Oltre un'ora di musica strumentale incentrata su un jazz-rock d'avanguardia non è certo appetibile a tutti gli appassionati di rock progressivo, eppure non sono poche le persone che seguono con un certo interesse simili sperimentazioni. I giapponesi Djamra si fanno apprezzare con una proposta abbastanza ricercata, ma non eccessivamente ostica da guardarla immediatamente con più di un sospetto. Diciamo che questa band sa porsi in una posizione intermedia tra l'avanguardia cara ad alcuni suoi connazionali (Il Berlione, Happy Family, ecc.), il jazz-rock diretto ed orecchiabile dei Group Therapy e certe reminiscenze canterburiane di matrice Soft Machine post Wyatt. Già la strumentazione del quartetto di base fa capire che siamo di fronte ad un progetto abbastanza particolare, visto che al fianco della sezione ritmica formata da basso e batteria, troviamo sax alto e tromba. "Transplanation" è incentrato su dieci canzoni non eccessivamente lunghe e abbastanza omogenee e su una lunga composizione magnificamente articolata. I primi dieci brani, pur mostrando leggeri sbalzi qualitativi, presentano un sound compatto, con ritmi a volte veloci e un po' bizzarri, a volte più elegantemente jazzistici, mentre i fiati vanno a destreggiarsi ed incrociarsi abilmente, alternando piacevoli melodie, dissonanze ed anche momenti di improvvisazione (che sono però proprio quelli meno convincenti). La conclusiva "To India" è, invece, una fantastica piece-de-resistence di quasi sedici minuti che non può lasciare indifferenti col suo inizio atmosferico e orientaleggiante che va poi a svilupparsi in uno svolgimento imprevedibile e travolgente, ricco di cambi di tempo e di umore, di fraseggi di alta classe e di energia allo stato puro. Probabilmente si trova di meglio in giro, ma i Djamra sono sicuramente bravissimi musicisti, che suonano con passione e intelligenza e che dimostrano con quest'album molto buono di meritare ben più di una chance.