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DETIETI Serious IV No Name 666 / Addicted Label 2021 RUS

Quarto album per la avant-prog band moscovita, ad oggi un trio formato da Mikhail Ivanov (basso), Viktor Tikhonov (batteria) e Sasha Kosarenko (chitarra). Quattro composizioni, due che superano i dodici minuti ed altre due intorno ai cinque minuti, disposte in modo tale che si potrebbe pensare a due ideali facciate di un disco musicale. Nonostante permanga la vocazione “schizoide”, dopo tre anni di silenzio emerge una certa “ponderazione” (rigorosamente tra virgolette!) che spinge maggiormente sul versante prog, piuttosto che su altri elementi come il punk o l’alternative, scostandosi un po’ dalle influenze dei Mr. Bungle di Mike Patton. Il titolo “serioso” non è quindi scelto a caso. Ci potrebbe magari essere una maggiore predisposizione verso il RIO, mostrando comunque un senso dell’umorismo ed autoironia tipico di chi non si prende poi troppo sul serio. In questo particolare clima, l’ispirazione viene dalla fantascienza anni ’80, come sta ad indicare la copertina e l’immagina interna al digipack. Ma come hanno avuto modo di affermare loro stessi, non si tratta di un concept vero e proprio (lo avrebbero trovato troppo noioso) ma di una sorta di colonna sonora per un film che non è mai uscito.
Oltre al poster interno, che dà una raffigurazione fumettistica ai brani e li rende in un certo qual modo più immediati, sul loro bandcamp (ci si arriva in un attimo col codice QR sul retro copertina) vengono spiegati alcuni elementi chiave. E così, mentre un fantomatico agente – che non compare tra i titoli – svolge le sue indagini su una civiltà aliena e sulle sue attività qua sulla Terra, ecco che parte “Disorienteria”. È uno stato esistenziale che fa perdere la concezione di spazio-tempo, come accade all’asino del fumetto interno che viene prelavato dall’UFO per essere studiato. L’effetto collaterale è un disturbo dell’apparato digerente. Quindi, non solo ci si sente disorientati… ma si viene anche colti da un attacco di dissenteria, come la parola ben suggerisce. In una dozzina di minuti, che partono in maniera molto umoristica, i nostri creano un’atmosfera in cui ci si sente davvero disorientati. Un basso bello pulsante conduce verso qualcosa che potrebbe rifarsi al Re Cremisi, magari anche a Frank Zappa (riferimenti immancabili, in questi casi); ma ad ascoltare bene si può pensare anche a “The adventures of bumblefoot” (1995), esordio della Ron Thal Band, in cui il buon Ron partiva dalle basi zappiane di Steve Vai e con la sua chitarra ricreava ambientazioni ora pigre e sonnacchiose, ora da traffico urbano alienante, giocando sapientemente sia sulle dissonanze e sia su un istrionico umorismo. “Milky Squid”, invece, presente la razza aliena di cui sopra: dei calamari cosmici provenienti da Sirius D, che fanno indagini sulla coscienza degli esseri viventi terrestri; figure inquietanti, probabilmente frutto – chissà quando – di qualche esperimento genetico. Un pezzo in cui psichedelia e hardcore si mischiano tra loro, sempre con un lavoro costante del basso (che potrebbe essere di origine sabbathiana) e ardui controtempi.
Comincia quindi la seconda parte, più oscura e meditativa, aperta non a caso da “Reflective Architect”, cioè il “Calamaro supremo”, una specie di divinità che vive in uno stato spirituale tipo quello del Buddha. Infatti la composizione prevede percussioni e overdubs elettronici, con voci campionate e passaggi di chitarra acustica in una specie di chill out che definire “fumato” è decisamente poco. “Z.O.V.” è il mantra che passa per la mente dell’Architetto riflettente: Zaebis, ohuenno, voubsche. Alcune di queste parole possono essere tradotte con “fantastico, wow”, ma ancora meglio con “fuckin’ good!”. Beh, il pezzo sfiora i tredici minuti e in alcuni punti può risultare tediante col suo martellare. Ci sono comunque degli spunti tecnici non indifferenti, simili a quelli degli Spastik Ink dei fratelli Bob e Ron Jarzobek, quest’ultimo proveniente a sua volta dai Watchtower (famosa techno-metal band, autrice di due album negli anni ’80).
Trentasei minuti di una proposta davvero atipica, che potrebbe solleticare la curiosità di chi ama la complessità e vuole andare oltre il fattore della musica orecchiabile. Interessante.



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Michele Merenda

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