forse, rappresenta quella “novità” che rinvigorisce ed attualizza le sonorità del gruppo. Le pregevoli dinamiche di “Non ho mai imparato” sono paradigmatiche in questo senso: il duo violino-chitarra elettrica imperversa, le tastiere ora “vintage” ora con un tocco più moderno non sono da meno, una ritmica rocciosa, le melodie ariose ed ottimamente costruite, le melanconiche intuizioni acustiche, tutto rende il brano davvero speciale. “Il vecchio giovane” brilla per le sue tastiere quasi new prog, mentre, paradossalmente, il cantato ricorda maggiormente i primi album de “Il Castello” con una impronta decisamente seventies. “Ghino e l’abate di Cligni” (già pubblicata sulla terza parte del “Decameron”, progetto “Colossus” di qualche anno fa), che vede il contributo sia in fase di scrittura che di esecuzione di Tony Pagliuca, arriva direttamente dagli anni ’70 con ancora il violino ad animare la composizione, mentre il cantato e i cori non convincono appieno. “Il tempo del grande onore” è un altro eccellente brano tra “vecchio” e “nuovo” con efficaci “solos” di tastiere e la vena malinconica del violino che ben enfatizza le vicende del nobile cavaliere arturiano. Con il punto esclamativo come era iniziato, “Arx Atlantis” si chiude con un altro convincente pezzo: “Il tesoro ritrovato”. Riff nervosi, un incedere deciso e grintoso, momenti soffusi disegnati da piano e violino, qualche ammiccamento new prog subito “messo a tacere” dal violino di Andrea Bertino e dall’appassionato ritorno del pianoforte. Si chiude così l’ennesima fatica discografica della band piemontese. Un lavoro decisamente attraente che potrà accontentare i cultori delle sonorità tipiche del periodo aureo del prog, ma che non dispiacerà anche a chi ama timbri più moderni. Un bel mix, dunque, e l’ennesima conferma per un gruppo che è garanzia di qualità.



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Valentino Butti

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