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DARK AGES Between us Andromeda Relix 2022 ITA

Quinto lavoro per la seminale prog-metal band veronese, divenuta un cult nel mondo heavy grazie al debutto “Saturnalia” del 1991, uscito all’epoca in vinile e audiocassetta. Il passaggio in direzione di una versione maggiormente “progressivizzata” del metal sarebbe avvenuto a partire dal 2011; un ritorno sulle scene con vari cambi di formazione, sempre però col fondatore e chitarrista Simone Carciolari come elemento portante, elaborando ulteriormente le già variegate partiture musicali. Da quell’esordio ad oggi, l’approccio stilistico è cambiato parecchio. Innanzi tutto, parlando di formazione, quella attuale è la medesima del precedente “A closer look” (2017), che in questi anni ha quindi avuto modo di essere ben rodata; la produzione risulta letteralmente migliore rispetto anche al recente passato, curando molto i particolari e la scelta dei suoni, oltre ad evidenziare la voce di Roberto Roverselli (anche autore dei testi) molto più integrata nelle elaborate composizioni. La sezione ritmica formata da Carlo Busato (batteria) e Gaetano Celotti (basso) è ormai affiatata, davvero un’ottima spina dorsale su cui costruire l’andamento dei brani, concludendo con il lavoro alle tastiere svolto da Angela Busato, anche ai cori e al flauto, nonché autrice del particolare art work.
Gli scaligeri presentano nuovamente un concept, che viene incentrato sulla crescita individuale dopo aver affrontato situazioni estreme, dando però all’ascoltatore la possibilità di creare delle interpretazioni soggettive. Nel complesso, l’album mostra idee degne di un certo rilevo soprattutto nella sua seconda parte, anche se l’attacco dell’iniziale “Pristine Eyes” si dimostra subito convincente, grazie alle varie tastiere a cui fa seguito il bell’assolo di chitarra. Una bella introduzione ad un pezzo che nelle parti più aggressive riporta sempre ai primi Dream Theater, intervallate però ad altre più melodiche. Alternanza da evidenziare anche nella seguente “Showdown”, in cui c’è da prestare attenzione alle soluzioni del basso, poi impreziosita nella seconda sezione da inserimenti di pianoforte e flauto. Pur mantenendo le stesse coordinate, “The Villain King” risulta più pesante e a tratti ossessiva, maggiormente interessante nelle parti strettamente strumentali. “Beyond” sembra per un minuto abbondante una classica prog-metal ballad, per poi indurirsi nuovamente e lasciarsi comunque andare ad un ritornello da “struscio”, ben assecondato dal breve assolo liberatorio sulle sei corde; a tutto questo occorre aggiungere i soliti interventi tastieristici (tra organo e pianoforte), mentre il basso continua a tessere la propria tela. “Our Lonely Shelter” è contraddistinta da un inizio percussivo tribale e da stacchi ritmici che fanno a loro volta da preludio a dei cambiamenti d’andamento all’interno della composizione stessa, in cui la voce deve di volta in volta adattarsi. Sette minuti sicuramente vari, che comunque non rinunciano di certo al fattore melodico. “The Great Escape” pare sfruttare – tra gli intrecci prog-metal – pure dei rimandi ai Boston o comunque a qualcosa di tipico dell’AOR americano di fine seventies, anche e soprattutto per le scelte tastieristiche, oltre che per alcuni rimandi vocali. Vocazione che forse si coglie anche nella successiva “Riddle from the Stars”, aperta da una bella introduzione strumentale, anche se pare non si possa fare a meno, poi, di inserirci in qualche modo delle parti vocali urlate. Le fasi in cui invece Roverselli accompagna in maniera più calma, anche concedendosi qualche acuto, risultano assolutamente azzeccate. Il pezzo migliore è la conclusiva “There is no End”, dodici minuti abbondanti, in cui tutti gli elementi sono perfettamente bilanciati e l’approccio tastieristico nella prima parte somiglia a quello di Jordan Ruddess. Ci si alterna con momenti più introspettivi ad altri più spediti, concedendosi una parte finale più romantica, conclusa dalla chitarra e dal cantato enfatico.
Un buon lavoro, che sicuramente piacerà agli amanti delle realtà tricolori che dagli anni ’90 ad oggi continuano a mantenere una propria identità, una sorta di marchio stilistico tipicamente italico, pur perpetrando il cantato in lingua inglese. Il gruppo veneto mostra una propria personalità, ulteriore elemento positivo a proprio favore. Un buon lavoro, che seguendo le coordinate di quell’ultimo brano potrebbe portare a risultati ancora migliori.



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Michele Merenda

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