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ETERNAL RETURN Once only NEWdOG Records 2021 EST/UK/USA/VEN

Ecco l’esordio di quello che senza ogni dubbio va definito come un quintetto internazionale, il cui nucleo è formato dal duo dei Dogon, composto a sua volta dal venezuelano Miguel Noya ai sintetizzatori e dal cantante californiano Paul Godwin (fondatore anche della NEWdOG Records). Oltre al batterista venezuelano Miguel Toro, stanziato a Berlino e già impegnato con i Royal Dust, si aggiungono il ben più noto bassista britannico Colin Edwin (Porcupine Tree, NoMan, O.R.k.) ed il chitarrista estone Robert Jürjeandal, già con Toyah Wilcox e la Fripp’s Crafty Guitar School.
Inciso proprio nella capitale tedesca presso The Famous Gold Watch Studio, ex quartiere generale della Stasi (i temibili servizi segreti della DDR), su questo debutto aleggia un alone ambient volto concettualmente a ripercorrere sensazioni legate al nomadismo, vicino a progetti tipo quelli di David Sylvian da solista. La copertina è un esempio di arte moderna che ispira il forte senso di decadenza esistenzialista di cui è intriso l’intero lavoro, come è percepibile fin dall’iniziale “Nomad”. Pianoforte soffuso e percussioni leggere (comunque dotate di un certo ritmo), con le note di basso in sottofondo, mentre si snodano vari effetti anche di natura Frippiana. Le voci toccano spesso il falsetto, rendendosi maggiormente piacevoli nel ritornello e nella seconda parte del brano, poi lasciata alle note del piano. Di maggiore effetto è la seguente “The Void”, grazie anche all’ospite Milad Khawam che si occupa delle parti di tromba, sempre molto soffuse. Un’atmosfera simile a quella ricreata dai nostrani Pensiero Nomade. Poi subentra la voce… e la stanchezza cala inesorabile. “A Medium-Sized Villagge” si protrae per oltre sette minuti nei riverberi distorti della chitarra, sempre controllati con disciplina, facendo pian piano prendere forma nella mente a questo villaggio oscuro e desolato, decisamente inquietante. La successiva “The Triggering Town” ha quindi l’effetto di una liberazione, anche se l’andamento non è certo solare come si potrebbe pensare di primo acchito. Le distorsioni delle sei corde continuano a svilupparsi, racchiuse nel recinto costruito dalle note del pianoforte. “The Bottom of the Pond” ne è l’immediata continuazione e porta finalmente ad un’ascesi in cui l’energia denota vibrazioni più alte. La voce è trasfigurata, rabbiosa, persa negli effetti e nello stridore della chitarra. Si chiude con i cinque minuti abbondanti di “Sky”, più libera dalle tensioni e che nella seconda metà si lascia andare verso quelli che potrebbero anche essere dei raggi di sole.
Termina così questo esordio che supera di poco la mezzora, con cui vengono messe in mostra delle idee che si sarebbero potute sviluppare anche più ampiamente. È comunque innegabile che le composizioni siano dotate di una loro intensità, che potrebbero interessare gli amanti di un genere da collocare nel mondo dell’elettronica e soprattutto – come già detto – della musica d’atmosfera. Si aspetta una prossima prova, possibilmente più articolata.



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Michele Merenda

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