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FORCE OF PROGRESS Calculated risk Progressive Promotion Records 2017 GER

Negli ultimi anni la casa discografica Progressive Promotion Records sta portando avanti diversi progetti indirizzati verso un new-prog moderno, dai tratti a volte aggressivi, in direzione metal e mettendo in piedi, in alcune occasioni, nuovi gruppi formati da musicisti provenienti da altre band. I Force of Progress riuniscono elementi che si sono già fatti valere con The Healing Road, Sweet Chicky Jam, Cynity, Marquette e Horizontal Ascension. Per la precisione, siamo al cospetto di un quartetto formato da Hanspeter Hess (tastiere e sintetizzatori), Dominik Wimmer (batteria, chitarra, tastiere), Chris Grundmann (chitarre, tastiere, basso, sintetizzatori) e Markus Roth (basso, chitarra, tastiere e sintetizzatori). Un paio di ospiti, Matthias Klingner e Claus Flittiger, si impegnano a dare il loro contributo in alcuni brani al basso e alle chitarre. L’esperienza già acquisita sul campo dai protagonisti di questo nuovo progetto, nonché la loro propensione ad impegnarsi con più strumenti fanno sì che il cd “Calculated risk”, interamente strumentale, risulti ben suonato e presentato in maniera professionale. Le influenze partono dal new-prog, ma poi si sviluppano fortemente verso passaggi agguerriti, pur non facendo mancare spunti più melodici.
“Ticket” è un biglietto di presentazione che fa subito capire la direzione in cui si muovono i Force of Progress: riff chitarristici di stampo metal, ritmi vivaci, piano e tastiere a spingere verso il rock sinfonico, aperture ariose che rimandano ai più classici Marillion degli anni ’80. Otto minuti di durata e la prima traccia disegna già discretamente le linee guida su cui poggerà la proposta dei Force of Progress, i cui livelli di adrenalina saranno decisamente elevati. Anzi, nel prosieguo dell’ascolto, la band punterà soprattutto su pezzi che spingono parecchio sull’acceleratore e che fanno pensare anche al prog-metal virtuosistico di scuola Dream Theater (“Sole survivor”, “Shapeshifter”, “The cube”, “Always”), ma anche in queste situazioni emerge sicurezza e si ottengono buoni risultati. Colpisce la bravura di evitare equilibrismi autoindulgenti e di portare le capacità tecniche sempre al servizio della musica. Così facendo, anche i brani più articolati e di lunga durata risultano abbastanza scorrevoli. La title-track, che con i suoi tre minuti e quaranta secondi è il brano più breve del cd, riporta invece alla mente la spontaneità dei Liquid Tension Experiment. Forse un po’ di maggiore bilanciamento con un sound meno pesante, come avviene in “Lift me up, down by the seaside”, “Lost in time, like tears in the rain” e la conclusiva “The man who played God” (quest’ultima forse il picco assoluto del lavoro) avrebbe giovato ulteriormente, ma durante i quasi cinquantaquattro minuti di durata dell’album non si ha mai la sensazione di andare al di sotto di livelli accettabili.
Nel complesso riteniamo “Calculated risk” un album valido, certo pieno di cliché, in cui il rischio del “già sentito” è continuo. L’abilità dei musicisti è stata quella di creare una serie di composizioni che, pur non dicendo niente di nuovo, risultano abbastanza piacevoli e che non annoiano tra cambi di tempo e dinamiche ben costruite. Nulla di sconvolgente, ma siamo sicuramente di fronte ad un disco che va sopra le medie qualitative viste negli ultimi anni in campo new-prog e prog-metal.



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Peppe Di Spirito

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