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EVERSHIP |
The uncrowned king act 2 |
Atkinsong Production |
2022 |
USA |
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Quarto album in sei anni per la band dei fratelli Atkinson, Shane (tastiere, batteria, percussioni, dulcimer, voce, nonché autore delle liriche e delle musiche) e James (chitarra elettrica). Con questo “Act 2”, gli Evership concludono il concept basato su “The uncrowned king” romanzo pubblicato nel 1910 da Harold Bell Wright. Tutto quanto di positivo era emerso nel precedente “Act 1”, datato 2021, e, perché no, anche nei primi due lavori (del 2016 e 2018), viene ampiamente confermato in questa nuova produzione. La voce di Beau West si conferma una delle migliori in circolazione nel panorama heavy prog americano, i due fratelli Atkinson musicisti di notevole gusto e la band, completata dal bassista Ben Young e dall’altro chitarrista John Rose, compatta ed affiatata. Brani freschi, vivaci, ineccepibili dal punto di vista melodico, con cori piacevolissimi, “riffoni” heavy che si avvicendano a ballate acustiche, sfavillanti sfoggi strumentali ma anche atmosfere sognanti. Kansas, Queen e Styx le influenze più evidenti della band e a chi piacciono, almeno, queste tre storiche formazioni, non dovrebbe certamente dispiacere quanto prodotto dai cinque statunitensi. L’album si sviluppa attraverso nove composizioni che vedono anche la presenza di due violiniste e di un terzetto di ottoni. “The voice of the night” (cantata dall’ospite Mike Priebe) è tratteggiata dalla chitarra acustica e dalle tastiere soffuse e funge, sostanzialmente, da introduzione alla seconda parte del concept. Con “Missive pursuits” la band inizia a mostrare i muscoli con riff grintosi e ritmiche serrate. La voce è potente, le melodie orecchiabili ed energiche, i synth formano un muro sonoro decisamente coinvolgente. “The law of ages” è una delicata ballata, ottimamente interpretata da West (che ricorda Dennis De Young ) con pianoforte, violini ed una sottile malinconia che permea la composizione, che si “impenna” con un riuscito guitar-solo, per poi tornare alla quiete iniziale. Fa subito da contraltare “Coronation”, con un riff tanto semplice, quanto efficace dell’elettrica, una batteria troppo “bombastica”, ritornelli ben congegnati e l’alternarsi di synth ed hammond ad offrire una sottile aura vintage. “The voice of the new day” ci offre il cameo vocale di Michael Sadler (Saga): brano grintoso con una parte centrale più delicata e sempre coinvolgenti impasti vocali, ben sostenuti dalle effervescenti tastiere. “Nobody”, forse il vertice qualitativo dell’album, esordisce come una semplice ballata per voce e chitarra acustica a cui si accodano la batteria e tastiere in sottofondo. Intorno al quarto minuto il brano si increspa: il ritmo sale, c’è spazio per un incisivo “solo” di chitarra ed il refrain, dolce e languido all’inizio, diventa ora graffiante e penetrante. Meno efficace, invece, “Fading away un poco zoppa dal punto di vista melodico. Intro “a cappella” per “Uncrowned”, nella quale i punti di forza sono gli enfatici cori e i numerosi sali-scendi sonori in cui si insinuano ora i synth ora la robusta chitarra di James Atkinson . “Pilgrim’s reprise” mette la parola fine al concept sviluppato, come detto, su due cd distinti. West si conferma performer superiore alla media sia nei momenti più duri che in quelli più morbidi e vero valore aggiunto della band. L’album, nell’insieme, consolida la formula sonora della band, tra heavy prog, pomp e sinfonico ed il risultato finale è più che soddisfacente e facilmente consigliabile.
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Valentino Butti
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