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CLEPSYDRA The gap autoprod. 2019 SVI

Sono passati ben 18 anni dal precedente album dei ticinesi Clepsydra… eppure la band non si è mai effettivamente sciolta, anche se per una decina d’anni è stata in animazione sospesa. Già da alcuni anni l’attività era ricominciata, tuttavia, con la partecipazione ad alcuni festival, la pubblicazione di un DVD live ed un cofanetto antologico. Finalmente, nel settembre 2019, vede la luce questo nuovo lavoro che era in incubazione ormai da un po’. La formazione è rimasta quasi la stessa del precedente album “Alone”, con la defezione (per formare gli Shakary) del membro fondatore Lele Hofmann ormai ampiamente metabolizzata; il nuovo chitarrista Luigi Biamino arriva a rimpiazzare l’axe-man Marco Cerulli che era entrato nella band nel ’97 ed aveva suonato nei due album precedenti. Sono ancora della partita i rimanenti fondatori Alu Maggini (voce), Philip Hubert (tastiere) e Pietro Duca (batteria). L’altro fondatore Andy Thommen (basso), che aveva lasciato il gruppo a fine anni ’90, era addirittura rientrato alla base, salvo lasciare di nuovo nel corso della stesura di questo nuovo album, rimpiazzato ancora una volta da Nicola De Vita.
Le solite storie di gruppi amatoriali, ovviamente, tenuti insieme dalla passione ma che devono costantemente fare i conti col passare del tempo e con le esigenze della vita. Forse proprio per questo quest’album ha un filo conduttore che parla proprio dello scorrere del tempo e la sua influenza sulle cose importanti della vita.
Se la musica del gruppo è sempre stata fortemente debitrice del new Prog britannico, Marillion e Pendragon in primis, questo nuovo, lungamente atteso, album non smentisce di certo questa passione primeva. Anzi… se è possibile le 7 canzoni di “The Gap” si muove ulteriormente alla ricerca di suoni ed atmosfere che ci riportano ai primi anni dei Marillion, quelli in cui un gigante scozzese imperversava sul palco e in cui Mark Kelly suonava effettivamente le tastiere. Certo… manca un po’ la classe del gruppo preso a modello e non c’è uno Steven Rothery coi suoi assoli e le sue storiche pennellate ma la band svizzera cerca di ricreare le atmosfere piene di drama e di passaggi enfatici. Si dirà che manca anche un Fish all’appello… ma la potente voce di Alu Maggini tutto sommato è sempre stata uno dei punti di forza dei Clepsydra e quindi, anche se il confronto con personalità del vocalist di Dalkeith può risultare svantaggioso, quanto meno per il carisma che questi sprigionava, in questo caso il bicchiere è mezzo pieno.
Il nuovo album, come detto, consta di 7 canzoni, tutte, tranne una, di minutaggio elevato, con una punta che sfiora i 15 minuti. Malgrado lo stile chitarristico di Biamino sia leggermente più heavy dei suoi predecessori, il mood generale dell’album è molto d’atmosfera, con brani lunghi che spesso procedono piuttosto lentamente e ricchi di pathos, salvo ovviamente concedersi crescendo emotivi ed esplosioni liberatorie per scaricare la tensione. Gli 11 minuti della prima traccia “When the Bells Started Ringing” scorrono in maniera piuttosto anonima ed eccessivamente alla ricerca di assonanze marillioniane, nonostante i primi 3 minuti potenti e ritmati promettano più di quanto siano poi in grado di mantenere. Già la successiva “You” centra maggiormente l’obiettivo, garantendo una carica emotiva sicuramente efficace. Ancor più riuscita, da questo punto di vista, appare la lunga “Millennium”, sicuramente la traccia centrale dell’album (e la successiva breve ”Lousy Soul” sembra rappresentarne la coda strumentale). Qualcuno potrebbe definirla eccessivamente stiracchiata e tirata per le lunghe, visti i lunghi momenti dalle atmosfere quasi eteree, tuttavia trovo questi momenti propriamente funzionali alle atmosfere e gli umori che la band vuole creare.
Piacevoli anche i brani più brevi “The Spell”, i 9 minuti di “The Story Teller” e anche la conclusiva “Mind the Gap”, quest’ultima con un finale trascinante che chiude in modo adeguato gli oltre 60 minuti dell’album, decisamente un rientro più che positivo, alla resa dei conti, da parte di una band che molti davano ormai per persa. Un album orientato decisamente a chi ama il classico new Prog inglese, dai Marillion fino anche ai connazionali Deyss.



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Alberto Nucci

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